Neuromarketing: cos’è e perché è importante parlare di neuro-diritti

Una disciplina che si affida all’esplorazione delle reazioni cerebrali agli stimoli promozionali per delineare i meccanismi e le dinamiche cognitive che influenzano le preferenze e il comportamento d’acquisto del consumatore

Aggiornato il 02 Feb 2024

Carlo Impalà

Partner – Responsabile del dipartimento TMT e data protection dello Studio Morri Rossetti

Jun Jie Yang

Associata dello studio Morri Rossetti, dipartimento TMT e Data Protection

neuromarketing

Nel recente panorama delle dinamiche di mercato, l’incrocio tra neuroscienze e marketing, comunemente noto come neuromarketing, si è rivelato un’innovazione paradigmatica. La disciplina del neuromarketing si affida all’esplorazione delle reazioni cerebrali agli stimoli promozionali per delineare gli arcani meccanismi e le dinamiche cognitive che influenzano le preferenze e il comportamento d’acquisto del consumatore.

In questa cornice, il neuromarketing trasmuta le potenzialità delle imprese, pur sollevando questioni di non trascurabile rilievo in termini etici, giuridici e di tutela del consumatore che richiedono attenzione e riflessione critica.

Come funziona il neuromarketing

Per chiarire meglio il concetto, il neuromarketing rappresenta un’evoluzione metodologica rispetto ai tradizionali gruppi di discussione (c.d. focus group) impiegati dalle aziende, che consistono nel raggruppare individui selezionati al fine di ottenere un feedback diretto su prodotti o servizi. La sostanziale divergenza del neuromarketing si manifesta nell’analisi delle risposte emotive cerebrali, che vengono indagate tramite l’impiego di strumentazioni sofisticate come la risonanza magnetica funzionale e l’elettroencefalogramma, così come con device tecnologici che monitorino movimenti oculari e onde cerebrali al fine di decifrare, ad esempio, l’oggetto dello sguardo di una persona, la durata di tale sguardo, il livello di concentrazione, nonché ulteriori parametri.

Il principale pregio di questa metodologia si situa nell’interpretazione delle emozioni, che giocano un ruolo preponderante nelle scelte di consumo e sono meno suscettibili di essere influenzate o alterate rispetto ai processi logico-razionali. Le informazioni ottenute tramite il neuromarketing arricchiscono, pertanto, significativamente il corpus di conoscenze disponibili per le strategie di marketing, consentendo una più incisiva comprensione delle forze intrinseche che presiedono alle decisioni di acquisto dei consumatori.

Neuromarketing, quali sono le implicazioni etiche e giuridiche

Le problematiche etiche e le implicazioni giuridiche connesse all’esercizio del neuromarketing sono numerose e meriterebbero un’analisi accorta e puntuale. Tuttavia, si può evidenziare che la raccolta di dati neurologici e biometrici intrapresa dalle società al fine di catalizzare l’incremento delle vendite, porta alla ribalta la questione del potenziale abuso delle informazioni raccolte per manipolare i consumatori, inducendoli a compiere scelte d’acquisto che altrimenti non avrebbero operato in assenza di tali influenze persuasive.

Il neuromarketing, nell’utilizzo delle sue strategie più raffinate, come il c.d. “nudge marketing”, si ispira, infatti, all’architettura delle scelte enunciata da Thaler e Sunstein[1], per modulare in maniera quasi impercettibile le decisioni di acquisto. Pur potendo questo approccio potenziare l’esperienza di consumo, è vitale assicurare, tuttavia, che l’autonomia decisionale del consumatore non sia pregiudicata.

In questo contesto, anche l’emergere di sistemi avanzati basati sull’intelligenza artificiale ha dato vita a quello che viene designato come “neuromarketing 2.0”, con la conseguente accresciuta capacità di creare profili dei consumatori di gran lunga più dettagliati ed estremamente sfaccettati rispetto alle tecniche tradizionali, attraverso l’integrazione di parametri biometrici e cronologici relativi ai comportamenti di acquisto.

Tutto ciò comporta quindi valutazioni di tutela del consumatore sotto molteplici punti di vista, non etici ma anche legali (ad esempio, non solo nell’ambito dell’applicazione della disciplina in materia di formazione del consenso, tutela del consumatore, pubblicità ma anche di quella in materia privacy e protezione dei dati personali).

neuromarketing

Quali sono le tipologie di dati che vengono acquisiti nell’ambito del neuromarketing

Il neuromarketing viene spesso condotto monitorando parametri quali l’attività cerebrale, la frequenza respiratoria, la frequenza cardiaca, la temperatura della pelle, la sudorazione delle mani, il battito delle palpebre e il movimento oculare. La combinazione di tali dati, nel loro insieme, consente a chi ne è in possesso di tratte numerose informazioni, di misurare l’intensità emotiva, la riflessione cognitiva, la memorizzazione e i punti su cui il soggetto si focalizza con lo sguardo.

La neurotecnologia e le interfacce neurali[2] rendono possibile la misurazione e la registrazione dell’attività cerebrale. Le onde cerebrali, registrate da una interfaccia neurale, una volta elaborate e decodificate, vengono tradotte in informazioni di carattere fisiologico quali, ad esempio, le intenzioni dell’utente attraverso i suoi segnali cerebrali.

Questa attività dipende, inoltre, sia da numerosi fattori interni all’individuo, come l’età, il sesso, lo stato psico-affettivo, le patologie, ecc., sia esterni, quali l’ambiente, le attività circostanti, gli stimoli, e ad altri elementi che agiscono in base a una certa base genetica. Queste tecnologie consentono, pertanto, la raccolta di dati c.d. neurali o neurodati associati a individui identificati o identificabili.

Come vengono considerati dalla normativa vigente i “dati neurali”

L’analisi dei dati neurali nell’ambito di attività di neuromarketing pone una serie di interrogativi critici, a partire dal loro inquadramento nell’ambito della normativa in materia di protezione dei dati personali, secondo il quadro giuridico fornito dal Regolamento UE 2016/679 (“GDPR”).

La normativa europea fornisce, infatti, una definizione molto ampia di dati personali, comprendendo qualsiasi informazione relativa ad una persona fisica identificata o identificabile.

Secondo tale definizione, i neurodati – che senza dubbio sono in grado di rivelare informazioni uniche su una persona – ricadrebbero nella definizione di dati personali. Ciò che è dibattuto, tuttavia, è se, a seconda delle circostanze, essi debbano essere considerati come dati personali di tipo comune o come dati di categoria particolare[3].

Se consideriamo che il cervello è un identificatore unico come un’impronta digitale o un genoma, così come quest’ultime tipologie di dati, anche i dati neurali possono offrire la possibilità di prevedere o inferire ulteriori informazioni, rivelare indizi sul passato e sul futuro ed esporre anche aspetti unici e personali dell’individuo, che non sono osservabili o noti all’individuo stesso, e che pertanto attengono alla sua sfera più intima. La natura predittiva e altamente personale dei dati neurali sembrerebbe quindi suggerire che essi siano da trattare come dati di categoria particolare ai sensi dell’articolo 9 del GDPR.

Tale categorizzazione comporterebbe non solo protezioni aggiuntive (si pensi, ad esempio, agli obblighi descritti dalle “Linee guida in materia di valutazione d’impatto sulla protezione dei dati e determinazione della possibilità che il trattamento “possa presentare un rischio elevato” ai fini del GDPR” del Gruppo di Lavoro Art. 29) ma anche la necessità di superare il divieto posto per il loro trattamento dall’art. 9 del GDPR, a meno che non ricorrano specifiche eccezioni (es. il consenso esplicito della persona interessata, il trattamento necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, o il trattamento necessario ai fini della prevenzione o della medicina del lavoro, ad esempio).

Esistono pronunce giurisprudenziali sull’utilizzo di dati neurali o in materia di “neuro-diritti”?

A livello nazionale, non abbiamo ancora pronunce specifiche, ma a livello internazionale si può richiamare la storica sentenza emessa dalla Corte costituzionale cilena[4], che segna sicuramente un importante punto di svolta nell’intersezione tra tecnologia e tutela della persona, e che rappresenta probabilmente la prima sentenza al mondo relativa alla tutela dei dati neurali, rappresentando una pietra miliare nella protezione dei c.d. “neurodiritti”.

La Corte Costituzionale cilena si è espressa, infatti, in materia di utilizzo di dispositivi indossabili progettati per monitorare l’attività cerebrale delle persone a fini “privati”, sottolineando la necessità di un approccio regolamentare e di una preventiva autorizzazione per tali tecnologie prima che possano essere commercializzate, riconoscendo, dunque, l’importanza di proteggere l’integrità fisica e mentale delle persone.

La decisione della Corte riconosce il potenziale pericoloso delle neurotecnologie per la sicurezza degli individui, aprendo la strada all’esigenza di una regolamentazione esplicita dei neurodati, considerati come dati personali sensibili, e fungendo da apripista per futuri risvolti in termini regolatori e giurisprudenziali, con possibili impatti a livello globale dato che il mercato dei dispositivi indossabili hi-tech volti a raccogliere parametri vitali e non, connessi all’individuo, risulta essere sempre più in crescita[5].

Quali sono i profili legali coinvolti (privacy) e i suggerimenti pratici per le aziende che si cimentano nell’utilizzo di tecniche di neuromarketing

Nell’ambito delle pratiche di neuromarketing, è essenziale considerare numerosi aspetti critici dal punto di vista legale, con l’applicazione di diverse branche del diritto; si pensi, ad esempio, non solo alla normativa in materia di protezione dei dati personali, ma anche a quella prevista a tutela dei consumatori.

Come già menzionato, infatti, in prospettiva privacy, nel caso in cui i dati neurali raccolti vengano classificati come categorie particolari di dati, occorrerà considerare il divieto di trattamento previsto dall’articolo 9 del GDPR, valutando con attenzione la sussistenza delle eccezioni previste, tra cui il consenso esplicito e informato del soggetto interessato.

Come detto, inoltre, attraverso l’impiego di tecniche avanzate di neuromarketing è possibile elaborare informazioni complesse riguardanti i pensieri e le emozioni dei soggetti e arrivare a costruire profili estremamente dettagliati dei consumatori per accrescere notevolmente il tasso di conversione di un determinato annuncio o proposta commerciale in acquisto.

In tale contesto, fondamentale sarà considerare – oltre al rispetto dei principi generali sanciti dal GDPR (es. liceità, minimizzazione, limitazione delle finalità, trasparenza, responsabilità etc.) – l’applicabilità delle disposizioni e dei provvedimenti specifici in materia di trattamenti automatizzati, compresa la profilazione, nonché l’obbligo per il titolare del trattamento di effettuare una preventiva valutazione d’impatto sulla protezione dei dati (DPIA), ai sensi dell’articolo 35 del GDPR, considerato l’elevato rischio insito nei trattamenti connessi a questa tipologia di tecnica di marketing.

Le direttive dello European Data Protection Board e delle Autorità Garanti nazionali

Anche la custodia e l’accesso ai dati neurali dovranno avvenire in conformità alla normativa sulla protezione dei dati personali valutando l’adozione di adeguate misure di sicurezza volte a preservare la confidenzialità, l’integrità e la disponibilità dei dati.

Inoltre, data la natura della pubblicità comportamentale, risultante da tecniche di neuromarketing e profilazione, è imprescindibile considerare anche le più recenti direttive dello European Data Protection Board (“EDPB”) e delle Autorità Garanti nazionali (si pensi, ad esempio, alla recente decisione urgente del 27 ottobre 2023, adottata proprio dall’EDPB in materia di pubblicità comportamentale[6]), nonché, in caso di gate keeper, ovvero di quei soggetti che forniscono servizi di piattaforma ai sensi dell’art. 3 del Digital Markets Act (“DMA”), entrato in vigore il 2 maggio 2023, riflettere anche sugli obblighi previsti da tale regolamentazione in materia di profilazione dei consumatori[7].

E ancora, laddove vengano utilizzati sistemi di AI, risulterà necessario tenere in considerazione quanto verrà previsto, una volta approvato, dal Regolamento che stabilisce regole armonizzate sull’AI (AI Act) – attualmente ancora in fase di definizione – in merito ai sistemi considerati a “rischio inaccettabile”, e pertanto vietati. Tra i sistemi di intelligenza artificiale vietati dall’attuale formulazione dell’art. 5 della proposta di AI Act, rientrerebbero, infatti, quelli che “utilizza[no] tecniche subliminali che agiscono senza che una persona ne sia consapevole o tecniche volutamente manipolative o ingannevoli aventi lo scopo o l’effetto di distorcere materialmente il comportamento di una persona o di un gruppo di persone, pregiudicando in modo considerevole la capacità della persona di prendere una decisione informata, inducendo pertanto la persona a prendere una decisione che non avrebbe altrimenti preso, in un modo che provochi o possa provocare a tale persona, a un’altra persona o a gruppo di persone un danno significativo”.

Ove l’AI Act venisse approvato conservando tale impostazione, gli operatori del mercato che intenderanno utilizzare sistemi di AI per attività di neuromarketing saranno tenuti a considerare anche che tale pratica potrebbe essere vietata nel caso in cui vengano impiegati sistemi che implichino tecniche manipolative o ingannevoli volte a distorcere il comportamento di una persona.

A livello nazionale, inoltre, occorrerà considerare anche la disciplina prevista a tutela dei consumatori da eventuali pratiche commerciali sleali e scorrette, attuate attraverso l’impiego di tecniche di neuromarketing o lo sfruttamento scorretto delle informazioni acquisite dal loro utilizzo, nonché le norme civilistiche in materia di vizi nella formazione della volontà del consenso.

Conclusioni

Le osservazioni evidenziate riflettono la complessità e le sfide poste dal neuromarketing dal punto di vista etico e legale.

La raccolta di neurodati pone, infatti, questioni che vanno oltre le preoccupazioni per la sola privacy degli individui, introducendo interrogativi sull’attuale tutela dell’autonomia personale e il potenziale rischio di manipolazioni dei consumatori.

La domanda da porsi, ad avviso di chi scrive, è se il neuromarketing necessiti anch’esso (così come sta avvenendo in altri contesti quali, ad esempio, lo sviluppo di certe tecnologie) di un quadro normativo speciale che regoli con un approccio olistico non solo i profili di protezione dei dati personali, ma anche gli ulteriori aspetti giuridici ed etici connessi e che tenga conto dell’esigenza di sviluppare e rafforzare i cosiddetti “neurodiritti” (quindi di proteggere sempre più l’integrità mentale e l’autonomia psicologica delle persone), o se i presidi normativi che l’ordinamento attualmente fornisce siano già sufficienti a garantire un’adeguata tutela delle persone.

Note

  1. Richard H. Thaler e Cass R. Sunstein, Nudge. La spinta gentile, 28 maggio 2014.
  2. Un’interfaccia neurale, nota anche con il termine inglese Brain-computer interface, è un mezzo di comunicazione diretto tra un cervello (o più in generale parti funzionali del sistema nervoso centrale) e un dispositivo esterno (ad es. un computer).
  3. Cfr. https://www.aepd.es/en/prensa-y-comunicacion/blog/neurodata-privacy-and-protection-of-personal-data-II#:~:text=The%20GDPR%20adopts%20a%20broad,intimate%20sphere%20of%20the%20person
  4. La sentenza è disponibile, soltanto in lingua spagnola, qui.
  5. Peraltro, l’utilizzo di device indossabili per finalità di neuro-monitoraggio non è più soltanto uno scenario da film futuristici. Basti pensare al progetto di Elon Musk denominato Neuralink, vale a dire un dispositivo che – in futuro – mira ad essere installato nel cervello umano per poterlo monitorare, individuare le eventuali patologie e contenere gli effetti di malattie neuro generative. O anche al caso di Shenzhen, in Cina, dove una società, con sede anche negli USA, ha creato un copricapo capace di misurare l’attività cerebrale dei soggetti al fine di analizzare la concentrazione e l’apprendimento delle persone che lo indossano.
  6. Con questa determinazione, l’EDPB ha delegato l’Autorità di controllo irlandese, quale capofila, a intraprendere prontamente azioni definitive riguardo Meta Ireland Limited e a vietare il trattamento di dati personali per scopi di pubblicità comportamentale laddove tale trattamento sia ritenuto necessario per l’esecuzione di un contratto in cui l’interessato è parte o per perseguire un legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi. L’EDPB aveva già chiarito nel dicembre 2022 che il fondamento giuridico dell’obbligo contrattuale non è appropriato per il trattamento di dati personali a fini pubblicitari comportamentali (la notizia è disponibile qui).
  7. Tra gli obblighi principali, ad esempio, quello di presentare una dettagliata descrizione delle tecniche di profilazione impiegate, soggetta a revisione da parte dell’EDPB e messa a disposizione del pubblico.

Articolo originariamente pubblicato il 02 Feb 2024

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