Dalla teoria alla pratica. Il 2024 dell’ESG e dell’innovazione digitale per la sostenibilità si annuncia come un anno nel quale dovrebbe iniziare ad assumere maggiore importanza la valutazione di progetti concreti e best practices rispetto alla valutazione dei tanti scenari possibili, spesso subordinati a scelte complesse e sempre di medio lungo periodo. Nel processo decisionale delle imprese, accanto a questi scenari, arricchiti nella seconda parte del 2023 dalle prospettive legate alla diffusione dell’intelligenza artificiale, cresceranno nel 2024 gli spazi e le condizioni per valutare i risultati legati a casi ed esperienze misurate e rendicontate.
Il 2024 dell’ESG: più attenzione al “presente”
Forse è venuto il momento di ringraziare quella tensione che ha attraversato tutto il 2023 e che ha visto tante realtà criticare un approccio all’ESG troppo sbilanciato nella costruzione di progetti e prospettive di medio o di lungo periodo e poco attento invece al “presente”, alla realtà e alle difficoltà con cui si devono misurare le imprese ogni giorno. Questa presa di distanza dall’ESG è servita per ristabilire un ordine più corretto di priorità, non solo dal punto di vista finanziario, ma anche per le progettualità che caratterizzano la transizione energetica, industriale e sociale.
L’attenzione agli impatti socio economici di queste transizioni ha spinto nello scorso anno a valutare con più attenzione i rischi di transizione e, in definitiva, a considerare in modo sempre più integrato i temi della trasformazione sostenibile con i temi della trasformazione economica. Riprendendo qualche riferimento al linguaggio politico, il 2024 è l’anno in cui si dovrebbero superare le critiche di chi paventa una trasformazione energetica e sostenibile come un fenomeno che “conduce alla chiusura delle imprese” o comunque che genera disoccupazione e instabilità. Si prospetta un 2024 dell’ESG che integra nei Rischi ESG anche le difficoltà trasformative delle imprese nell’immediato.
Una maggiore maturità nel ruolo dei dati e del digitale
Oltre a una maggiore attenzione al “presente” e alla riduzione dei rischi di impresa che caratterizza già da un po’ di tempo l’ESG e le politiche del credito, le ragioni che spingono a considerare il 2024 dell’ESG come un anno che supera queste contraddizioni arrivano da una maggiore maturità nel ruolo della tecnologia, del digitale e dei dati in particolare.
Grazie alle tante e diverse opportunità di valorizzazione dei dati applicate alla possibilità di rendicontare sarà sempre più possibile comunicare in modo chiaro (riducendo i rischi di greenwashing) cosa vuol dire concretamente realizzare una produzione sostenibile, mostrare a clienti e investitori cosa significa attuare processi e prodotti sostenibili, dare vita a un contesto capace di favorire un consumo più sostenibile attraverso il quale recuperare risorse, energie e materiali (ad esempio con le logiche della circular economy). Questa capacità di far parlare i dati permetterà sempre di più di monetizzare i vantaggi di questa trasformazione.
Il 2024 dell’ESG deve essere anche l’anno in cui si arriva a confrontare in modo sempre più organico e oggettivo i risultati di una trasformazione sostenibile vissuta per troppo tempo prevalentemente sulla “carta” solo come una prospettiva potenziale per il futuro. Un’immagine che in tante circostanze l’ha vista subire il confronto con modelli di produzione e di consumo tradizionali che al contrario possono contare su decenni di dati, di consuntivo, di risultati. Questo confronto, nel 2024 dell’ESG, dovrà e potrà contare su dati, esperienze e risultati affinché nei processi decisionali possano entrare sempre di più la razionalità delle valutazioni di merito e non solo le (non meno importanti) valutazioni etiche, ideologiche o l’adempimento agli obblighi normativi.
Perché nella realtà e nella quotidianità non c’è un bene e un male in assoluto, c’è piuttosto un senso di responsabilità nei confronti delle risorse che è ben rappresentato dalla definizione di sostenibilità coniata nel 1987 dal Rapporto Brundtland (Our Common Future) che fa sempre bene ricordare e che cita testualmente: “lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Possiamo dire che nel 2024 iniziano ad esserci le condizioni (in termini di disponibilità di dati e di capacità di trasformarli in conoscenza) per poter valutare, anche al livello di singola organizzazione se, quanto e come le risorse utilizzate per le proprie attività compromettono ambiente e territorio per il futuro. Ma c’è anche qualcosa di più, e che deve rappresentare la leva per il superamento di un approccio ideologico di un ESG che guarda prevalentemente al futuro e che penalizza il presente e il futuro immediato (esattamente quel tipo di approccio che tanto spaventa per le sue ricadute sociali e occupazionali).
Tornando all’incipit di questo articolo: siamo davanti a un rapporto tra ESG e innovazione tecnologica che privilegia la pratica rispetto alla teoria e che guarda con maggiore attenzione e favore all’applicazione e valorizzazione di casi concreti.
Intelligenza Artificiale, sostenibilità per un 2024 iniziato con COP28
Un esempio nel segno della concretezza arriva anche agli spazi che sta conquistando l’Intelligenza Artificiale. Un percorso – quello avviato soprattutto nello scorso anno – che permette, grazie a una enorme e straordinaria disponibilità di dati, di verificare il vero valore, nel tempo, della ricerca tecnologica applicata al clima, della trasformazione dei fenomeni sociali, dei comportamenti e della gestione dei rischi.
Pe tante ragioni il 2024 dell’ESG è iniziato ai primi di dicembre con COP28. Il vertice sul clima dello scorso anno di Dubai ha messo in relazione, in molte occasioni, il ruolo dell’Intelligenza artificiale con le progettualità per il contrasto ai cambiamenti climatici, come potente acceleratore di trasformazioni ambientali e sociali. La relazione tra una Conferenza delle Parti, che per la prima volta dopo trent’anni riesce a citare l’abbandono dei combustibili fossili (purtroppo solo una citazione, ancora troppo poco impegnativa n.d.r.), e l’AI non è così teorica come forse potrebbe sembrare.
Alla conferenza sul clima è infatti apparso chiaro che per costruire un futuro senza carbone e senza petrolio è necessario far leva sull’innovazione tecnologica. Ovvero, occorre saper calcolare – ad esempio – il livello di assorbimento del carbonio da parte delle foreste, capire con precisione cosa si rischia se si continua con la deforestazione o quali miglioramenti si possono ottenere se si agisce sul piano sociale e se si cambiano i consumi alimentari. O, ancora, se si applica su scala planetaria, un piano per una trasformazione dei sistemi alimentari che abbia come obiettivi l’azzeramento di ogni forma di spreco e la diffusione di pratiche di agricoltura rigenerativa nelle quali oltre alla capacità di produzione alimentare si misurano anche i benefici economici che si possono ottenere in termini di riduzione dell’impatto ambientale. E di nuovo, è fondamentale avere indicazioni precise per conoscere i vantaggi che si possono ottenere se si indirizzano scelte di consumo sostenibili per i territori e per le imprese che li devono produrre o valutare i risultati che si possono raggiungere se si sviluppa l’industria del Carbon Capture & Storage CCS o del Carbon Capture Usage & Storage CCUS.
Scenari sì, ma per indirizzare progetti concreti. E il ruolo dell’Intelligenza Artificiale e del digitale in particolare nel 2024 dell’ESG sarà quello di supportare sia tutto il mondo delle imprese Cleantech e Climatech che sono totalmente focalizzate su questi risultati (anche nell’immediato, non solo in un futuro più o meno prossimo); sia delle imprese tradizionali che puntano a crescere, creando modelli di produzione, di consumo e di gestione dei processi che consentano non solo di dare soddisfazione “ai bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri“, ma che anzi sappiano trasformare questi modelli in un vantaggio.
Dati, applicazioni e intelligenza trasformativa per tutti
In questo senso, si possono citare azioni e progetti specifici come il Meccanismo Tecnologico per il Clima delle Nazioni Unite che attribuisce un ruolo chiave all’Intelligenza Artificiale e che con l’iniziativa AI4ClimateAction va a potenziare la capacità dei paesi in via di sviluppo di accedere ai benefici dell’AI per il clima e per lo sviluppo economico e sociale. Un esempio che risponde alla necessità di garantire la disponibilità di strumenti di conoscenza basati sull’Intelligenza Artificiale e sui dati necessari per alimentarli che nel 2024 dovranno essere accessibili anche alle imprese e alle organizzazioni meno dotate dal punto di vista delle risorse economiche.
Il ruolo poi delle Climatech in questo senso è determinante. Per passare dalla teoria alla pratica serve la tecnologia adeguata e non a caso il Climatech è stato centrale a COP28 dove è stata presentata la ricerca The Global Startup Ecosystem Report: Climatetech Edition e dove è stato possibile conoscere molte iniziative tra cui la IA Enterprise Neurosystem (avviata in realtà l’anno prima a COP27) con una competizione che punta a premiare applicazioni di AI e Machine Learning pensate espressamente per contribuire, in tanti e diversi contesti, alla riduzione delle emissioni nei paesi in via di sviluppo. Il tutto con l’obiettivo di arrivare a una reale democratizzazione di queste opportunità grazie alla creazione di un hub di applicazioni climatiche basate sull’AI accessibili in forma gratuita.
Senza Green Skill non si va da nessuna parte
In questo scenario, sempre nel segno della concretezza, entra in gioco l’altro grande tema che caratterizzerà il passaggio dalla teoria alla pratica per l’ESG, vale a dire i Green Skill. Per quanto le applicazioni climatiche basate sull’AI possano essere gratuite e per quanto le iniziative, ad esempio basate sul Nature Restoration Law possano prevedere degli incentivi per le imprese di minori dimensioni, tutto questo rischia di rimanere teoria se poi nelle imprese e nelle organizzazioni non ci sono le competenze necessarie per utilizzare queste risorse.
Il 2024 dell’ESG dovrà necessariamente essere un anno nel quale istituzioni e organizzazioni si impegnano ad affrontare il tema dei Green skill perché il rischio a cui si sta andando incontro è paradossalmente quello di aggiungere ai rischi legati a un digital divide ancora irrisolto anche un sustainability divide che impedisce di attuare misure o di attuarle correttamente, anche in presenza delle risorse necessarie, per mancanza delle competenze adeguate.
Un tema questo che è ben noto per quanto attiene alle misure di mitigazione dei cambiamenti climatici che è stato lungamente sottovalutato e che inizia a trovare un riscontro in relazione alla organizzazioni e alle imprese di maggiori dimensioni, mentre resta insufficiente nelle organizzazioni di minori dimensioni. Un obiettivo che, riprendendo i temi della rendicontazione, è stato penalizzato dalla difficoltà di valutare l’impatto della carenza di skill adeguati sui risultati del breve periodo.
Nel momento in cui il tema primario sta diventando a tutti gli effetti quello dell’adattamento ecco che la misurabilità nel breve diventa un tema (quasi) prioritario, irrinunciabile. E la necessità di contare su competenze adeguate per rispondere a tutti gli stakeholder (banche, finanziatori, clienti, partner) che chiedono ragione delle strategie e delle misure adottate, diventa un tema che impatta in modo diretto e immediato sul business delle imprese.
La vera sfida per le imprese della produzione: lo Scope 3
La necessità di rispondere a tutti gli stakeholder è il “cuore” dello Scope 3, la vera sfida nel 2024 per tutte le imprese di produzione caratterizzate da una importante e complessa catena del valore. Il digitale è pronto per raccogliere i dati, per analizzarli, per metterli a disposizione di una rendicontazione che è destinata a stravolgere i vecchi modelli per la enorme quantità di informazioni, per la complessità di elaborazione, per il livello di qualità, attendibilità e sicurezza che viene richiesto.
Ma anche per la “posta in gioco” che non è solo legata alla certezza di poter rendicontare la carbon e social footprint di un prodotto o di un servizio, ma di monetizzare tutti i benefici che derivano dalla riduzione degli sprechi, dalla riduzione delle emissioni, dalla efficienza nei flussi e nei processi di produzione. Sarà un 2024 nel quale alle soluzioni per la rendicontazione di sostenibilità verrà anche richiesto di contribuire alla generazione di nuovi profitti.
Finanza e sostenibilità: imprese attive anche senza la spinta dei governi
Se poi si guarda al 2024 da una prospettiva più legata alla dimensione finanziaria si possono individuare una serie di fenomeni che sono destinati a lasciare il segno nel 2024, sempre in relazione al ruolo dei dati e dell’innovazione tecnologica.
Il primo fenomeno è strettamente legato al passaggio dalla teoria alla pratica e riguarda il fatto che sui temi climatici prima di tutto e su quelli sociali (ancora un po’ meno) il settore privato non sta aspettando che i governi agiscano. Il 2024 dovrebbe essere destinato in particolare a sancire un sorpasso a livello di motivazioni all’azione climatica: non sarà più la necessità di un adempimento normativo a far partire una trasformazione sostenibile, ma i vantaggi economici che si possono ottenere. Le grandi imprese, ma sempre di più anche quelle di minori dimensioni, vedono il contrasto al cambiamento climatico non solo come una sfida, ma come una (necessaria) occasione di sviluppo.
Basti pensare alle tante forme di collaborazione che sono nate con il compito di definire degli standard, per contribuire a impostare le logiche di rendicontazione e per sostenere (in definitiva) nuove forme di investimento la cui redditività comprende e valorizza i temi dell’impatto. Un esempio su tutti è la Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ), nata in occasione di COP26 per promuovere l’azione per il clima all’interno delle industrie finanziarie e degli investimenti.
Si tratta di iniziative e operazioni che funzionano solo se possono contare su dati affidabili e di qualità. Ancora una volta è utile un richiamo a COP28 e in particolare alla Net-Zero Data Public Utility (NZDPU) una iniziativa che punta ad allargare l’accesso ai dati relativi al clima attraverso un repository centralizzato, gratuito e aperto. Un contributo ancora una volta per aiutare imprese e investitori a impostare la migliore modalità per la decarbonizzazione di operations, catene di fornitura, (Scope 3) ma anche per la gestione del portfolio di investimenti.
Sempre a COP28 e sempre per abilitare le imprese a predisporre in modo consapevole (ovvero con dati e conoscenza adeguati) le decisioni per ridurre le emissioni tenendo in considerazione il contesto nel quale operano è arrivato anche l’ex vicepresidente USA Al Gore per sostenere la piattaforma Climate Trace ovvero per favorire conoscenza e diffusione di un grande database pubblico progettato per sfruttare appieno tutte le potenzialità dell’Intelligenza artificiale, della raccolta di dati dalla sensoristica sul campo e dalle space technology e per metterli al servizio della decarbonizzazione delle supply chain.
Climate Trace, è una piattaforma per il monitoraggio indipendente delle emissioni di gas serra e punta su tre temi chiave nel 2024: la valorizzazione dell’indipendenza dei dati, le potenzialità di una tecnologia che mette a disposizione analisi sempre più precise e che permette di condividerle per aumentare e diffondere conoscenza e, non ultimo, la possibilità di esercitare pressione sulle grandi imprese affinché adottino realmente e su larga scala una strategia di decarbonizzazione su tutte le loro catene di fornitura.
Il nodo degli standard climatici (e social)
Ma perché questo accada su vasta scala occorre che il 2024 sappia affrontare e risolvere il tema degli standard climatici che devono essere più semplici, più condivisi, più flessibili e più specifici in funzione dei principali settori. Non è facile. Peraltro ci sono, come è ben noto, settori oggettivamente difficili da decarbonizzare dove la vera sfida è nella definizione di percorsi net zero che possono essere attuati solo se si concretizzano le trasformazioni di altri settori.
Il 2024 deve prendere atto che il cambiamento climatico non solo è in costante cambiamento ma che genera a sua volta processi di cambiamento profondo che trasformano gli scenari in cui si muovono imprese e organizzazioni. Le stesse proiezioni climatiche sono in costante evoluzione, e in questo caso il digitale e il dato, anche in chiave prettamente informativa, deve permettere a qualsiasi organizzazione di non trovarsi nella condizione di lavorare su obiettivi di riduzione delle emissioni che risultano sbagliati proprio perché concepiti su scenari obsoleti.
La natura in costante evoluzione dei dati climatici determina anche una evoluzione negli ostacoli che le imprese devono affrontare e una evoluzione dei rischi per il mondo finanziario che sostiene queste imprese e queste trasformazioni. Tra gli obiettivi del 2024 dovrebbe esserci anche una maggiore attenzione del mondo “normativo” ai fenomeni che caratterizzano i processi di transizione. Un esempio su tutti: le aziende che affrontano la trasformazione di attività ad alta intensità di carbonio per ridurre le emissioni nel breve periodo sono destinate ad aumentare, temporaneamente, le loro emissioni totali. Nello stesso tempo anche le imprese finanziarie che finanziano queste transizioni, soprattutto per aziende con una forme componente di tipo “hard to abate”, vedono aumentare, temporaneamente, la quota di emissioni in relazione ai loro finanziamenti. La normativa deve tenere conto di questi fenomeni.
Ci sono poi strumenti che permettono di gestire, calmierare, attenuare questi rischi. Il mercato volontario del carbonio è uno di questi strumenti e il 2024 dell’ESG promette di essere un anno nel quale questo mercato si trova nella condizione di giocare un ruolo veramente importante nel raggiungimento di obiettivi Net Zero da parte delle imprese, ancora una volta grazie alla disponibilità di dati e di rendicontazioni più affidabili.
Altri strumenti, o meglio altri fenomeni, come le condizioni che stanno seguendo alla Nature Restoration Law e ancora di più strumenti come la Task Force on Climate-related Financial Disclosures TCFD e la Taskforce Nature-related Financial Disclosures, TNFD. Le aspettative verso quest’ultima per il 2024 sono decisamente significative se si pensa che la Nature-related Financial Disclosures è riuscita ad attuare un processo per la rendicontazione ambientale che ha generato nel mondo qualcosa come 20.000 miliardi di dollari di asset in gestione.
Sarà probabilmente la logica alla base di questi strumenti a caratterizzare il 2024, ovvero una maggiore diffusione dell’approccio LEAP (Locate, Evaluate, Assess, Prepare) con il quale si possono misurare e valutare i risultati delle imprese calandoli sulla realtà definita dagli obiettivi Science-based. L’obiettivo finale è quello di passare dalla teoria alla pratica incoraggiando le imprese e le istituzioni finanziarie a utilizzare le informazioni per migliorare il processo decisionale. Per contribuire a dirottare i flussi finanziari globali verso progetti, iniziative, imprese in grado di generare un impatto positivo per l’ambiente, misurabile e rendicontabile. Dalla teoria alla pratica, il 2024 dell’ESG si annuncia nel segno di uno sviluppo veramente sostenibile grazie al ruolo dei dati e del digitale.
Articolo originariamente pubblicato il 05 Gen 2024