Le emergenze e le urgenze legate alla transizione ecologica ed energetica e gli obiettivi, sempre più incalzanti, legati ai target di sostenibilità delle imprese hanno avviato una trasformazione economica e industriale che coinvolge in modo sempre più strategico il comparto della logistica. In pochi anni, anche in ragione del drammatico impatto, prima della pandemia e poi del conflitto in Ucraina, la logistica ha vissuto una importante evoluzione che l’ha portata a confrontarsi e a rispondere a una trasformazione nelle abitudini di acquisto, di consumo e di relazione tra le imprese. Alcune di queste trasformazioni si sono consolidate; altre sono state messe in discussione dalla crisi energetica, dal rallentamento delle catene di fornitura o dall’instabilità geopolitica; altre ancora si confrontano con le pressioni alle quali è oggi sottoposto il mercato, sia che si tratti di scelte nell’ambito del B2C sia che riguardi il mondo B2B.
Le prospettive della logistica in relazione a questa fase del mercato e del rapporto con gli obiettivi di sostenibilità sono state al centro di un importante confronto tra gli imprenditori di Confartigianato Varese e due esperti: Marco Perona, Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Brescia, direttore scientifico del Laboratorio RISE e Senior Partner di IQ Consulting e Damiano Frosi, Direttore dell’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” e Responsabile delle Relazioni con le aziende presso gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.
Un’occasione per mettere a confronto l’economia reale, quella della piccola e media impresa che rappresenta il 99,4% del tessuto imprenditoriale nazionale e un sistema, quello della logistica, che non può non rivolgersi, nei suoi processi di cambiamento anche a queste realtà.
Difficile non partire dalle difficoltà o “dai venti di crisi” che investono da diversi mesi tanti settori industriali. È corretto parlare oggi di una crisi della logistica?
Perona: “se parliamo della logistica come disciplina, direi di no. Anzi, è vero quasi il contrario: quando tutto fila liscio la logistica sparisce dai radar e nessuno ne percepisce l’importanza. Siamo abituati a pensare che questa sera facciamo un click sul sito di Amazon e domattina riceveremo sullo zerbino di casa ciò che abbiamo ordinato, e che tutto questo sia normale e facile. È solo quando si genera qualche intoppo, quando gli ingranaggi non girano più perfettamente, che ci si accorge che la logistica è rilevante e la questione finisce sulle prime pagine dei quotidiani.
Se invece parliamo della logistica come settore economico che coinvolge aziende e persone, allora la situazione diventa più articolata e complessa. I grandi operatori della logistica marittima internazionale hanno più che decuplicato i prezzi: per loro il quadro internazionale sta generano una serie di vantaggi. Al contrario, per gli operatori nazionali che offrono servizi di trasporto e magazzinaggio, si è ristretta la forbice costi – ricavi poiché hanno subito un calo dei volumi e una crescita dei prezzi, ad esempio dei carburanti e del costo del lavoro. Il business ne sta oggettivamente risentendo. E tutto ciò ricade, inevitabilmente, sul tessuto economico, al quale la logistica è strettamente connessa”.
Frosi: “Si, viviamo una fase di difficoltà che però non riguarda tutte le categorie di operatori. I grandi armatori e spedizionieri internazionali stanno crescendo (dobbiamo citare il caso di Maersk che ha presentato più utili nel primo trimestre dell’anno rispetto a tutto l’anno precedente) e “minacciano” le altre categorie di operatori integrandosi verticalmente nella filiera, guadagnando sempre più potere economico e controllando il traffico internazionale.
Per gli operatori più piccoli della logistica “di terra” si pone invece principalmente un problema di capacità operativa e di sostenibilità economica. Il grande tema della mancanza di capacità operativa deriva dalla stima che vede mancare quasi 30mila autisti di camion in Italia e più di 400mila in tutta Europa. Si tratta di un dato che purtroppo non sta migliorando: al contrario, si prevede un ulteriore peggioramento a causa della guerra in Ucraina, visto che molti autisti vengono da quelle aree e sono stati richiamati in patria. Inoltre, il numero di autotrasportatori in Italia è passato dai 104mila del 2009 (che tra l’altro corrisponde anche al primo anno di lavoro dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano n.d.r.) a meno di 80mila nel 2020, un dato che va letto in stretta relazione ai volumi, che nello stesso periodo sono al contrario aumentati. Ma non basta: i tempi di consegna dei nuovi mezzi di trasporto, a causa dei problemi di fornitura che hanno colpito il mondo automotive, hanno superato ampiamente i 12 mesi dall’ordine e si inizia a sentire la difficoltà anche nell’individuazione di operatori di magazzino.
Per quanto concerne la sostenibilità economica purtroppo i segnali sono ancora più preoccupanti, a causa dell’aumento del costo dei principali fattori produttivi della logistica. Se si guarda solo al 2021, il carburante è cresciuto del 13%, l’energia elettrica altrettanto, lo spazio fisico ha visto aumentare i costi del 2%, la manodopera a sua volta costa l’1,5% in più. Inutile sottolineare, come peraltro si può leggere ogni giorno sui quotidiani, che nella prima metà del 2022 la situazione costi è drammaticamente peggiorata.
In questo scenario la soluzione non può essere solo quella di ribaltare i costi a valle. Non si può trasferire questo impatto sul consumatore o sulle imprese, ignorando i rischi, peraltro già molto consistenti, in termini di crescita dell’inflazione e di abbattimento del potere d’acquisto delle famiglie.
Il dato EBITDA/fatturato dei player della logistica è sceso in generale sotto il 5%, portando gli operatori logistici terrestri al limite della sostenibilità e mettendo in discussione la possibilità di affrontare ulteriori investimenti, soprattutto se non supportati o guidati in termini di scelte strategiche. In questo scenario si deve infine collocare il ruolo della transizione ecologica, per la quale servirebbe una regia nazionale più chiara e incisiva”.
Quali sono le maggiori criticità al momento? Covid, guerra, crisi energetica e geopolitica sembrano aver “mandato in tilt” un sistema che sembrava perfetto. Qual è lo scenario che abbiamo davanti?
Perona: “Dobbiamo prendere atto che siamo entrati nella “Perturbationland”, la terra delle incognite e dei rischi1, e che questo probabilmente durerà a lungo. Stanno cambiando le supply chain internazionali che, costruite in decenni di crescente globalizzazione e stabilità geo-politica ed economica, sino ad oggi avevano dato prova di grande efficacia ed efficienza. Il sistema è entrato in crisi a causa delle rilevanti perturbazioni globali e del conseguente squilibrio tra domanda e offerta. Detto altrimenti, miliardi di consumatori vogliono acquistare dei beni, ma il sistema economico mondiale non è più in grado di produrli e soprattutto di distribuirli con i ritmi richiesti.
Tra i fattori che più hanno contribuito ad aggravare la situazione e a generare perturbazioni ci sono il rialzo dei prezzi di quasi tutte le materie prime, la crescita dei prezzi dei trasporti marittimi e le contrazioni della capacità di produzione e trasporto dovute alle restrizioni del Covid, a cui si aggiungono l’aumento del prezzo del legname e gli effetti delle plastic taxes.
Per dire la verità, un rallentamento del processo di globalizzazione è in atto già da tempo, anche da prima della pandemia, tanto che qualche buontempone aveva parlato di “slowbalisation”. Ci sono stati tanti segnali e tante perturbazioni, dai grandi fenomeni naturali alle restrizioni verso la Cina promulgate da Trump. Ma questi segnali non sono stati ascoltati abbastanza attentamente nei consigli di amministrazione e nei governi. La spallata decisiva l’hanno data la pandemia, ed ancora di più la guerra, che ci ha aperto gli occhi sui danni che può provocare un regime autocratico con ambizioni di espansione. Ed è evidente che dalla Russia e dall’Ucraina il pensiero vola velocemente verso Cina e Taiwan. Così, dall’essere un fattore indispensabile per garantire la competitività delle imprese, la globalizzazione è diventata un vero e proprio problema”.
Guardiamo anche alle conseguenze più rilevanti di questa crisi sul sistema economico del nostro Paese: quali sono gli impatti per il mondo delle piccole e medie imprese?
Frosi: “Se con “logistica” vogliamo intendere un concetto più vicino al tema “supply chain management”, è evidente che le piccole e medie imprese (tendenzialmente molto specializzate) rischiano di soffrire maggiormente la difficoltà di approvvigionamento e di consegna, potendo contare su un minor numero di leve in termini di flessibilità e diversificazione del business.
L’aumento dei costi dei principali fattori operativi a sua volta si fa sentire in modo ancora più consistente nelle imprese più piccole che, per storia e cultura, terziarizzano meno la logistica rispetto alle grandi aziende (e dispongono anche di minori leve di assorbimento ed ottimizzazione di questi aumenti).
Per di più, occorre sottolineare che le piccole aziende subiscono ancor di più la mancanza di capacità operativa di questo momento del mercato. Facciamo un esempio: un operatore logistico, se si trova a disporre di un solo mezzo e deve decidere se indirizzarlo verso un servizio per un grande brand multinazionale o per una piccola azienda semisconosciuta, privilegia il grande brand, creando ancora più problemi di tempi e livello di servizio per le piccole imprese.
C’è infine il tema della sostenibilità: alcune grandi imprese stanno investendo su asset logistici ripensati per supportare i percorsi di transizione ecologica, come ad esempio la creazione e gestione di magazzini carbon negative. Anche questo ha un impatto che presenta maggiori difficoltà per le Pmi”.
L’insieme di queste perturbazioni e il loro impatto sulle supply chain, sulle imprese e sui consumi stanno imponendo una rilettura del ruolo della logistica a livello macroeconomico?
Frosi: “Questo è un altro punto molto importante. Le stime di ripresa o di crescita economica partono ancora dalla lettura di una logistica che agisce come una “commodity a capacità infinita”: ma le perturbazioni ed i cambiamenti che abbiamo discusso ci dicono oggi che questa situazione che non è (più) vera. Le stime economiche per i prossimi mesi e per i prossimi anni perdono totalmente valore se si crea un problema di capacità logistica. Si rischia, in questo senso, di parlare di una crescita potenziale che non si potrà concretizzare.
Vediamo cosa sta accadendo in termini di scenario. Si può dire che si sta andando verso una regionalizzazione delle catene logistiche dopo la “sbornia” della globalizzazione?
Perona: “Fare previsioni in questo contesto fortissimamente perturbato è davvero rischioso. Il gioco d’azzardo di Putin riuscirà, oppure verrà ribadita la dominanza del blocco Occidentale? La Cina saprà approfittare della situazione per sedersi ancora più stabilmente tra le super-potenze globali? Si arriverà ad un regolamento di conti tra USA e Cina, oppure troveranno modi di comporre i contrasti su Taiwan? E l’Europa, troverà più compattezza ed unità di intenti? La variabile geo-politica sta prendendo chiaramente il sopravvento sulle considerazioni economiche e di business che hanno dominato la scena nei decenni precedenti. Certamente possiamo dire che ci attendono tempi molto, molto diversi da ciò che abbiamo visto negli ultimi decenni. Volendo azzardare, vedo tre possibili scenari evolutivi:
1) Un fenomeno di back-shoring (rientro della produzione nei paesi d’origine) o quanto meno di near-shoring (ripiegamento verso Paesi a basso costo del lavoro ma molto più vicini), in cui le imprese, spaventate per le possibili evoluzioni dello scenario internazionale, decidano di accorciare in maniera decisa le proprie catene del valore.
2) La diversificazione dell’off-shoring, attraverso l’apertura di nuove opzioni di fornitura e produzione off-shore che si affianchino a quelle già attualmente operative, centralizzate sul Far East e sulla Cina.
3) Il mantenimento dello status quo, ma con un significativo aumento delle scorte per disaccoppiare i diversi stadi produttivi e distributivi delle catene del valore.
Difficile dire quale approccio prevarrà: si stanno già vedendo comunque singoli casi che vanno in tutte e tre queste direzioni. In ogni caso, stanno cambiando l’approccio e la strategia delle grandi multinazionali che sono molto più attente alla geo-politica e all’impatto che i fenomeni internazionali possono avere sulle supply chain e sulla logistica”.
Frosi: “Ci sono altri due fenomeni importanti che riguardano in particolare il manifatturiero. In primo luogo, abbiamo imprese che investono in magazzini e “polmoni di scorta” vicini alla produzione. In seconda istanza avanzano politiche internazionali legate all’impatto ambientale che tendono a “prezzare” le emissioni prodotte lungo tutto il ciclo di produzione e che potrebbero portare a loro volta a scegliere fornitori più vicini e di carattere locale”.
C’è poi un tema di fiducia che non si può sottovalutare. Si dice che quando la catena della logistica va in tilt si genera sfiducia e le imprese frenano gli investimenti. Siamo in questa situazione? E come si può restituire fiducia alle imprese?
Perona: “Non credo ci si trovi in questa situazione. Anzi è probabilmente vero il contrario: quando la logistica va in tilt è imperativo muoversi per evitare che vengano interrotte le catene del valore e che si crei un disservizio ai danni dei clienti, con conseguente riduzione del fatturato. È fondamentale reagire con molta determinazione: le imprese devono capire in quale direzione indirizzarsi e devono muoversi velocemente per trovare delle soluzioni”.
Frosi: “Concordo. Le aziende, specie le imprese committenti, oggi sono incentivate a investire sulla logistica ma è poco chiara la futura politica della logistica in Italia. Su cosa vogliamo puntare? Sull’elettrico? Sull’idrogeno? Sulle ferrovie? E che ruolo potranno avere i magazzini “green”? Accanto a questi temi ce ne sono poi altri non meno importanti che impattano direttamente sul futuro delle imprese e della logistica come la eventuale spinta sull’automazione di magazzino o verso politiche più labour intensive o il rapporto legato alla gestione delle merci nelle città in termini di ripensamento sostenibile della mobilità cittadina”.
Che impatto ha avuto l’e-commerce sulla logistica? E quanto questo fenomeno può aver “saturato” la capacità di gestione dei servizi del settore?
Perona: “L’e-commerce è uno dei fattori evolutivi della logistica, ma non è il solo. Pensiamo ad esempio alla digitalizzazione, con gli sviluppi legati a geolocalizzazione, tracciabilità e agli analytics predittivi, e così pure ai temi della sostenibilità attraverso le logiche del km zero, delle nuove tipologie di trasporto merci e della intermodalità. Il tutto naturalmente rivoluzionato, come si è detto, dal combinato disposto di pandemia e guerra”.
Frosi: “L’e-commerce è importante, ma è solo uno degli elementi trasformativi della logistica. E, come amava affermare Gino Marchet, rappresenta l’evoluzione di una logistica che è sempre più orientata alla gestione di “prodotti singoli”. E questo impatto vale in particolare per il B2B e per il retail, che fanno ordini sempre più piccoli.
Relativamente all’evoluzione dell’e-commerce, si devono registrare le conseguenze, in termini di qualità, nei livelli di servizio che si pretendono dalle imprese di logistica, anche nel B2B. In altre parole, certe informazioni che stanno “facendo la differenza nel B2C” a favore dei consumatori finali non sono così necessarie nel B2B. In questo senso, si registra una certa insofferenza verso quegli effetti “negativi” dell’e-commerce che tendono a concentrare sui servizi per il commercio elettronico la maggior parte delle attenzioni e degli investimenti. Non bisogno dimenticare che in quasi tutti i settori più del 90% dei volumi è ancora legato ai canali tradizionali”.
Siamo in una fase in cui l’efficienza è una priorità. Come si deve operare per rendere più efficiente la logistica?
Perona: “L’efficienza continua ad essere importante, ma lo sarà sempre meno. Conteranno invece sempre di più la resilienza, ossia la capacità di resistere alle perturbazioni, e la sostenibilità in tutte le sue declinazioni: ambientale, sociale e naturalmente economica”.
Frosi: “Certamente, l’efficienza è importante ma non è tutto: la logistica ha dimostrato in questi due anni tutta la sua importanza in termini di continuità e supporto al business. Possiamo dire che vale la regola: “No logistics, no party”.
Torniamo all’evoluzione del mercato. A fronte di una situazione per le imprese che si ritrovano ad affrontare ritardi nelle consegne e un contestuale aumento dei costi è legittimo chiedersi se sia necessario riprendere a investire sui magazzini, E quanto pesa oggi la logistica sui margini delle aziende?
Perona: “Confermo, sarà sempre più importante ritornare a fare magazzino, compiendo a ritroso parte del cammino fatto nella direzione delle tecnologie e delle pratiche “lean”. Inevitabilmente questo inciderà per qualche punto percentuale sull’economia globale. Già in questi ultimi 2 anni si parla, complessivamente, di un aumento delle scorte globali stimata attorno ad 1% del PIL mondiale. Non dobbiamo però dimenticare che il rischio di interruzione della catena del valore è molto più elevato e non ce lo possiamo (più) permettere”.
Come ci si deve muovere? Come definire una nuova “strategia logistica” adatta ai tempi e alle circostanze?
Perona: “Per decenni abbiamo insegnato agli studenti l’importanza di cercare il punto di equilibrio ottimale tra efficacia ed efficienza, ovvero tra il miglior livello di servizio e il miglior costo. Adesso è arrivato il momento di introdurre una nuova variabile nell’equazione: il rischio di rottura della catena del valore. Dovremo allenarci a ricercare il punto di equilibrio ottimale tra efficienza, efficacia e rischio. Sarà più difficile e, presumibilmente, meno efficiente sul breve termine, ma complessivamente conveniente sul lungo termine, nel nuovo scenario globale”.
Frosi: “È assolutamente così. Pensando alla logistica in outsourcing, bisognerebbe traslare il concetto di total cost of ownership (TCO), smettendo di guardare solo alla tariffa più bassa possibile, ma aprendoci a considerazioni più ampie, che abbracciano oltre al prezzo anche: la sostenibilità economica, ambientale e sociale, i disservizi, i servizi a valore aggiunto offerti dai provider, ecc.
Quanto è importante oggi la scelta di tornare a localizzare la produzione in territori più vicini ai mercati di sbocco?
Perona: “Come si diceva prima, questa è una delle opzioni di ridisegno delle filiere internazionali che sono sul tavolo. Oltre all’evoluzione dello scenario geo-politico internazionale, che avrà un peso determinante nell’indirizzare le scelte delle imprese, ci sono altri fattori, alcuni dei quali giocano a favore ed altri invece contro questa scelta. Tra i nostri punti di debolezza ci sono: le piccole dimensioni delle imprese Italiane, sia produttive sia logistiche, che hanno generato un elevatissimo frazionamento della base produttiva, rendendo molto difficile trovare economie di scala, sviluppare capacità di investimento, e condividere una visione globale. Su questo pesa poi la complessiva arretratezza delle competenze e dell’infrastruttura digitale che purtroppo contraddistingue il nostro Paese. Questi aspetti rendono più difficile muoversi per le aziende Italiane rispetto a quanto accade in altri Paesi.
Ci sono però anche alcuni punti di forza del sistema-Italia: le nostre imprese fanno ricorso ancora in modo limitato al global sourcing rispetto ad altre grandi economie: così ci ritroviamo più avanti di altri nel percorso verso il back-shoring o il near-shoring. Inoltre, abbiamo una lunga tradizione di relazioni amichevoli con Paesi vicini ma a basso costo del lavoro, a cui siamo anche geograficamente (e forse anche culturalmente) più prossimi della Francia o della Germania, per non fare che due esempi. Non ultimo, possiamo contare su una elevatissima varietà di settori, aziende, competenze e capacità micro-imprenditoriali fortemente distribuite sui territori: è la ben nota logica dei “distretti industriali”, molto ben rappresentata da questo uditorio (Confartigianato Varese): quindi, da noi è più facile trovare alternative di fornitura locali”.
Vediamo nel futuro una divisione in blocchi, occidentale e orientale. E questo significa andare verso filiere più corte, cosa che potrebbe rappresentare un vantaggio competitivo per le Pmi, che sono molto flessibili e si adattano a scari che cambiano. Però, quello che sta succedendo in Italia è che tante Pmi stanno sparendo e tante vengono assorbite dalle grandi imprese. Possono giocare, in questo contesto, un ruolo importante le filiere?
Perona: “La mia sensazione -ma non sono affatto un esperto di geo-politica- è che forse stiamo vivendo le avvisaglie di un progressivo tramonto dell’egemonia americana; al contempo, osserviamo la progressiva affermazione della Cina. Se, quando e come avverrà il cambiamento degli equilibri si fatica a dirlo. Ma di sicuro lo senario geopolitico cambierà e ci saranno ricadute: la formazione dei blocchi da lei indicati e il back-shoring, ad esempio. E ci sarà l’esigenza in determinate aree tecnologiche di portare precipitosamente a casa la produzione: parlo per esempio dei semiconduttori.
Difficile dire se il modello italiano basato sulle piccole e micro imprese riuscirà a trovare un modo di sopravvivere e riorganizzarsi in questo nuovo contesto. Ma ci sarà probabilmente un graduale processo di accorpamento e crescita, a meno di quelle piccole imprese che sono in grado di fare produzioni super-specializzate per brand, design o tecnologia. In questo scenario geo-politico in evoluzione è essenziale costruire il terzo polo, che è l’Europa, che oggi non c’è. Credo che un’Europa politicamente e anche militarmente forte sarebbe una grande risorsa per le nostre imprese, anche piccole (e non solo!).
Frosi: continuo a credere che la specializzazione continuerà a essere un valore, insieme alle competenze delle piccole e medie imprese. È ineluttabile però che un po’ la dimensione debba crescere. Questa progressiva crescita è già in corso. Io credo anche nel valore delle alleanze, delle reti di impresa e se penso alla logistica, sia come disciplina sia come principi sia come pratica, è questo: è mettersi insieme, e fare efficienza per raggiungere i migliori servizi al minor costo. E cosa c’è di meglio di condividere un camion o un magazzino? La logistica in questo si presta: non è la produzione, di cui le aziende sono gelose, la logistica è uno strumento attraverso il quale si può lavorare insieme.