Sustainability management

Lactalis in Italia: net-zero, benessere animale, packaging tra i nostri goals

La grande sfida dello “Scope 3” connessa ai temi del food waste e all’importanza di una valutazione dell’impatto aziendale secondo i criteri del capitale economico, cognitivo, sociale e ambientale al centro del confronto con Gianmarco Tammaro, Sustainability Manager del Gruppo Lactalis in Italia

Pubblicato il 18 Lug 2022

Gianmarco Tammaro, Sustainability Manager del Gruppo Lactalis in Italia

La bellezza della sostenibilità si coglie anche nella libertà con cui ciascuna azienda interpreta il proprio percorso, nella capacità di individuare i temi e gli ambiti della propria catena del valore sui quali agire in modo più incisivo per raggiungere i propri obiettivi. In questo scenario, le imprese che operano nel mondo agroalimentare hanno una “speciale responsabilità” che deriva dal legame del valore del cibo con l’ambiente e i con i consumatori. Ed è anche con questa speciale attenzione che ESG360 ha voluto approfondire la conoscenza dei progetti, delle esperienze, delle strategie di Gianmarco Tammaro, Sustainability Manager del Gruppo Lactalis in Italia.

 

Iniziamo da una dimensione personale, quando nasce e da dove arriva l’attenzione sui temi della sostenibilità?

La sostenibilità è sempre stata al centro dei miei interessi. Quando questo tema non era ancora così ben inquadrato studiavo all’Università Federico II di Napoli. Nel mio percorso di studi in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio ho affrontato tesi focalizzate sull’utilizzo di materiali secondari nell’ambito di sperimentazione tecniche con un’attenzione all’economia circolare. Arrivando alla situazione attuale nel Gruppo Lactalis in Italia ricopro il ruolo di Sustainability Manager, dopo aver seguito il tema della sostenibilità nella divisione Sustainability di Deloitte in Italia. Durante questa precedente esperienza ho affrontato il tema sia dal punto di vista di compliance sia dal punto di vista del miglioramento volontario delle performance aziendali, come ad esempio tramite la redazione e l’assurance dell’informativa non finanziaria e/o tramite l’implementazione di nuove pratiche per migliorare le performance ESG.

Arriviamo a Lactalis, come si configura il suo impegno su questi temi?

L’impegno arriva da lontano, le aziende del Gruppo, da Galbani a Parmalat, ne sono un esempio. Nello specifico, il Gruppo ha sempre avuto l’innovazione nel proprio DNA ed è stata la prima azienda alimentare ad avere ottenuto la certificazione “Plastica seconda vita” per la bottiglia “Puro blu” per il latte con Parmalat.  Pratica che prevede l’utilizzo di plastica riciclata all’interno del packaging. L’iniziativa, oltre ad aver contribuito a ridurre l’impatto ambientale della stessa, è stata anche una best practice di economia circolare. L’impegno nei confronti della sostenibilità, in una prima fase si esprimeva più come una “libera scelta” legata al senso di responsabilità. Oggi questo processo si concretizza nella produzione di dati e in rendicontazioni da dichiarare verso l’esterno.

L’altra grande differenza rispetto al passato è che oggi l’impegno viene categorizzato, dichiarato con strumenti che prima non erano richiesti e non erano disponibili. Ne sono un esempio i position paper a livello di gruppo sui temi della Sostenibilità Lactalis mette a disposizione di tutti gli stakeholder (QUI il paper sul carbon zero journey; QUI il paper relativo al packaging e all’economia circolare; QUI il paper relativo al welfare animale). A questi documenti si affiancano poi i materiali relativi alla rendicontazione, ai bilanci di sostenibilità che prima erano più “ad uso interno”, e che adesso si rivolgono al mercato e ai consumatori.

Quali obiettivi vi siete dati e che rapporto avete stabilito con gli SDGs?

Dal punto di vista degli obiettivi aziendali è stata realizzata, nel corso degli ultimi due anni, un’analisi strutturata di materialità con il coinvolgimento di un numero cospicuo di stakeholder. Sulla base delle tematiche emerse sono stati definiti tre pilastri per focalizzare l’impegno del gruppo: benessere animale, packaging, emissioni nette zero di CO2.

Sul benessere animale in ogni Paese si stanno definendo le migliori pratiche da adottare anche per contribuire allo sviluppo delle normative. In Italia disponiamo di uno strumento che ci permette di monitorare la gestione delle stalle e che contribuisce all’assessment sull’impatto ambientale e sulle pratiche sociali.

Il packaging sostenibile lo viviamo come un tema strettamente connesso alla sicurezza alimentare e ragioniamo nell’ottica di implementare buone pratiche senza in alcun modo rischiare di “perdere sicurezza” che è e resta prioritaria. Ci siamo poi dati obiettivi progressivi per ridurre l’utilizzo di materiali non rinnovabili nel packaging (dismissione del PVC al 2025), introducendo da una parte materiali riciclabili e concretizzando dall’altra un impegno in termini di educazione dei consumatori.

Il terzo pillar attiene alla riduzione delle emissioni. Abbiamo l’obiettivo di essere “Carbon Net Zero al 2050” coinvolgendo così anche la filiera (Scope 3), con step intermedi che puntano ad una riduzione delle emissioni di Scope 1 e 2 del 25% al 2025, 50% al 2033.

Ma non ci fermiamo qui, anche i temi del food waste e della riduzione nei consumi di acqua sono per noi fondamentali.

 

Più nello specifico, qual è il ruolo degli SDGs?

Intendiamo contribuire in modo diretto e indiretto agli SDGs che sono chiaramente identificati nei bilanci di sostenibilità di Galbani e Parmalat e che, per fare qualche esempio, riguardano goals come: contrastare la fame; ridurre lo spreco alimentare attraverso l’efficientamento dei processi e la collaborazione con le Onlus; sensibilizzare i consumatori a uno stile di vita sano; garantire la sicurezza dei dipendenti; impegnarsi verso gli allevatori per attuare una gestione delle risorse che permetta di contrastare il cambiamento climatico. Ma consideriamo particolarmente importante il goal 17, quello relativo a partnership e obiettivi. Siamo convinti che non possiamo agire da soli, gli obiettivi si raggiungono solo se collaboriamo con tutti gli stakeholder e non solo in ottica di rapporto commerciale.

 

Vediamo meglio la relazione tra food waste e scope 3. 

Sì, lo scope 3 è oggi il tema più complesso, un po’ per tutti i settori, per noi lo è sicuramente nell’ottica di una collaborazione con la nostra filiera. Una risposta può arrivare dall’educazione dei consumatori ad acquistare in maniera responsabile e a migliorare la gestione del rifiuto. Nelle aziende si è capito che la sostenibilità non è solo una tendenza, ma consiste in una serie di azioni concrete, che prevedono progettazione, sviluppo e implementazione. È arrivato il momento di far arrivare questo messaggio in modo ancora più chiaro anche ai consumatori, affinché si possa avere una piena circolarità.

 

Come misurate le performance relative alla sostenibilità? Quali sono i Kpi e gli standard di riferimento?

La nostra rendicontazione è volontaria, la nostra informativa di sostenibilità viene consolidata in quella della capogruppo. Ogni anno facciamo una raccolta strutturata delle informazioni basandoci sulle linee guida GRI che poi trasmettiamo verso la capogruppo francese. In Italia il documento più rilevante è lo studio “impatto paese” realizzato in collaborazione con The European House – Ambrosetti, che misura il nostro impatto secondo il modello dei 4 capitali: economico, cognitivo, sociale e ambientale. Questo report offre una visione dell’impatto del nostro lavoro e della nostra impresa sul nostro paese.

Per evitare rischi di green washing abbiamo creato delle linee guida aziendali sul tema dei green claim. Ad oggi non c’è ancora una normativa dedicata e per evitare rischi reputazionali o equivoci di green washing ci siamo dotati di queste linee guida volontarie che stabiliscono dei principi per definire in modo corretto le comunicazioni ambientali verso l’esterno.

Vediamo il modello organizzativo che avete definito per raggiungere obiettivi di sostenibilità

In termini di organizzazione ci siamo dotati di un modello di governance, basato su tre livelli di operatività, volto a presidiare tutte le tematiche di sostenibilità per noi rilevanti.

  • Gruppi di lavoro inter-funzionali per presidiare le tematiche di interesse (es. energia, packaging, etichettatura, ecc.);
  • Team dedicato, a cui è stato affidato il compito di rendere omogenee le pratiche interne al gruppo analizzando la percezione dei diversi gruppi di lavoro sui temi della sostenibilità
  • Board ESG responsabile di definire la strategia e con potere decisionale.

In sintesi, c’è un livello operativo, un team che decide gli obiettivi sui quali concentrarsi e un board che valida le strategie.

Che ruolo svolge l’ESG?

Il tema è sfidante. Veniamo da rapporti con stakeholder e filiera caratterizzati da una dimensione primariamente commerciale e oggi questo rapporto si sta evolvendo. L’ESG rappresenta uno strumento abilitante per migliorare le performance di tutti ed è anche il punto di partenza per misurare e migliorare le pratiche di tutta la filiera.

Nella nostra realtà comprendiamo che dobbiamo raggiungere determinati obiettivi e dobbiamo farlo con nuove forme di collaborazione. Siamo davanti a una trasformazione che all’inizio rappresenta un costo, ma che nel lungo termine è un vantaggio. Un esempio di questo è rappresentato oggi dagli investimenti che abbiamo effettuato in passato per raggiungere l’autosufficienza energetica di alcuni nostri stabilimenti, oggi rappresentano un vantaggio competitivo importante.

Possiamo raccontare una esperienza particolarmente significativa dal punto di vista della sostenibilità?

Ci tengo a citare la collaborazione con Dynamo Camp Onlus per la quale abbiamo raccolto fondi attraverso la Milano City Marathon: l’evento è stato una ottima occasione sia per supportare una buona causa ma anche per stimolare l’engagement all’interno della nostra azienda.

Prosegui la lettura delle strategie e delle esperienze di sustainability manager  di importanti aziende e organizzazioni.

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