Analisi

Società captive: uno strumento operativo del risk manager

Saper sfruttare bene una captive significa possedere distintive competenze di risk management e conoscenze di trasferimento dei rischi sui prodotti assicurativi e sui loro normativi, essere in grado di formulare una tariffazione adeguata dei rischi e conoscere le tecniche e le modalità di liquidazione dei sinistri

Pubblicato il 26 Apr 2021

Carlo Cosimi

Presidente ANRA – Associazione Nazionale dei Risk Manager e Responsabili Assicurazioni Aziendali

asset inventory

Il 2020 ha cambiato il panorama del rischio globale, e il 2021 continuerà a essere un anno difficile per l’intero settore assicurativo, a causa della persistente tendenza sia al rialzo dei premi, alle riduzioni delle capacità, che alle modifiche restrittive dei normativi di polizza, in un contesto di crescente hard market. È proprio in situazioni di mercato come queste che, tra le tecniche di finanziamento del rischio più adeguate, si conferma il ricorso alle società captive da parte dei grandi gruppi industriali e dei servizi. La società captive diviene lo strumento operativo di cui il risk manager può disporre per disintermediare il mercato assicurativo nei momenti di hard market.

Cos’è una società captive

La captive, infatti, è un’impresa licenziata per l’attività assicurativa o riassicurativa, creata per fornire coperture assicurative o riassicurative ai rischi di tutte le società appartenenti allo stesso gruppo in luogo di quelle di mercato.

Le captive sono delle vere e proprie compagnie per l’auto-assicurazione dei rischi del gruppo, e sono solitamente consolidate dalla propria società capogruppo. L’obiettivo della captive, oltre a fornire le coperture assicurative richieste dalla legge e/o dai contratti, si sostanzia nella conservazione del valore aziendale attraverso la gestione dei rischi. Valore che, in assenza della stessa, finisce solitamente nei margini delle compagnie assicurative e riassicurative di mercato.

Creando la propria compagnia di assicurazioni o riassicurazioni, la società capogruppo riduce il costo del rischio, e può assicurare, oltre ai rischi tradizionali, anche i nuovi rischi (es. cyber), oppure tutti quei rischi scarsamente appetibili per il mercato commerciale. Può inoltre generare mutualità interna tra le società del gruppo, avere accesso diretto ai mercati internazionali della riassicurazione e, infine, mantenere un flusso di cassa interno al gruppo.

Quando una società decide di costituire una captive significa che ha raggiunto un elevato livello di consapevolezza e di complessità nella gestione dei rischi, è capace di valutare i rischi sia nel loro complesso che nel dettaglio e determinare i livelli delle esposizioni e dei fabbisogni assicurativi delle proprie filiali e delle proprie linee di business. Saper sfruttare bene una captive significa possedere insieme a distintive competenze di risk management anche specifiche conoscenze di trasferimento dei rischi, sui prodotti assicurativi e sui loro normativi, essere in grado di formulare una tariffazione adeguata dei rischi e conoscere le tecniche e le modalità di liquidazione dei sinistri.

I risultati della captive possono essere distribuiti sotto forma di dividendi alla capogruppo, oppure reinvestiti nel capitale per aumentarne i limiti di sottoscrizione, incrementando così la capacità di autofinanziamento dei rischi del gruppo. La captive può, dunque, essere un formidabile strumento di gestione e finanziamento integrato del rischio nelle mani del risk manager.

Quanto sono le captive nel mondo

Il numero esatto di captive assicurative e riassicurative esistenti ed attive nel mondo è difficile da stabilire con certezza, perché molti domicili non garantiscono ancora dati aggiornati e una completa trasparenza. Tuttavia, i principali operatori di captive management stimano che possano variare tra le 6.500 e le 7.000, distribuite tra tutti i continenti in oltre 50 domicili. La parte del leone la fanno gli USA, dove sono molti gli Stati che si sono dotati nel tempo di normative captive ad hoc. In Europa esistono diversi domicili tradizionali che favoriscono la registrazione di captive, tra i quali l’Irlanda, Lussemburgo e Svizzera, mentre tra i nuovi e recenti domicili spicca Malta.

Le captive in Italia

L’Italia, fino ad oggi, non è mai stato un Paese attrattivo per le captive. La ragione storica è principalmente la mancanza di un quadro normativo e regolamentare ad hoc, per cui la licenza che viene rilasciata è una normale licenza per l’esercizio di un’attività assicurativa e riassicurativa commerciale e non specificatamente “captive”, come invece i Paesi europei sopra menzionati prevedono. Costituire una captive è un’operazione di investimento a medio/lungo termine e l’assenza di un quadro normativo certo e della snellezza regolamentare necessaria per queste società ha reso l’Italia un domicilio poco attrattivo.

Sicuramente l’armonizzazione della normativa IVASS agli standard europei seguita a Solvency II ha creato una situazione più favorevole alla domiciliazione anche in Italia di queste società, seppur ancora in assenza di quadri normativi più definiti ed in linea con quelli dei domicili captive europei. Grazie a questi modelli di solvibilità, definiti da Solvency II, i requisiti di capitalizzazione minima oggi richiesti per una captiva di riassicurazione sono pari a 1,2M di euro.

Un’altra criticità attuale nella diffusione delle captive potrebbe risiedere nella scarsa disponibilità di servizi di captive management specializzati, disponibili invece in altri Paesi, lacuna che il mercato coprirebbe comunque con grande rapidità, ove ve ne fosse la necessità. Si tratta di servizi, in particolare, di consulenza legale e fiscale specifica, attuariale, amministrativa e di soluzioni informatiche e gestionali ad hoc.

società captive

I vantaggi delle società captive

Se dovessimo riassumere rapidamente i vantaggi che fornisce una captive nella gestione dei rischi, dovremmo menzionare

  • possibilità di adeguare i normativi contrattuali alle esigenze degli assicurati di gruppo: i normativi contrattuali con la captive possono essere ritagliati a misura a prescindere dalle condizioni ed esclusioni vigenti in un mercato hard. Si ha la possibilità di garantire una copertura assicurativa per eventuali garanzie solitamente escluse, o per rischi nuovi o poco appetibili dal mercato commerciale. Gli stessi livelli di franchigia e dei sublimiti possono essere ottimizzati, così come le retroattività delle coperture.
  • accesso ai mercati riassicurativi o finanziari internazionali: la captive potrà accedere per la protezione del proprio portafoglio ai mercati riassicurativi internazionali, per la realizzazione di coperture di riassicurazione tradizionali, oppure strutturando specifiche soluzioni di Alternative Risk Transfer (ART).
  • maggior flessibilità nel pricing dei rischi: pur rimanendo nei limiti di un’adeguata tariffazione dei rischi che protegga il conto economico e la dotazione patrimoniale della captive, la stessa potrà sempre inserire nelle polizze delle clausole contrattuali di beneficio per i propri assicurati di gruppo (es. profit agreement, no claim bonus), nel caso di un positivo andamento tecnico del rischio.
  • efficiente gestione del cash flow: nel caso di una captive di assicurazione, inoltre, il rapporto assicurativo con la captive diviene un rapporto intercompany, che produce un’efficiente gestione di tesoreria mantenendo il flusso di denaro all’interno del perimetro di gruppo semplicemente trasferendolo da un soggetto all’altro, ottimizzando così gli impieghi finanziari.
  • maggior tempestività nella liquidazione dei sinistri: con un rapporto assicurativo diretto si ha una maggiore tempestività e flessibilità della captive nel riconoscere, valutare e liquidare i sinistri. L’esperienza e la pratica ci hanno insegnato che solo raramente i sinistri presentano una dinamica chiara ed una univoca causa mentre, al contrario, presentano spesso delle zone grigie che rappresentano motivo di ritardo o di contenzioso nel riconoscimento di una liquidazione di sinistro con gli assicuratori di mercato. Con la captive si riduce invece il potenziale contenzioso e le spese legali conseguenti, intervenendo direttamente nella gestione del sinistro e nella sua tempestiva liquidazione nel solo interesse dell’assicurato di gruppo.

Lo studio di fattibilità di una start up

Quando il top management dell’azienda giunge alla determinazione che lo strumento captive possa essere utile e necessario nell’ambito di una moderna e sofisticata gestione dei rischi, significa che siamo già in una buona posizione di partenza. L’onboarding, infatti, ovvero il coinvolgimento e la condivisione delle figure aziendali apicali, è fondamentale per il successo dell’iniziativa. La determinazione del profilo di captive (di assicurazione o di riassicurazione), la sua modellizzazione sul profilo di rischio del gruppo e sugli obiettivi che il top management ricerca da questo tipo di strumento devono essere chiari e determinati sin dallo studio di fattibilità.

Per realizzare una startup di una captive, il primo step risiede nello studio di fattibilità, un’analisi che normalmente comprende una serie di fasi e prevede i seguenti passaggi sia qualitativi che quantitativi:

  • Definizione di scopi e obiettivi: prevede l’individuazione del mix di obiettivi che si desiderano raggiungere con l’autofinanziamento del rischio cercando di superare eventuali ostacoli di natura contrattuale, normativi e di governance nell’uso di una captive;
  • Analisi della tolleranza al rischio dell’azienda: attraverso test di sensibilità su indicatori finanziari chiave (come l’EBITDA e il flusso di cassa) e della propensione al rischio;
  • Raccolta e analisi quantitativa dei dati sulle classi di rischio scelte: (i.e. sinistri, premi ed esposizioni), con un orizzonte temporale che non dovrebbe essere inferiore agli ultimi 5/7 anni, al fine di determinare, attraverso un’analisi attuariale, il costo atteso del rischio e l’equilibrio ottimale tra autofinanziamento e trasferimento del rischio;
  • Progettazione del programma assicurativo e riassicurativo: basato su una strategia che deve garantire all’azienda una protezione ottimale dai rischi e una migliore efficienza finanziaria;
  • Capital modelling: definizione del livello di capitalizzazione ottimale in relazione sia ai requisiti richiesti dai modelli di solvibilità del domicilio prescelto ma anche in relazione al profilo dei rischi sottoscritti, riassicurati e ritenuti;
  • Business Plan: rappresenta l’ultima fase di uno studio di fattibilità e include una panoramica dello sviluppo dell’evoluzione della captive su un orizzonte minimo da 3 a 5 anni, inclusi rendiconti finanziari pro-forma, tempistiche, revisione e valutazione dei livelli di finanziamento, ritorni sugli investimenti attesi, scenari di rischio, variazioni dei costi di gestione dei sinistri e delle spese operative.

Lo studio di fattibilità rappresenta il documento necessario e completo per una corretta rappresentazione ai vertici aziendali del progetto nonché, una volta ottenuto il via libera, una vera e propria “due diligence” da seguire per la costituzione e l’implementazione operativa di una captive di successo.

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Carlo Cosimi
Carlo Cosimi
Presidente ANRA – Associazione Nazionale dei Risk Manager e Responsabili Assicurazioni Aziendali

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