In Italia il mercato degli Smart Building, vale a dire edifici avanzati da un punto di vista tecnologico e caratterizzati da una grande attenzione all’efficienza energetica, costituisce già un mercato di tutto rispetto dal punto di vista dei volumi d’affari, con ottime prospettive di crescita per il prossimo futuro. Questa la principale conclusione dello Smart Building Report 2020 dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano. Che, innanzitutto, mette ancora una volta in evidenza il peso dell’edilizia nell’energia: all’interno degli edifici viene consumata circa il 40% della domanda nazionale di energia (elettricità e calore) e viene prodotto circa il 36% delle emissioni di CO2. Queste percentuali così elevate sono legate all’età media avanzata del parco edilizio nazionale, dal momento che circa il 35% degli edifici ha più di 50 anni e quasi il 75% è considerato inefficiente dal punto di vista energetico.
I numeri del mercato italiano
Come ha messo in evidenza Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy&Strategy Group, solo una quota compresa tra lo 0,4 e l’1,2% (a seconda del Paese) del parco edilizio viene rinnovato con nuove costruzioni ogni anno. Dunque la riqualificazione edilizia ricopre un ruolo fondamentale nel raggiungere gli obiettivi energetici prefissati dall’Unione Europea, con una capacità di riduzione del 5-6% i consumi primari di energia in Europa.
In positivo, qualcosa si sta già muovendo: nel 2018, in Italia, il volume di affari complessivo associato agli investimenti in smart building – ossia edifici con impianti gestiti in maniera intelligente e automatizzata – è stato di circa 3,6 miliardi di euro, distribuiti in maniera quasi omogenea tra building devices & solutions (41%, pari a 1,47 miliardi di euro), automation technologies (31%, 1,1 miliardi) e piattaforme di gestione e controllo (28%, 1,02 miliardi). In questo ultimo caso l’Energy & Strategy Group rileva come gli investimenti in hardware e software sono stati preponderanti rispetto alla parte impiantistica, a riprova della sempre maggior peso assunto dalla digitalizzazione nel settore.
Gli operatori del mondo Smart Building
Il report ha poi effettuato una analisi degli operatori presenti in questo mercato, individuando sette differenti categorie: ESCo, utility, technology provider, software provider, studi di progettazione, imprese di facility management e TelCo. La principale considerazione è che la maggioranza di queste categorie, con l’eccezione delle imprese di facility management e delle TelCo, si aspettano una crescita del fatturato tra il 15 e il 33%. In particolare l’aspettativa è forte tra ESCo e studi di progettazione, che hanno dimensioni piccole e dunque manifestano interesse a investire per entrare tra i principali attori del mercato.
Al momento gli interventi vengono effettuati prevalentemente nel settore terziario privato: il 70% nel caso dei software provider e degli studi di progettazione e il 50% per ESCo, facility management e TelCo. Solamente per le utility e i technology provider il principale mercato è il settore residenziale, mentre nessun attore ha una presenza significativa nel terziario pubblico, a testimonianza del fatto che la PA è ancora indietro nel processo di digitalizzione ed ammodernamento delle proprie strutture e impianti.
Le difficoltà normative
Il tallone d’Achille degli Smart Buiding, come spesso accade in Italia, appare essere il quadro normativo: mentre sono stati fatti molti sforzi per portare avanti il processo di ammodernamento degli impianti e degli edifici, soprattutto nell’ambito dell’efficienza energetica e della generazione di energia da fonti rinnovabili, meno completo risulta l’insieme di normative che stimolano l’adozione di un’adeguata architettura digitale negli edifici.
“Mancano una serie di norme che abbraccino in maniera integrata l’ambito degli smart building – conclude Chiesa -. Ad esempio, non esistono ancora forme di incentivazione (sconti o detrazioni per gli utenti) per diffondere la banda larga: considerando che solamente il 12% della popolazione italiana ha accesso alla fibra ultra-veloce contro una media europea del 55%, il tema della connettività delle nostre infrastrutture dovrà rivestire un ruolo prioritario nel prossimo futuro. In quest’ottica, il piano di Open Fiber di posare le infrastrutture necessarie per la diffusione della banda larga anche in aree in cui questa tecnologia risulta economicamente svantaggiosa contribuirà a ridurre il gap con il resto dell’Unione Europea”.