Diversità e inclusione sono principi fondamentali per costruire un luogo di lavoro sano e stimolante, a partire dal processo di assunzione: chiunque entri in azienda deve potersi riconoscere in un ambiente lavorativo privo di barriere e pregiudizi legati a genere, cultura, età, etnia, orientamento sessuale e disabilità. SumUp, fintech leader nel settore delle soluzioni digitali e cashless per le piccole imprese, ne è talmente convinta che da anni si impegna a migliorare le proprie strategie di Diversity & Inclusion, mirando a valorizzare i migliori talenti professionali e individuali, restituire un contributo alla comunità e rispettare i diritti civili e personali. Oggi la società gode già, al suo interno, di una forte rappresentazione della comunità Lgbtq+ (il 18% dell’intera popolazione aziendale), ma è consapevole che il mondo del lavoro resta un terreno accidentato.
Un sondaggio della piattaforma di recruiting Glassdoor rileva che più della metà (53%) delle persone Lgbtq+ intervistate dichiara di avere sperimentato o assistito a scene di discriminazione mentre, guardando all’Italia, da un’indagine Istat emerge che il colloquio di lavoro continua a essere uno scoglio per molte persone Lgbtq+: il 12,6% delle persone intervistate afferma di non essersi presentata all’intervista temendo che l’azienda sarebbe stata ostile al proprio orientamento sessuale, mentre il 57,7% ricorda almeno un evento di discriminazione durante la ricerca di un’occupazione. Da parte delle aziende occorre quindi sviluppare sempre maggiore attenzione al tema della diversità e dell’inclusione sin dal processo di assunzione.
Per questa ragione, SumUp ha deciso di mettere a fattor comune la propria esperienza con altre aziende e diffondere la cultura dell’accoglienza, intercettando i bisogni delle nuove generazioni che si aspettano un approccio sempre più inclusivo e, più in generale, per supportare i membri della community Lgbtq+ a sentirsi accolti.
Come rendere il recruiting più inclusivo
“Un’azienda come SumUp ha l’opportunità, ma soprattutto la responsabilità, di promuovere una cultura inclusiva, di accettazione. E credo che questo percorso inizi sin dalla fase di recruiting”, spiega Giuseppe Manca, Candidate Experience Coordinator di SumUp. “Occorre rendere le job description inclusive, incoraggiare e promuovere la candidatura di talenti che hanno subito discriminazioni o che appartengono a gruppi sottorappresentati nell’industria tech. Ad esempio, per aumentare la diversità in azienda una strategia efficace è il sourcing ‘mirato’, rivolto, ad esempio, alle donne, alla comunità Lgbtq+ o a minoranze etniche. Infine, è importante comunicare ai candidati quanto sia cruciale, all’interno della nostra organizzazione, il rispetto della diversità, responsabilità di ogni SumUpper”.
In occasione del mese del Pride, SumUp condivide strategie e strumenti che applica quotidianamente nel processo di recruiting per renderlo più inclusivo, con particolare attenzione alla comunità LGBTQ+: ecco 3 punti chiave per migliorare le strategie di Diversity & Inclusion in azienda.
1 – Usare un linguaggio gender neutral
Il linguaggio che usiamo quotidianamente è codificato in base al genere e, di conseguenza, trasmette determinate aspettative su ciò che la società richiede alle persone: in un annuncio di lavoro, utilizzare un linguaggio discriminatorio o che rileva pregiudizi scoraggia le persone provenienti da gruppi minoritari a fare domanda per posizioni che palesano, più o meno esplicitamente, un pregiudizio di genere. Negli annunci di lavoro, quindi, è consigliabile usare un linguaggio neutrale rispetto al genere, che manifesti attenzione all’inclusività nella ricerca dei talenti. Con questo obiettivo, un gruppo di ricerca in psicologia sociale ha dato origine a un tool utile a decodificare i pregiudizi spesso inconsapevoli presenti negli annunci di lavoro. I ricercatori hanno analizzato il lessico utilizzato negli annunci codificando i termini in base a connotazioni di genere. In questo modo l’autore può scoprire se inconsapevolmente ha utilizzato, ad esempio, termini con forti connotazioni maschili (come “competizione”) o femminili (come “collaborazione”), per poterle evitare e creare annunci gender neutral.
2 – Condividere i pronomi all’inizio del processo di recruiting
Nel mondo del business e nei contesti professionali si stanno diffondendo sempre più strategie, strumenti e funzionalità dedicate ai temi di diversità e inclusione. Un segnale in questa direzione è stato dato da LinkedIn, il principale social media per il networking professionale e per il recruiting, che ora dà la possibilità di inserire i propri pronomi sul profilo (ad esempio she/her, he/him, they/them), uno strumento che consente ai recruiter di approcciarsi a chi si candida nel rispetto della sua identità di genere. Nel processo di hiring è, infatti, importante che l’azienda si mostri rispettosa dell’identità della singola persona e sensibile all’adozione di un linguaggio inclusivo, ormai essenziale in ogni ambiente lavorativo: quando si parla ai membri della community Lgbtq+ durante il colloquio è utile che chi svolge la selezione condivida i propri pronomi e utilizzi quelli della persona intervistata, insieme al nome con cui questa desidera essere chiamata. Soprattutto per chi sta affrontando o ha concluso un processo di transizione di genere, il cambiamento di nome costituisce un aspetto particolarmente importante: il recruiter deve prestare attenzione a non rivolgersi a chi si candida con il suo “Dead name”, il nome di battesimo precedente alla transizione, che potrebbe comparire ancora nei documenti ufficiali, ma non è quello in cui la persona si riconosce.
3 – Evitare domande discriminatorie e pregiudizi
Le opinioni di ciascuno sono il frutto delle esperienze vissute: ma, nella fase di recruiting, l’azienda e la persona che svolge l’intervista devono essere in grado di mettersi in discussione. Durante il colloquio di lavoro occorre evitare argomenti che potrebbero discriminare sulla base di qualsiasi fattore protetto dalle leggi sul diritto del lavoro e le pari opportunità: quindi non chiedere informazioni su orientamento politico, credenze religiose, stato di salute; mettere da parte domande come: “Hai un partner? Hai figli?”; non discutere dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere senza il permesso della persona interessata. Le domande da porre a chi si candida saranno strettamente collegate all’ambito professionale e sempre le stesse per chiunque si intervisti, in modo da potere confrontare le persone candidate sulla base dei medesimi elementi raccolti.