Reporting e strategie

“Effetto” CSRD: dalla rendicontazione al green procurement

Con l’arrivo della Corporate Sustainability Reporting Directive cambia lo scenario legato al reporting di sostenibilità e cresce la necessità di una governance, anche in termini di strumenti digitali, per le imprese e in particolare per le catene di approvvigionamento. Ne abbiamo parlato con Francesco Bandolin e Federica Noardo di PWC e con Andrea Cozzi di Ivalua

Pubblicato il 11 Dic 2023

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Nel percorso che sta portando le imprese verso un rapporto più strategico e strutturato nei confronti dei temi e degli obiettivi di sostenibilità appare sempre più importante cercare di considerare la CSRD, Corporate Sustainability Reporting Directive non solo come un adempimento, ma come un fattore che concorre alla trasformazione sostenibile delle imprese e delle supply chain. Ne abbiamo voluto parlare con Francesco Bandolin, Director Procurement Transformation, PWC, con Federica Noardo, ESG manager in PWC e con Andrea Cozzi, Country Sales Manager Ivalua Italy.

Federica Noardo, ESG manager in PWC

Con la CSRD cambia in modo significativo lo scenario della rendicontazione non finanziaria. Ad oggi il numero delle aziende che devono preparare la Dichiarazione Non Finanziaria in Europa è pari a circa 12.000 unità con la CSRD si dovrebbe arrivare a quasi 50mila. Che scenario si sta preparando? 

Federica Noardo – L’impatto sarà certamente molto importante. Se in Europa si passa da 12mila a 50mila in Italia il “salto” è ancora più consistente perché passiamo da 200 aziende a quasi 5.000. Anche per questo nel contesto italiano vediamo tanto fermento, ma forse c’è ancora poca consapevolezza. Prima di tutto perché occorre capire con precisione cosa cambierà nella pratica, considerando che si sta trasformando anche il modo di “fare reporting.” Non basta “raccontare” le performance sui temi della sostenibilità, ma occorre dimostrare di avere una capacità di visione più alta e dimostrare se e come la sostenibilità viene integrata nella strategia aziendale e nel modello di business.

Come si muovono nello specifico le imprese?

Federica Noardo – Le aziende si stanno preparando. Quelle più grandi che erano già soggette agli obblighi della direttiva precedente sono avanti, hanno un processo di reporting già maturo e si stanno strutturando per affrontare gli impegni della CSRD. Le aziende che non hanno ancora attivato un processo di reporting fanno più fatica.

Francesco Bandolin – Dobbiamo considerare che il processo di reporting dovrà essere sempre più robusto, anche perché i dati di sostenibilità non sono solo alla base della rendicontazione ma attengono a scelte strategiche e a scelte di investimento.

Si può forse dire che il fine ultimo per la transizione verso l’economia sostenibile, così come anche l’indirizzamento di capitali verso le attività più ecosostenibili con un impatto sugli investimenti, richiede un processo decisamente più robusto anche dal punto di vista del presidio organizzativo da parte delle imprese e dei criteri di governance interna.

Francesco Bandolin, Director Procurement Transformation, PWC,

Come valutate il ruolo del digitale in questo senso?

Federica Noardo – Stiamo assistendo in questi ultimi anni all’arrivo e allo sviluppo di diverse soluzioni software, sia per la parte di reporting sia per la parte di processo. Possiamo dire che vediamo un presidio importante a livello di raccolta e di consolidamento dei dati relativi alla sostenibilità, ma ancora non altrettanto sui temi legati alla gestione vera e propria di questi dati all’interno delle operation.

Francesco Bandolin – Il movimento legato al rilascio delle soluzioni tecnologiche in ambito ESG si sta ancora consolidando. Possiamo vedere questo fenomeno in due grandi prospettive. Da una parte c’è tutto ciò che attiene ai layer del reporting e quindi, seguendo i temi chiave della rendicontazione si avverte l’effetto di trascinamento dell’area finanziaria con tutti i canoni e i dettami di un bilancio allineato alle normative. Dall’altra parte c’è il layer core, ovvero quello che guarda alla creazione e gestione dei dati che arrivano dalle operation e dalle catene di fornitura. Un ruolo chiave qui, a nostro avviso, dovrà essere svolto sempre di più dal procurement.

Secondo molti osservatori CSRD dovrebbe contribuire ad allargare il raggio d’azione del green procurement, estendendo la necessità di disporre di dati per la rendicontazione anche ad altre aziende. Come valutate questo scenario?

Andrea Cozzi – Dobbiamo considerare che nel momento in cui nelle imprese si parla di emissioni il peso della supply chain supera mediamente il 75% del totale. Questo significa che, al di là delle aziende impattate direttamente dalla CSRD, un ruolo chiave sarà svolto dalle imprese che operano nelle supply chain. La numerica delle entità coinvolte, dunque, è decisamente elevata e quindi quello che oggi forse interpretiamo solo come un obbligo normativo, lo dovremmo invece considerare come un’opportunità di sviluppo per tutto l’ecosistema delle imprese. E qui un ruolo chiave lo svolgono le soluzioni tecnologiche che permettono di gestire la disponibilità del dato lungo tutta la supply chain e lungo tutto il processo di acquisto. Non solo, un altro fattore abilitante è rappresentato dalla possibilità di attivare forme di collaborazione con tutti gli attori delle supply chain, proprio per permettere alle imprese di agire in modo coordinato.

Francesco Bandolin – Su questi temi abbiamo stiamo effettivamente osservando una crescita di attenzione da parte di funzioni procurement coinvolti in programmi di sostenibilità. A fronte della transizione in corso il procurement sta iniziando a guardare all’ESG come una delle dimensioni di valutazione dei propri fornitori. Siamo abituati ad avere uffici acquisti che analizzano in maniera molto dettagliata i fornitori, con un esame che comprende capability tecniche, sistemi, risorse e organizzazione, mentre serve sempre di più disporre di una visione allargata e olistica del fornitore con particolare attenzione alle dimensioni di rischio legate agli ESG. La prospettiva che vediamo comprende la necessità di qualificare i fornitori non solo da un punto di vista di performance sulle capability ma anche di valori ESG. Questo rappresenta un fattore che consentirà di completare e rendere sempre più precisa anche la reportistica.

Dobbiamo poi notare che oltre alla CSRD occorre osservare i cambiamenti che arriveranno con la CSDDD Corporate Sustainability Due Diligence Directive. Con la normativa relativa alla Due Diligence il procurement e le operations in generale saranno chiamate a uno screening e a una qualificazione estremamente dettagliata dei propri fornitori e subfornitori e questo avrà un impatto molto significativo.

Andrea Cozzi, Country Sales Manager Ivalua Italy

Come valutate le principali novità della CSRD? La necessità di una Assurance, l’obbligo di digitalizzare le dichiarazioni di sostenibilità, la scelta di indirizzare il lavoro verso un unico standard di rendicontazione con un ruolo chiave per l’ESRS (European Sustainability Reporting Standard) e per l’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group)?

Federica Noardo – Sicuramente gli standard più articolati e complessi, forniscono delle linee guida più strutturate rispetto al passato. Gli standard aiuteranno a definire una metodologia specifica per la rendicontazione e porteranno alla realizzazione di “template” con i quali sarà possibile raggiungere l’altro obiettivo strategico di questo passaggio: la comparabilità delle informazioni. Dunque, non solo rendicontazione, ma possibilità di paragonare dati e performance.

L’assurance  non è un fatto nuovo, La precedente Direttiva Europea lasciava libertà di decisione agli Stati Membri, l’Italia aveva già definito con il recepimento nel proprio ordinamento che i documenti di sostenibilità (Dichiarazioni Non Finanziarie) dovessero essere sottoposti ad assurance da parte di un ente terzo indipendente che esprime il proprio giudizio all’interno della Relazione di revisione allegata al documento.

C’è poi la parte del digital tagging. Qui dobbiamo prevedere un certo livello di criticità, soprattutto per le aziende meno allenate al reporting. Il formato elettronico, inteso come capacità di digitalizzare la reportistica sulla base di regole comuni, rappresenta una delle sfide più grandi, che consentirà una reale comparabilità dei dati.

Come dovrà essere impostata l’organizzazione per la sostenibilità nelle imprese? Dalla rendicontazione può arrivare un segnale e uno stimolo per il ruolo dei sustainability manager?

Francesco Bandolin – Anche su questo effettivamente c’è un dibattito molto interessante. Veniamo da una storia che ha visto il sustainability manager collocato all’interno del team comunicazione e marketing o nelle HR. Lo abbiamo visto arricchirsi di competenze e deleghe e, nel caso specifico del mondo manifatturiero, vediamo questa figura sempre più vicina all’area delle operations e nei rapporti con le catene di fornitura. Riteniamo in ogni caso che possa e debba avere un ruolo sempre più centrale in funzione dell’importanza che assumono gli obiettivi di transizione ecologica ed energetica.

Dobbiamo poi ricordare che i processi di trasformazione sono in larghissima misura basati sul digitale e dunque richiamano una collaborazione stretta con l’IT che peraltro vediamo molto attiva su questi temi. Accanto a questi skill, nel bagaglio di competenze del sustainability management, vediamo anche una crescita legata alle ESG operation, alla parte finanziaria e alla gestione dei rischi.

Andrea Cozzi – In merito al ruolo del sustainability management voglio tornare a sottolineare l’importanza del suo rapporto con il Procurement. In Italia, dove abbiamo un contesto fortemente manifatturiero, il procurement è stato spesso approcciato come una “voce di costo”. Oggi rientra a pieno titolo e in modo strategico nel sustainability management in quanto ha un impatto fondamentale per governare la trasformazione sostenibile a livello di supply chain.

Dal nostro osservatorio, sui temi del sustainability management vediamo una crescita di importanza e di intervento sia per la parte acquisti sia per il supply chain manager proprio perché è sulla catena di fornitura che si concentrerà la più ampia e profonda capacità di trasformazione delle aziende.

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