Da quando è comparso il provvedimento, noto generalmente come “superbonus 110%”, nel settore dell’edilizia non si parla d’altro. Molti si sono illusi di poter mettere mano alle proprie abitazioni obsolete senza tirare fuori un quattrino, per poi scontrarsi con problemi insormontabili, come il vivere in un condominio in cui non tutti la pensano allo stesso modo (anzi, quasi mai), o semplicemente la difformità tra lo stato di fatto dell’immobile e quanto risulta nei documenti ufficiali, perché qualcuno, chissà quando, ha abbattuto un muro o allargato una porta, o ancora, e non di rado vivendo in Italia, per l’avere a che fare con un immobile di pregio, magari in centro storico, dove la sola idea di realizzare cappotti termici su facciate storiche mette (giustamente) l’orticaria agli zelanti funzionari delle Soprintendenze. Insomma, un ginepraio dal quale non sempre è facile uscire e che ha portato moltissimi, dopo le prime illusioni, a gettare la spugna oppure a dirottare su molto più abbordabili e solo un po’ meno generosi benefit esistenti da tempo e legati a interventi di efficientamento energetico, con risparmi che vanno dal 50% ai 65%, cosa che di per sé è comunque un fatto positivo. Rimane tuttavia il dubbio che il legislatore nell’immaginare il superbonus abbia avuto un approccio un po’ conservativo nell’affrontare un tema così denso di futuro, quale quello della riqualificazione del patrimonio edilizio esistente. Un dubbio che sorge scorrendo l’elenco dei cosiddetti interventi “trainanti” e quello dei “trainati” e facendo un raffronto con l’approccio olistico all’efficienza che viceversa caratterizza oggi un nuovo edificio. In particolare, come vedremo, non si è tenuto in debito conto i BACS (Building and Automation Control System)
La normativa europea sugli edifici NZEB
L’entrata a regime il 1° gennaio 2021 della normativa europea sugli edifici NZEB (near zero energy buildings), ovvero l’obbligo di progettare e realizzare edifici pressoché autonomi dal punto di vista energetico e a zero emissioni, ha posto certamente al centro il tema dei nuovi criteri di progettazione degli involucri, sempre più nella direzione delle cosiddette “passive house”, ma non di meno pone prepotentemente il tema della cosiddetta “intelligenza” dell’edificio, ovvero quella capacità autonoma dei nuovi impianti di adattarsi ai mutamenti delle condizioni di utilizzo sfruttando il linguaggio M2M (machine to machine) o, meglio, quello che oggi si definisce IoT, ovvero l’Internet of things.
Il concetto di passive house, infatti, se staccato da quello di edificio “smart”, rischia di generare un sistema fatto di particelle incomunicanti, che è l’esatto contrario di quello sistemico di cui le comunità urbane hanno invece quanto mai bisogno oggi (pensiamo al concetto di smart city) e che si esprime, da ultimo, nel concetto di comunità energetica.
Gli edifici, insomma, siano essi vecchi o nuovi, faranno sempre più e necessariamente parte di un network e devono trasformarsi da consumer a “prosumer”, ovvero realtà immobiliari in grado non solo di produrre energia per sé, ma anche in grado di stoccarla, attraverso sistemi di accumulo, e di riutilizzarla (per esempio per la ricarica dei veicoli elettrici o semplicemente per colmare i “vuoti” delle rinnovabili), anche reimmettendola in rete.
Dalla domotica ai sistemi Building and Automation Control System
Ma se l’approccio sistemico è certamente più semplice (anche se mai scontato) nell’edilizia di nuova costruzione, in un Paese come l’Italia il tema fondamentale è e rimane quello della rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, costituito in parte da edifici di pregio (specialmente nei centri storici) che pretendono interventi “sartoriali”, ma in parte assai maggiore da edilizia di scarsa qualità, costruita tra il secondo Dopoguerra e gli anni Novanta del Novecento. Qui il grande tema è quello della sostituzione o della riqualificazione energetica e funzionale, che in misura significativa coincide con l’aggiornamento dell’impiantistica.
Perché allora pensare che gli interventi di riqualificazione energetica, a cui sottende il cosiddetto superbonus, si basino su una divisione tra interventi primari “trainanti”, come il cappotto termico o la sostituzione della caldaia, e altri ancillari e “trainati” come i sistemi BMS (Building Management Systems) che con interventi poco o per nulla invasivi hanno come obiettivo una gestione intelligente degli impianti, attraverso la quale ottenere comunque risultati molto significativi?
I sistemi che una volta avremmo definito “domotici” (e che il legislatore chiama ancora così) e che più propriamente oggi chiamiamo BACS (Building and Automation Control System) sono indubbiamente dei validissimi alleati nella riduzione dei consumi energetici, purtroppo ampiamente sottovalutati sia dai progettisti che, come si è visto, dal legislatore, probabilmente in imbarazzo nel considerare una misura di efficienza energetica “attiva”, ovvero il cui risultato non costituisce un dato certo e immutabile ma è frutto di un corretto utilizzo.
Il D.L. n. 48/2020 definisce un sistema BACS come “un sistema comprendente tutti i prodotti, i software e i servizi tecnici che contribuiscono al funzionamento sicuro, economico ed efficiente sotto il profilo dell’energia, dei sistemi tecnici per l’edilizia, tramite controlli automatici e facilitando la gestione manuale dei sistemi”. In parole semplici, significa che un sistema BACS ha il preciso compito di far funzionare meglio e in modo più intelligente gli impianti tecnologici di un edificio rispondendo al mutare delle situazioni ambientali e di utilizzo, ma anche, e non è cosa di poco conto, dando evidenza agli utilizzatori delle conseguenze delle loro scelte in chiave ambientale. Potremmo dire che in edilizia è quanto di più vicino si possa immaginare al concetto di resilienza.
I risparmi consentiti da un sistema BACS riguardano tutte le principali fonti di consumo di un edificio, ovvero riscaldamento, raffrescamento, ventilazione, illuminazione e una norma UNI (la EN 15232) classifica anche gli edifici sulla base della loro dotazione di sistemi di gestione intelligenti, andando da una lettera “D” (nessuna automazione) alla lettera “A” (automazione e controllo utilizzando lo stato dell’arte disponibile).
La cosa più interessante che si scopre andando a leggere tale norma è che non solo classifica gli impianti, ma ci offre anche una chiara idea sul risparmio collegato alle diverse classi e alle diverse tipologie di consumo. E qui molti si sorprenderanno nel leggere che in determinate categorie di edifici (in genere quelle dove si riesce a regolamentare le entrate e le uscite, come negozi e uffici) i risparmi energetici ottenibili grazie a un sistema BACS efficiente viaggiano tra il 40 e il 50%, quindi livelli elevatissimi; mentre nel caso di abitazioni ad uso civile la percentuale si riduce, ma tocca comune livelli che si attestano attorno al 20%.
Conclusioni
Questo per dire che sistemi di questa natura sono tutt’altro che ancillari rispetto ai pur importanti interventi sull’involucro, e spesso costituiscono l’unica strada percorribile per ridare almeno parzialmente efficienza a edifici datati.
Non solo, ma i sistemi BACS Building and Automation Control System, come si diceva pocanzi, giocano un altro ruolo fondamentale, che è quello di sviluppare consapevolezza nell’utente finale. Conoscere quanto si consuma non è ininfluente rispetto al fatto di adottare comportamenti virtuosi o meno, anzi, è probabilmente determinante. L’azione più impattante sull’ambiente, infatti, è e rimane, quella di modificare abitudini consolidate e non più sostenibili. Ecco perché la home and building automation dovrebbe avere una maggiore considerazione sia da parte del legislatore che dei progettisti.