Il mondo dell’energia è chiamato, ormai da alcuni a questa parte, a un importante riconversione in un’ottica di decarbonizzazione e di contrasto al climate change. Chiaramente, per raggiungere questo traguardo è necessario un grande sforzo di innovazione su tutti i versanti: produzione, trasmissione, ecc. Come però mette in luce l’edizione 2021 del Rapporto I-Com sull’innovazione energetica, una sfida così articolata non può essere assicurata da una sola killer application, ma richiede un lavoro certosino da parte dei centri di ricerca pubblici e privati, chiamati a lavorare su svariati fronti, non certo sotto la luce dei riflettori. La ricerca di I-Com ha il merito di mettere in luce quanto questo lavoro sia diffuso a livello globale, andando a analizzare il fenomeno più evidente di questo sforzo, ovvero il numero di brevetti registrati e relativi al settore energetico. La prima osservazione che arriva dal report è che esiste un certo fermento innovativo nel settore: nell’ultimo decennio, il numero di brevetti concessi è più che raddoppiato, passando dalle quasi 46.000 unità del 2009, alle oltre 108.000 mila del 2019.
I Paesi leader nell’innovazione
Su base annuale, si registra un leggero incremento rispetto al 2018 (+1,7%), una crescita positiva ma decisamente più contenuta rispetto a quella media nel decennio (+9%). Ma quali sono le nazioni più attive nell’innovazione del settore energetico? In testa, secondo il report, c’è il Giappone, che, con quasi 29.000 nuovi brevetti nel 2019, ha riguadagnato il primato, perso l’anno prima in favore della Cina. Tuttavia il Paese del Sol Levante, rispetto a un decennio fa, ha oggi un ruolo meno dominante, con una incidenza sul totale dei brevetti energetici che si è ridotta al 26,6%. Molto forte, in particolare dal 2015 in poi, è stata l’avanzata della Cina, che ha viaggiato tra il 2009 e il 2019 a un tasso di crescita annuale del 21,7%. E l’Italia? i dati, come spesso capita, sono in chiaroscuro: numericamente, si è assistito a una crescita della brevettazione energetica nel nostro Paese, passata dalle 566 innovazioni registrata del 2009 alle 715 del 2019. D’altra parte, lo sviluppo del decennio (+2,4% annuo) è stata inferiore rispetto a quella vista a livello globale (come scritto in precedenza, +9%), dunque il peso italiano a livello globale si è ulteriormente ridimensionato (dall’1,2% allo 0,7%). L’attività brevettuale, nel nostro Paese, è merito quasi esclusivo delle imprese private, che spiegano ben l’89,2% dei brevetti complessivi. Mentre, sul piano geografico, l’attività innovativa appare essere appannaggio quasi esclusivo delle regioni del Nord, con una ripartizione tra le regioni sostanzialmente speculare rispetto a dieci anni prima.
Gli ambiti di investimento
L’altra grande domanda è: dove si stanno concentrando gli sforzi nel settore? Il report, restando al solo ambito elettrico, non è particolarmente sconvolgente: a livello globale l’attività innovativa infatti appare prevalentemente concentrata su accumulo (oltre 30.000 brevetti), fotovoltaico (11.200) – la cui incidenza relativa risulta particolarmente cresciuta, passando dal 12% del 2009 al 20% del 2019 – ed eolico (4.554). Insomma, più che al tentativo di trovare una soluzione completamente nuova e sperimentale, gli sforzi dei laboratori di ricerca appaiono soprattutto concentrati sulla necessità di consolidare e ottimizzare le tecnologie maggiormente impiegate in ambito elettrico, in particolare sul fronte energie pulite. Tendenze tutto sommato simili si riscontrano nel campo della mobilità sostenibile, dove risultano circa 32.200 le innovazioni presentate all’ufficio brevetti europeo. Con oltre 10.000 brevetti, è l’energy storage la tecnologia cui è attualmente rivolta gran parte dell’attenzione degli innovatori attivi in questo campo. C’è però anche una attività innovativa in forte crescita con riguardo sia ai veicoli elettrici che alle stazioni di ricarica, dove i brevetti risultano più che raddoppiati nel giro degli ultimi cinque anni di osservazione, tanto da rappresentare oltre la metà (54%), mentre ne costituivano meno di un terzo nel 2014. Attirano, invece, via via sempre meno attenzione i veicoli ibridi, cui è rivolto solo un brevetto su dieci circa, mentre invece nel 2019 continuavano a rimanere marginali le tecnologie a idrogeno, il cui sviluppo è però atteso per i prossimi anni.
Le startup italiane dell’energia
Un capitolo del report i-Com è dedicato all’universo startup: su un totale di circa 12.200 startup operanti nel nostro Paese, oltre una su 10 (1.780) opera nel mondo energetico. Si tratta di realtà tendenzialmente più innovative rispetto alle altre: circa il 23% di esse (contro il 17% del campione totale) ha depositato un brevetto o registrato un software. Il focus, più che sull’hardware, è sui servizi: le startup in ambito energetico italiano si occupano prevalentemente di ricerca scientifica e sviluppo (1.647 imprese, il 93% del totale), 62 fabbricano macchinari ed apparecchiature NCA (non classificabili altrove), 58 sono riconducibili a iniziative imprenditoriali che si occupano di fabbricazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche (3,3%) , mentre le restanti 13 fabbricano autoveicoli, rimorchi e semirimorchi. Le piccole dimensioni restano il principale elemento di criticità: la stragrande maggioranza delle startup (circa l’88%) fattura, infatti, meno di 500.000 euro, sia nel settore energetico che in altri, e in pochi casi la forza lavoro impiegata supera i dieci addetti (circa il 7%). Le sole startup energetiche, comunque, generano un valore di circa 700 milioni di euro.