Tra i 17 obiettivi di Sviluppo sostenibile identificati dalle Nazioni Unite (Sustainable Development Goal), cosiddetti SDGS, l’obiettivo 11 è dedicato a rendere le città e gli insediamenti urbani più inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili. Nell’ottica di uno sviluppo che sia sostenibile allo stesso tempo dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, è necessario che tale obiettivo sia dettagliato in specifici micro-obiettivi.
A tal proposito, uno dei principali scopi dell’obiettivo 11 riguarda i trasporti sostenibili che, secondo le Nazioni Unite, dovranno essere non solo rispettosi dell’ambiente fisico, ma dovranno andare incontro alle esigenze di una pluralità di soggetti diversi, in particolare delle persone più vulnerabili (ad esempio donne, bambini, persone con disabilità, persone anziane). Al fine di rendere i trasporti realmente inclusivi, essi dovrebbero essere non solo rafforzati, ma soprattutto progettati intorno alle esigenze del singolo.
Ugualmente importante per l’obiettivo 11 è lo scopo riferito al raggiungimento di una urbanizzazione inclusiva, che prevede quindi la capacità di pianificare e gestire gli insediamenti umani in maniera partecipata e integrata. L’esigenza di un approccio collaborativo, che veda il coinvolgimento degli stakeholder delle città al fine di realizzare spazi urbani orientati sulle esigenze di tutti e coerenti con il tipo di esperienza che vogliono avere, è fondamentale.
SDGS, la riduzione degli effetti dei disastri naturali
Accanto a tali scopi, sicuramente più conosciuti perché ritenuti essenziali per il futuro delle città, ce n’è un altro, che nel comune sentire risulta in secondo piano rispetto a quelli menzionati. Esso riguarda la riduzione degli effetti negativi dei disastri naturali. L’eccezionalità di eventi di questo genere nella quotidianità delle persone ha fatto in modo che l’individuazione di interventi strutturali e condivisi per far fronte alle problematiche derivanti da queste situazioni fosse in secondo piano rispetto ad obiettivi di interesse e visibilità maggiori.
Tuttavia, secondo le Nazioni Unite, occuparsi delle situazioni di disastro ambientale significa occuparsi anche dello sviluppo sociale ed economico delle città e dei territori, elemento essenziale affinché lo sviluppo sia realmente sostenibile per il futuro. Una grande catastrofe naturale, infatti, sebbene limitata nel tempo, ha un impatto fondamentale negli anni successivi al momento in cui accade. Le situazioni post-terremoto in Italia rappresentano un esempio di come sia difficile il ritorno alla normalità e come i decenni successivi conservino il segno di un evento di durata anche limitata. Quando si parla di disastri naturali, inoltre, non si fa riferimento unicamente alle grandi catastrofi mondiali che avvengono in maniera sporadica, ma anche ad eventi meno conosciuti e più circostanziati che fanno ugualmente registrare un risultato negativo in termini sociali ed economici.
L’obiettivo delle Nazioni Unite in termini di disastri naturali è dunque quello di ridurre in modo significativo entro il 2030 il numero di decessi e di persone colpite da tali disastri, nonché di ridurre le perdite economiche derivanti da queste situazioni.
Tale argomento non rappresenta comunque una novità. Le Nazioni Unite citano la “Yokohama Strategy and Plan of Action for a Safer World” (“Strategia e Piano d’azione di Yokohama per un mondo più sicuro”) del 1994 come primo importante punto di riferimento internazionale per la riduzione del rischio di catastrofi, occasione durante la quale era stata riconosciuta la forte relazione tra sviluppo sostenibile e l’esigenza della riduzione del rischio di catastrofi. Da allora, questa stretta relazione è stata continuamente rafforzata all’interno dei principali accordi globali. Gli accordi principali sono: il “Johannesburg Plan of Implementation” (Johannesburg, settembre 2002), il “Hyogo Framework for Action” (2005-2015), il “Future We Want” (Rio, giugno 2012), il “Sendai Framework for DRR” (Sendai, marzo 2016), per arrivare fino alla più recente “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” (New York, settembre 2015).
Gli SDGS secondo l’Onu
Sul sito delle Nazioni Unite dedicato alla descrizione dei Sustainable Development Goals (https://sdgs.un.org/goals), sono riportate anche le priorità che di volta in volta sono state attribuite dalla “Commissione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile” (UNCSD) al tema della gestione del rischio e della vulnerabilità. Nel periodo 2004-2005, ad esempio, si sono affrontate le questioni relative all’acqua, ai servizi igienico-sanitari e agli insediamenti umani, mentre nel periodo 2006-2007 si è posta attenzione alle problematiche legate alla siccità e alla desertificazione. In particolare, in occasione della “Giornata Mondiale dell’acqua” del 2004, sono state lanciate le “Linee Guida per la riduzione delle perdite da inondazioni”. Questa pubblicazione mirava a fornire ai decisori una gamma di opzioni da considerare per ridurre le perdite associate alle inondazioni.
Il già citato “Sendai Framework for Disaster Risk Reduction”, adottato alla “Terza Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulla riduzione del rischio di disastri” (Sendai, 14-18 marzo 2015), e lo strumento successivo, vale a dire lo “Hyogo Framework for Action”, rappresenta un programma di 15 anni, volontario e non vincolante, che prevede sette obiettivi chiave:
- ridurre sensibilmente la mortalità globale in caso di catastrofi entro il 2030, mirando a ridurre la mortalità globale media per 100mila tra il 2020-2030 rispetto al 2005-2015;
- ridurre sensibilmente il numero di persone colpite a livello globale entro il 2030, con l’obiettivo di abbassare la cifra globale media per 100mila tra il 2020-2030 rispetto al 2005-2015;
- ridurre la perdita economica diretta dei disastri in relazione al prodotto interno lordo globale entro il 2030;
- ridurre sensibilmente i danni causati dalle catastrofi alle infrastrutture critiche e l’interruzione dei servizi di base, tra cui strutture sanitarie ed educative, anche sviluppando la loro resilienza entro il 2030;
- aumentare sensibilmente il numero di paesi con strategie di riduzione del rischio di catastrofi nazionali e locali entro il 2020;
- migliorare sensibilmente la cooperazione internazionale ai paesi in via di sviluppo attraverso un sostegno adeguato e sostenibile per integrare le azioni nazionali per l’attuazione del quadro entro il 2030;
- aumentare sensibilmente la disponibilità e l’accesso a sistemi di allerta precoce multi-pericolo e informazioni e valutazioni sui rischi di catastrofi per le persone entro il 2030
e quattro priorità d’azione:
- comprensione del rischio di catastrofi;
- rafforzare la gestione del rischio di catastrofi;
- investire nella riduzione del rischio di catastrofi per la resilienza;
- migliorare la preparazione alle catastrofi per una risposta efficace e ricostruire meglio nella fase di recovery, nella riabilitazione e nella ricostruzione.
Con la più conosciuta “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”, l’esigenza da parte delle Nazioni Unite di occuparsi della riduzione del rischio di catastrofi si orienta maggiormente verso la necessità di ridurre l’esposizione e la vulnerabilità delle persone più indigenti ai disastri, focalizzando l’attenzione sull’esigenza di strutture fisiche più resilienti.
Video: I 17 obiettivi di Sviluppo sostenibile dell’Onu
L’Europa risponde con Horizon 2020
La Commissione Europea, dal canto suo, nell’ambito del framework Horizon 2020 ha finanziato e sta tuttora finanziando programmi di ricerca, sviluppo e innovazione che mirino a creare società resilienti alle catastrofi. L’obiettivo è quello di finanziare progetti che promuovano l’innovazione non solo del lavoro dei cosiddetti “first responder”, vale a dire di coloro che prestano i primi soccorsi quando avviene un disastro, ma anche delle attività della società in generale. Il focus dei progetti è in senso lato su tutte le tipologie di disastri, inclusi eventi meteorologici legati al clima, terremoti ed eventi vulcanici, eventi meteorologici spaziali, disastri industriali e minacce terroristiche.
Più nello specifico, la Commissione Europea negli ultimi tre anni ha finanziato progetti attraverso tre call principali, quali:
- “Human factors, and social, societal, and organisational aspects for disaster-resilient societies”, che focalizza l’attenzione sull’importanza dell’interazione tra i diversi stakeholder nell’affrontare le crisi causate dai disastri;
- “Technologies for first responders”, che si focalizza su una ricerca di nuove soluzioni tecnologiche per coloro che si occupano di primo soccorso durante situazioni di disastro;
- “Pre-normative research and demonstration for disaster resilient societies “, che invece si focalizza sullo studio di una normativa armonizzata su questo tema.
Il progetto Links
Il progetto “Links – Strengthening links between technologies and society for European disaster resilience” (http://www.links-project.eu/) è un progetto finanziato dalla Commissione europea nell’ambito della prima delle call riportate. Lo scopo del progetto è condurre uno studio completo sull’utilizzo e gli impatti delle piattaforme di social media e crowdsourcing nelle attività legate alla gestione dei disastri, e comprendere meglio i modi in cui i diversi stakeholder coinvolti possano collaborare in modo efficace in questi processi.
Obiettivi
Gli obiettivi principali di Links sono principalmente due. Da un lato il progetto intende sviluppare un framework (Links Framework), che mette insieme possibili metodi, strumenti e linee guida che ricercatori, professionisti e responsabili politici possono studiare ed utilizzare al fine di ottimizzare l’uso delle piattaforme di social media e crowdsourcing nella gestione dei disastri. Il framework sarà, inoltre, valutato in cinque diversi scenari di disastro, vale a dire: terremoti (scenario che sarà studiato in Italia), inondazioni (Danimarca), rischi industriali (Olanda), siccità e terrorismo (Germania). Lo scopo di questi scenari è proprio quello di comprendere come gli strumenti, i metodi e le linee guida identificate possano adeguarsi a diverse condizioni e contesti di riferimento.
Il progetto sta anche costruendo una comunità di stakeholder, inclusi professionisti, industrie, responsabili politici e decision maker, comunità scientifiche e cittadini. La Links Community funge da forum per lo scambio continuo di conoscenze, esperienze e best practice sugli usi delle piattaforme di social media e crowdsourcing nelle situazioni di disastro.
Per raggiungere questi obiettivi, il progetto segue un approccio di ricerca integrativa, partendo da una valutazione dei tre domini di conoscenza complementari:
- Disaster Risk Perception e Vulnerability, vale a dire lo studio di come le persone percepiscono i rischi derivanti da una situazione di disastro;
- Disaster Management Processes, vale a dire i processi organizzativi per la gestione dei disastri;
- Disaster Community Technologies, ovvero le tecnologie impiegate in queste occasioni.
I partecipanti
Il Consortium che lavora sul progetto riunisce le competenze di 15 organizzazioni partecipanti e due partner associati in Europa (Belgio, Danimarca, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi) e fuori dall’Europa (Bosnia ed Erzegovina, Giappone). I partner rappresentano le organizzazioni e le reti dell’UE per la gestione e la sicurezza delle emergenze (European Organization for Security, Federation of the European Union Fire Officer Associations), i primi soccorritori locali e nazionali, la protezione civile e le forze dell’ordine (Disaster Preparedness and Prevention Initiative for South Eastern Europe, Greater Copenhagen Fire Department, Province of Terni – Civil Protection Office, Security Region Zuid-Limburg, Safety Innovation Center), cittadini, autorità pubbliche e organizzazioni della società civile (Comune di Frederiksberg, Save the Children Italia ONLUS), comunità imprenditoriali e industria (Sitech Services of Chemelot, European Organization for Security) e istituti di ricerca (German Police University, Link Campus University, Safety Innovation Center, University College Copenhagen, University of Copenhagen, University of Florence, Vrije University of Amsterdam).
Il progetto è alle prime fasi. Attualmente si stanno tenendo seminari interni e workshop “pilota” con i professionisti per capire meglio come essi utilizzerebbero le piattaforme di social media e crowdsourcing nelle loro operazioni in diversi scenari, quali pratiche sono già in uso e cosa è necessario.