Tre quarti (75%) dei dipendenti italiani prenderebbero in considerazione la possibilità di cercare un nuovo lavoro se scoprisse l’assenza di una politica di diversità e inclusione nell’azienda (o l’esistenza di un divario retributivo di genere iniquo). E solo il 27% di loro pensa che la propria azienda sia migliorata nelle politiche DEI (Diversity&Inclusion) rispetto a 3 anni fa: è la cifra più bassa tra gli 8 paesi europei valutati (la media europea è del 31%), il che significa che è necessario lavorare di più in questa direzione.
Un vademecum per trovare i termini giusti
Lo rivela uno studio dell’Adp Research Institute (Workforce View – People at Work 2023), sulla base del quale ADP, multinazionale americana leader nella gestione del capitale umano, ha sensibilizzato i suoi 58.000 dipendenti condividendo una guida a uso interno per suggerire come rendere più inclusivo il linguaggio in azienda.
Supporto della comunità LGBTQ+
Ecco i consigli principali. Innanzitutto, dovrebbe essere un linguaggio consapevole del significato culturale, inclusivo rispetto al genere e a supporto della comunità LGBTQ+, e si invita a evitare ovviamente una terminologia basata sul colore della pelle.
Molte frasi che usiamo per descrivere concetti o ambiti lavorativi hanno origine in contesti discriminatori o violenti. Per esempio, l’espressione “lavorare come uno schiavo” o peggio ancora “come un negro” è fortemente offensiva ma è purtroppo usata regolarmente nel mondo del lavoro. Tale espressione fa riferimento al lavoro duro, solitamente manuale, riservato agli uomini di colore che erano obbligati a lavorare sotto il giogo degli uomini bianchi.
No al linguaggio “abilista”
Occorre eliminare anche il cosiddetto linguaggio “abilista” (ad es. “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire” o “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”): l’uso di umorismo o metafore per riferirsi a disabilità, salute mentale o disturbi mentali sminuisce l’esperienza delle persone colpite e di chi li supporta. Anche usare l’ironia per riferirsi all’età delle persone sottintende un trattamento non paritario e/o offensivo nei confronti di chiunque abbia età diverse (esempio frasi come “sei troppo giovane/vecchio per capire”).
Nessun riferimento al colore della pelle
Molti termini tecnologici e commerciali fanno purtroppo riferimento al colore della pelle. Questa terminologia spesso attribuisce un significato positivo al bianco o ai colori chiari e un significato negativo al nero o ai colori scuri. Occorre usare il nome del colore solo quando ci si riferisci al colore effettivo; per esempio, invece di usare le parole blacklist o whitelist meglio utilizzare “elenco non autorizzato” o “elenco autorizzato”: ancora oggi la blacklist è un elenco di voci bloccate o non consentite, mentre una whitelist è un elenco di voci consentite o preferite.
Non sminuire le tradizioni culturali
Il gergo aziendale include molte frasi di uso comune che sminuiscono le tradizioni culturali. Pensiamo a quante volte utilizziamo la parola “desaparecidos” per indicare qualcuno che non riusciamo a trovare. L’espressione desaparecidos (letteralmente “scomparsi”) si riferisce alle persone che furono arrestate per motivi politici, o anche semplicemente accusate di avere compiuto attività “anti governative” dalla polizia dei regimi militari argentino, cileno e di altri paesi dell’America latina, delle quali si persero in seguito le tracce.
Non connotare negativamente la provenienza geografica
Usare espressioni che enfatizzano con connotazione negativa o stereotipata la provenienza geografica sottintende un trattamento non paritario e/o offensivo nei confronti dell’altra persona. Invece di usare espressioni come “meridionale”, “montanaro”, “provinciale”, ecc. si può utilizzare un linguaggio alternativo per esprimere cosa si vuole intendere.