Il sistema italiano dei trasporti è da tempo alla ricerca di un diverso equilibrio tra efficienza e sostenibilità. I limiti del modello tradizionale già in fase pre Covid-19 sono anche il risultato di una instabilità normativa che ha congelato le riforme e l’adeguamento ai principi europei di concorrenza e ha cristallizzato l’offerta di mobilità in una dimensione rigida, tipica dei servizi in concessione.
La conseguenza è stata aver determinato una dipendenza eccessiva e alle volte ingiustificata dalla contribuzione pubblica ed una conseguente incidenza piuttosto bassa dei ricavi tariffari sui costi, limitando la capacità di modulare tariffe e oneri di servizio, a dispetto delle norme nazionali ed europee pur in vigore. Nel frattempo, la geografia urbana ed economica e l’economia dei trasporti ha evidenziato l’incidenza dei differenziali di accessibilità dei territori come parametro decisivo per la loro competitività. Ciò ha determinato nelle aree sottoutilizzate una rivendicazione del diritto alla mobilità su parametri di garanzia dei servizi minimi, e nelle aree a maggiore sviluppo la richiesta di mobilità as a service, entrambe parimenti non soddisfatte.
La determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) nei servizi di trasporto (articolo 117 co.II lett.m Costituzione) è rimasta una clausola enigmatica cui né la legge 42/2009 e nemmeno i decreti attuativi della riforma Madia hanno dato una declinazione adeguata di servizio.
Persino la legge Delrio sulle “città metropolitane” (n.56/2014), si è scontrata con l’assenza di nuove risorse dedicate e con una paralizzante intermediazione delle Regioni (titolari della quota di ripartizione delle risorse trasferite dal livello centrale) cui non si è riusciti a contrapporre una nuova efficienza derivante dalla pianificazione di scala, da una maggiore integrazione vettoriale o dalla realizzazione di moderne infrastrutture.
Conseguenza inevitabile è una scarsa competitività del servizio pubblico e una percentuale di utilizzo del mezzo privato elevatissima e insostenibile.
Se da un lato, quindi, ante Covid-19, l’obiettivo perseguito era quello di un modello di trasporto sempre più di massa, orientato a massimizzare la sostenibilità ambientale e sostanzialmente gratuito, almeno nelle aree urbane; nello scenario post Covid-19 emergono nuovi limiti di sostenibilità tecnica oltre che economica per gli operatori tali da far temere per la tenuta del sistema di TPL.
Infatti, a partire dal 4 maggio con la riapertura delle attività legate all’inizio della fase 2 sono state emanate, da parte del ministero dei Trasporti, delle linee guida che disciplinano l’accesso ai mezzi pubblici; tra le misure previste, per consentire il distanziamento sociale, vi è la diminuzione della capacità di trasporto dei mezzi di oltre il 70%. Questa, unitamente alla riduzione dei servizi imposta alle aziende dagli enti locali/agenzie (mediamente ridotti di oltre il 30% rispetto alla percorrenza concessa) e all’incremento dei passeggeri, rispetto ai mesi di marzo e aprile, ha sin da subito messo in evidenza, in base alle prime analisi sull’andamento del servizio di linea, le problematiche legate sia a fenomeni di assembramento, soprattutto nelle fermate più importanti e nell’ora di punta (domanda superiore all’offerta), sia all’effettuazione di corse con pochissimi passeggeri a bordo. In aggiunta, con l’inizio del nuovo anno scolastico nel mese di settembre, la mancata adozione di adeguati strumenti per la gestione in tempo reale delle criticità sul servizio attraverso l’organizzazione dinamica di linee, corse e orari al variare della domanda, oltre a generare possibili situazioni di conflitto, rischia di non garantire all’utenza, soprattutto quella pendolare e quella scolastica, i servizi di mobilità.
Gli elementi di debolezza del trasporto pubblico locale in Italia
Le aziende italiane di trasporto pubblico locale e regionale con un’offerta di 2 miliardi di chilometri vettura annui, trasportano in un anno 5,4 miliardi di passeggeri. Il settore, con oltre mille aziende, impiega oltre 124.000 addetti e produce un fatturato complessivo (ricavi da traffico e contributi pubblici) di circa 12 miliardi di euro. Nonostante questa imponente offerta, la quota modale degli spostamenti è ancora fortemente sbilanciata sul mezzo privato: infatti, l’81,3% dei viaggiatori utilizza il mezzo privato e soltanto il 18,7% si muove utilizzando il TPL. Del resto, il tasso di motorizzazione in Italia risulta essere tra i più alti d’Europa, pari a 747 veicoli privati (autovettura o motociclo) ogni mille abitanti.
Il TPL evidenzia uno squilibrio strutturale tra domanda e offerta; in Italia per ogni abitante si registrano in media 0,6 passeggeri/km, a fronte di un’offerta di circa 2,8 posti/km. Presenta quindi un basso valore dell’indice di load factor che (rapporto tra passeggeri trasportati e posti offerti per km), in forma aggregata indica l’efficienza del servizio offerto. In Italia tale valore non supera il 25% ed equivale a una domanda scarsa o a un servizio poco utilizzato. Tutto ciò determina:
- maggiori costi operativi e minori ricavi da traffico: i costi medi operativi in Italia ammontano a circa 3,3 euro/km a fronte di ricavi medi da traffico pari a circa 1,5 euro/km (legati a bassa domanda, basso livello delle tariffe rispetto a media europea, elevata evasione tariffaria – che in Italia produce perdite per circa 500 mln di euro annui);
- un’offerta di servizi di trasporto rigida e non adeguata alle mutate esigenze della mobilità, spesso correlata alle incertezze normative e finanziarie; servizi programmati in generale dagli enti/aziende senza una specifica conoscenza delle caratteristiche della domanda di trasporto e della sua segmentazione e una visione unitaria del sistema complessivo della mobilità;
- una struttura organizzativa delle aziende di trasporto, spesso non adeguata alle attuali esigenze di mobilità; la dimensione delle aziende italiane, è molto inferiore rispetto a quelle degli operatori leader europei del settore; Quasi la metà delle aziende ha un numero di dipendenti tra 1 e 5.
L’innovazione del TPL: dagli ITS alla gestione dinamica e data-driven della mobilità
Alla luce di questo problematico contesto, il supporto dell’innovazione digitale rappresenta una leva fondamentale per un rapido riadattamento del trasporto pubblico all’inedito scenario post Covid-19.
Un ruolo fondamentale è di sicuro assegnato ai sistemi ITS (Intelligent Transportation Systems) nella loro accezione più classica e riconosciuta. Queste soluzioni tecnologiche, presenti con una adeguata pervasività soltanto a macchia di leopardo sul territorio nazionale, sono indispensabili per garantire:
- l’acquisizione e la raccolta di dati sulla circolazione e i flussi di traffico per il tramite di sensori sulle infrastrutture (IoT-Internet of Things) e a bordo dei mezzi (floating car data), o di croudsourcing di dati forniti volontariamente dai viaggiatori mediante dispositivi personali e App mobile);
- il monitoraggio e il controllo delle flotte di trasporto pubblico locale con sistemi AVL/AVM, sistemi per il preferenziamento semaforico e il controllo delle corsie preferenziali, per adattare dinamicamente l’offerta di mobilità alle esigenze di una domanda sempre più elastica;
- il monitoraggio dei flussi e il controllo degli accessi a bordo dei mezzi, nelle stazioni e nei nodi di scambio intermodale (videosorveglianza evoluta, conta-passeggeri, termo-scanner) anche per monitorare e garantire il distanziamento sociale;
- il supporto nelle diverse fasi del viaggio e una nuova esperienza utente mediante sistemi di informazione avanzata all’utenza per infomobilità multicanale real-time e per la responsabilizzazione degli utenti all’uso di comportamenti corretti;
- la prenotazione (e-booking) il pagamento elettronico (e-ticketing) e il supporto alle attività di controlleria e validazione dei titoli di viaggio in mobilità.
Gli effetti generati sul sistema della mobilità dal Coronavirus (elasticità della domanda, riduzione della capacità a bordo dei mezzi, nuova organizzazione degli orari delle città per ridurre i picchi giornalieri nelle ore di punta, ecc.) impongono la necessità di avere strumenti di analisi in grado di fornire alle aziende un supporto alle decisioni per la modifica dinamica dei servizi offerti.
La vera differenza la giocherà l’evoluzione degli ultimi anni dei classici ITS in piattaforme digitali integrate a sostegno della mobilità in ottica smart city, con caratteristiche avanzate di acquisizione e grande capacità di elaborazione dei dati provenienti dal territorio e dal sistema dei trasporti, di rapida interpretazione dei fenomeni e supporto alle decisioni per la gestione del sistema di trasporti in ambito urbano, di orientamento all’intermodalità, di multicanalità dell’informazione.
Le città che avranno investito nella creazione di un ecosistema tecnologico funzionale e favorevole al mondo dell’innovazione e della produzione di servizi ad alto valore aggiunto e si saranno dotate di centrali di controllo della mobilità e del TPL che hanno a disposizione piattaforme di analisi dei dati (Big Data Analytics) e sistemi supporto alle decisioni basati su modelli trasportistici per la simulazione di scenari la cui soluzione è ottenuta mediante algoritmi di intelligenza artificiale (AI/ML) avranno una capacità di reazione notevolmente maggiore e strumenti efficaci per garantire:
- la adozione di politiche di demand management per comprendere in anticipo, valutare e gestire le richieste di nuovi servizi;
- la pianificazione data-driven e la diversificazione dei servizi offerti, mediante la modifica dinamica del Piano di Esercizio per riadattarlo in caso di necessità e offrire servizi “a chiamata” e/o dedicati a spostamenti specifici (ad es. casa-lavoro, casa-scuola) in base alla distribuzione degli orari di accesso negli uffici o nelle scuole;
- il precision marketing, l’assistenza e il customer care evoluto, per una infomobilità di precisione digital first, la proposta di soluzioni di viaggio con spostamenti intermodali integrati in ottica system optimum e customizzate sulle abitudini degli utenti, l’incentivazione per orientare le scelte comportamentali;
- l’analisi ex-post degli indicatori di risultato del servizio offerto (load factor, tempi di percorrenza e velocità commerciali, soddisfazione degli utenti) con cruscotti digitali dinamici a disposizione dei diversi livelli di governance;
- la digitalizzazione e gestione intelligente dei processi aziendali per l’organizzazione del lavoro e delle risorse umane e per la pianificazione delle attività di gestione del parco veicolare (ad es. manutenzione predittiva, sanificazione ecc.).
Le “città metropolitane” e gli investimenti in smart & sustainable mobility (il PON Metro)
Soltanto un anno fa, nello scenario pre covid19, ci si interrogava se le città sarebbero state in grado di cogliere le sfide offerte dalla rivoluzione digitale per rendere il sistema di mobilità sempre più utente-centrico e adattivo.
Nonostante le opportunità derivanti da una nuova capacità tecnologica ad oggi la dotazione di risorse per le 14 città metropolitane per innovare la mobilità urbana è limitata. La parte più cospicua delle poche risorse pubbliche stanziate che servirebbe all’efficientamento e alla adozione di soluzioni smart per la mobilità e il TPL coincide con il Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane 2014-2020 (PON Metro) e, in particolare, con l’Asse 2 – Sostenibilità dei servizi e della mobilità urbana che finanzia per la mobilità sostenibile diverse linee di azione (2.2.1 Infomobilità e Sistemi di Trasporto Intelligenti (ITS); 2.2.2 Rinnovamento e potenziamento tecnologico delle flotte del TPL; 2.2.3 Mobilità lenta; 2.2.4 Corsie protette per il TPL e nodi di interscambio modale).
Le risorse assegnate alla mobilità sostenibile ammontano a circa 180 mln di euro di cui, in media, 6,79 mln per le otto città del Centro Nord e 20,86 mln per le sei città del Sud. La spesa nel primo quadrimestre del 2020 si attesta a poco meno del 45% (circa 80 mln di euro).
Dalla analisi effettuata sui Programmi Operativi proposti dalle città confrontando il costo pubblico pianificato (fondi PON Metro più altre risorse pubbliche), le risorse assegnate e i pagamenti erogati al 2020, emerge in maniera evidente che la gran parte della dotazione è destinata al rinnovo del parco veicolare del TPL (circa il 34%) e alla mobilità lenta – pedonale e ciclabile (circa il 30%). Per la linea 2.2.2 si evidenzia, inoltre, una maggiore capacità di spesa delle città. Mentre alle soluzioni per Infomobilità e ITS spetta circa il 23% delle risorse assegnate. Per tale linea d’azione si sottolinea, inoltre, il dato preoccupante correlato alla spesa che -a quasi fine Programma- risulta ancora pari al 24% delle risorse assegnate (meno di 8 mln di euro).
Le città che hanno pianificato di investire in ITS partono da una dotazione tecnologica in alcuni casi molto differente basti pensare alle best practice di Milano, Torino, Venezia e Bologna che negli ultimi dieci anni hanno investito in soluzioni ITS a supporto dell’efficienza, sicurezza e sostenibilità della mobilità. Mentre, eccezion fatta per alcune città come Bari, Napoli e Palermo, le città delle Regioni a minor sviluppo del Sud partono da una condizione di partenza di svantaggio che le vede per la gran parte sprovviste di sistemi intelligenti a supporto del trasporto pubblico e della mobilità urbana, confermando anche in questo campo un divario di innovazione Nord-Sud.
In sintesi, le città metropolitane hanno pianificato un maggiore investimento a vantaggio delle aziende di TPL per il rinnovo delle flotte bus per adeguarle a standard di efficienza e sostenibilità e conseguito una spesa considerevole portando quasi a completamento tutti i progetti pianificati. Mentre sul tema più legato all’innovazione tecnologica dei servizi e alla dotazione di ITS e piattaforme digitali per la mobilità l’investimento risulta considerevolmente più basso e la spesa non significativa per garantire un’adeguata diffusione e pervasività degli stessi, soprattutto nelle città a maggior ritardo. Ciò probabilmente è legato anche al fatto che la progettazione e realizzazione di piattaforme intelligenti e servizi di smart mobility richiede competenze specifiche delle quali le PA italiane e le aziende TPL soprattutto delle Regioni a minor sviluppo ancora faticano a dotarsi.
Eppure, come abbiamo anzidetto, ITS e strumenti digitali avrebbero consentito alle aziende TPL un recupero di efficienza e alle città di essere maggiormente reattive in questa situazione emergenziale.
La crisi come speranza e opportunità di rilancio del TPL: le azioni necessarie
Il Covid-19, nel quadro già problematico dei ritardi di riforma del TPL, rappresenta un pesante ospite inatteso, dirompente se solo si riflette sulla natura derivata dei servizi di trasporto, che dipendono non solo dagli assetti territoriali (insediativi, urbanistici, morfologici) ma anche dalle istruzioni relazionali e sociali.
Al ritardo rispetto agli obiettivi di economicità ed efficienza si somma una nuova distribuzione della domanda e nuove regole che sono tendenzialmente incompatibili tra loro e certamente non governabili col modello tradizionale ad offerta rigida. Anche in questo caso non si dovrebbe tornare alla “normalità” perchè la normalità è il problema.
Occorre mettere invece a sistema un modello basato sulla flessibilità e quindi una nuova pianificazione data-driven, orientata all’efficienza, promuovendo la digitalizzazione dei servizi per trovare un nuovo equilibrio tra accessibilità ed equità territoriale, sostenibilità e sicurezza.
Tra le misure necessarie per migliorare attrattività ed efficienza del TPL si evidenziano:
- un quadro normativo nazionale unitario per perseguire gli obiettivi di ricostruzione di un servizio pubblico universale e gratuito, sostenibile e sicuro e soprattutto adattivo;
- il superamento di una logica di investimento non mirata, frammentata e in ritardo rispetto alle esigenze di duttilità richieste ad un comparto così strategico;
- l’adozione di idonei strumenti di pianificazione della mobilità da parte degli enti locali (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile e Piano Urbano del Traffico) con l’obiettivo di puntare sulla massimizzazione dell’integrazione (fisica, funzionale e tariffaria) delle differenti modalità di trasporto (privata, dolce, condivisa e collettiva);
- un ricorso adeguato e pervasivo alle tecnologie digitali per supportare le aziende nella gestione dei processi interni ed esterni e per rendere dinamica la gestione operativa del servizio offerto;
- una necessaria riprogrammazione dei modelli di sviluppo organizzativi aziendali per superare lo stato di crisi in cui versano la maggior parte delle aziende italiane, attraverso piani di formazione e riqualificazione delle risorse umane e soprattutto l’introduzione di nuove figure professionali in grado di fornire alle aziende nuove competenze per la gestione di servizi di smart mobility.
Il Covid-19 ci costringe a dare effettività alle riforme stancamente e da anni in itinere per un totale ripensamento del modello di TPL, per metterlo in sicurezza e poi fare evolvere la mobilità verso un modello as a service che si basi su adattabilità e flessibilità e in cui convivano e si integrino in una logica intermodale segmenti pubblici e privati, utilizzati in sharing, prenotati e gestiti tramite App e piattaforme digitali: una mobilità di precisione.