SUSTAINABILITY MANAGEMENT

Parmigiani, Sustainability Makers: la sostenibilità come driver di conoscenza e innovazione

Un forte presidio sui temi della sustainability ma con specifiche competenze di settore, l’attenzione ai dati e al ruolo del digitale, l’importanza di disporre di soft skill per gestire relazioni e collaborazioni sono alcuni dei fattori che caratterizzano l’evoluzione del sustainability management secondo Marisa Parmigiani, presidente di Sustainability Makers

Pubblicato il 10 Nov 2023

Marisa Parmigiani, presidente di Sustainability Makers

Sustainability Makers rappresenta un punto di osservazione speciale per comprendere come sta evolvendo il ruolo dei sustainability manager nel nostro Paese. L’associazione rappresenta il network dei professionisti e dei manager della sostenibilità dal 2006, prima con la denominazione di CSR Manager Network e successivamente, dal 2021, come Sustainability Makers. Con attività di studio, di ricerca, di rappresentanza e di confronto questa organizzazione supporta e accompagna l’evoluzione del sustainability management (qui per maggiori informazioni sull’associazione n.d.r.).

ESG360 ha scelto di confrontarsi con la presidente di Sustainability Makers, Marisa Parmigiani, per analizzare l’evoluzione del ruolo e delle competenze dei sustainability manager (Marisa Parmigiani è anche Head of sustainability and stakeholder management Unipol Group e Direttrice Fondazione Unipolis n.d.r.).

Come vedete, come Sustainability Makers, la situazione relativa al sustainability management in Italia? Quali sono le principali tendenze?

Una delle tendenze più rilevanti per il sustainability management riguarda i temi delle deleghe relative alla sostenibilità. Si sta riconoscendo in modo più chiaro l’importanza di presidiare questo tema in azienda: aumentano i casi di sustainability manager che dopo aver iniziato a occuparsi di sostenibilità in modo “parziale“, ovvero affiancandola ad altre deleghe, sono stati “investiti” di un impegno a tempo pieno. Nello stesso tempo, si segnala una maggiore presenza di queste figure professionali nelle aziende di medie dimensioni, accanto alle grandi imprese dove il sustainability management è presente da anni con una struttura codificata di presidio e con una specifica governance.

Discorso diverso nel caso delle piccole imprese dove è il tema è spesso affrontato ancora in forma di delega parziale e dove ci attendiamo che si possano sentire gli effetti della direttiva CSRD, anche per quanto attiene agli obblighi relativi alla raccolta di informazioni sulla catena di fornitura da parte delle aziende di maggiori dimensioni.

Un’altra tendenza importante, in particolare nei settori più esposti agli obblighi normativi come energy, finance o manufacturing, riguarda la necessità di unire competenze specifiche legate agli adempimenti di sostenibilità con competenze di dominio relative al settore di appartenenza.

Concretamente, la complessità normativa e la gestione dei temi di materialità stanno spingendo verso una convergenza di competenze tra sustainability e specializzazione di settore.

La principale opportunità e la principale criticità per il sustainability management?

Una bella opportunità è certamente rappresentata dall’evoluzione in corso in termini di posizionamento del sustainability management all’interno degli organigrammi aziendali. Registriamo infatti il passaggio “verso l’alto” da una funzione che era spesso in team alla comunicazione o alle relazioni istituzionali o ad altre aree aziendali in funzione del settore, verso un riporto diretto al top management.

Questo significa che la sostenibilità è vissuta in modo più strategico nelle imprese, vuol dire maggiore autonomia per il sustainability management e maggiore centralità nei processi decisionali.

La criticità è per certi aspetti collegata al rischio che questa stessa opportunità possa incontrare un ostacolo o un freno. Il pericolo è dato dal fatto che gli adempimenti previsti dalla normativa CSRD sulla responsabilità aziendale nella gestione delle informazioni del sustainability statement possano portare o riportare il sustainability management “sotto” il finance. Il rischio potrebbe essere quello di una perdita di visione complessiva e di incisività di questo ruolo a livello di strategie aziendali.

Come stanno evolvendo le competenze del sustainability management?

Anche qui osserviamo un progresso importante. Un tempo le aree forti di competenza erano la rendicontazione e le certificazioni in particolare nelle aree produttive. Il maggiore coinvolgimento sui temi della pianificazione strategica e della gestione della transizione stanno arricchendo il portfolio di competenze, allargandolo ai fattori climatici, al controllo delle emissioni, alle compensazioni o ai fattori sociali. Una tendenza che conferma il ruolo del sustainability manager come un abilitatore di conoscenza.

Quanto e come stanno crescendo i temi legati all’innovazione e al digitale in particolare?

Il ruolo dell’innovazione e del digitale è importantissimo. Si registra una grande vitalità da parte dell’industria IT nell’offrire soluzioni espressamente dedicate ai temi della sostenibilità sia per quanto attiene ai dati, sia per quanto attiene allo stakeholder management. In questo senso va detto che la componente di gestione della materialità è stata in generale molto digitalizzata negli ultimi anni. Il problema comune a tante soluzioni tecnologiche è negli automatismi per la gestione dei dati. Di fatto c’è ancora tanto lavoro manuale. In particolare, nelle attività relative alla pianificazione strategica è necessario raccogliere dati con tempistiche più brevi e con maggiore precisione.

Un tema sul quale c’è molta attenzione riguarda il ruolo dell’Intelligenza Artificiale: sarà molto importante capire come l’AI, ad esempio per la parte di lettura e analisi automatica dei documenti, possa velocizzare la visualizzazione e la individuazione dei fenomeni rilevanti in forma di dashboard. In altre parole, l’aspettativa è di velocizzare il passaggio dal dato alla conoscenza e a una rappresentazione visuale più efficace.

Come vede la relazione tra l’innovazione digitale e l’evoluzione del sustainability management? Il sustainability manager resta una figura di orchestrazione tra competenze diverse?

Le soft skill in un sustainability manager sono quasi più importanti delle hard skill. Le capacità di interagire, di costruire il consenso, di attivare forme di collaborazione sono e saranno centrali nella nostra professione. Non possono essere sostituite da una piattaforma, ma possono essere rafforzate e amplificate.
Un sustainability manager per alzare il livello di attenzione e azione verso la sostenibilità deve conoscere bene cosa avviene in azienda, deve dialogare costantemente. Senza questi presupposti qualsiasi piattaforma di collaboration resterebbe vuota. Peraltro, l’innovazione stessa può essere funzionale a rendere più pervasiva e più efficiente questa attività.
È certamente importante, a prescindere dagli strumenti e dalle soluzioni, mantenere forte nelle imprese una relazione diretta tra sostenibilità e innovazione. Non si deve correre il rischio di interpretare la sostenibilità come una forma di adempimento o di compliance.

 

Quale ruolo vedete per l’ESG? Sta effettivamente aiutando lo sviluppo di strategie di sostenibilità?

Questo è un tema enorme sul quale c’è un grande dibattito, anche con punti di vista molto diversi. Si può dire che l’ESG abbia aiutato le aziende ad avvicinarsi ai temi della sostenibilità, ha promosso la diffusione di una maggiore attenzione ai fattori di rischio e ai temi materiali, ma nello stesso tempo le logiche di gestione dell’ESG hanno spinto ulteriormente verso nuove forme di compliance che non sempre valorizzano adeguatamente l’aspetto fondamentale della sostenibilità come responsabilità e come innovazione.

Prosegui la lettura delle strategie e delle esperienze di sustainability manager di importanti aziende e organizzazioni.

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