La corretta valutazione del merito creditizio delle controparti, siano esse fornitori o clienti di un’azienda, è un fattore competitivo fondamentale per la sostenibilità e la crescita del core business dell’impresa. Fornitori e clienti solidi garantiscono, infatti, all’impresa quelle condizioni di continuità di sviluppo che hanno un impatto positivo in termini di return on investment e gestione efficiente del ciclo della liquidità.
Eppure, il giudizio sul merito creditizio di una controparte, soprattutto quando si tratta di un’azienda, comporta non solo la disponibilità di informazioni complesse, complete e tempestive, ma richiede anche che queste siano interpretate in modo non distorto.
Le metodologie e gli standard di risk management mirano a ridurre la possibilità che eventuali distorsioni nel processo di decision making possano generare conseguenze negative per l’impresa.
Rischio di credito ed asimmetrie informative
Il rischio di credito è caratterizzato da due componenti fra loro collegate:
• rischio di deterioramento del merito creditizio di una controparte, Credit Quality Downgrade, che si evidenzia attraverso un possibile deterioramento del ciclo della liquidità con conseguente difficoltà per l’impresa di accedere alle fonti di finanziamento a costi competitivi;
• rischio che la controparte di un’operazione non adempia, entro i termini stabiliti, ai propri obblighi contrattuali quando questi diventino esigibili, Default Risk.
Naturalmente, un deterioramento permanente del merito creditizio dell’impresa comporta, alla lunga, un aumento del rischio di default, al punto da poterne infine determinare il fallimento.
Nel tentativo di ritardare o invertire questi processi di deterioramento della qualità creditizia di un business partner, un’impresa (o una banca presso la quale il partner abbia affidamenti o concessioni di credito) può essere indotta a concedere condizioni economiche più favorevoli, quali dilazioni di pagamento o anticipi di fatturazione in conto merce.
Queste azioni, per quanto in determinate circostanze e nel quadro di strategie ben coordinate si rivelino utili al rafforzamento del business aziendale, possono in generale essere soggette a distorsioni valutative, quando non suffragate da adeguate basi informative e processi decisionali analiticamente rigorosi.
Questi processi valutativi sono infatti fortemente condizionati dalla presenza di “asimmetrie informative”, le quali consistono per lo più nella circostanza che i partner commerciali, quando incorrono in difficoltà finanziarie, non danno tempestivamente visibilità della loro situazione reale e, anzi, forniscono elementi spesso fuorvianti.
A causa di tali asimmetrie informative, dal punto di vista del rischio di credito, le imprese non sono quindi costantemente nella condizione di poter distinguere fra:
• controparti illiquide ma solvibili, cioè in grado di ripristinare nel medio termine condizioni finanziarie di sostenibilità del proprio business;
• controparti potenzialmente insolventi, cioè non in grado di liquidare cespiti disponibili per finanziare esigenze di liquidità di breve-medio termine senza compromettere il proprio assetto patrimoniale di lungo termine.
Confondere controparti insolventi, scambiandole per soggetti solo temporaneamente illiquidi, può determinare forti squilibri finanziari in capo all’impresa, la quale può addirittura registrare col tempo un deterioramento del proprio merito creditizio ed incorrere in maggiori difficoltà di accesso alle fonti ordinarie di finanziamento.
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Paradosso di Ellsberg e rischio di credito
Ma davvero i processi di valutazione, particolarmente in tema di rischio di credito, possono essere soggetti a distorsioni significative frutto di asimmetrie informative cui abbiamo brevemente fatto cenno? Nel seguito, vi propongo un esempio di come anche chi abbia rilevante esperienza nel valutare la solidità dei partner aziendali in realtà non sia immune da pregiudizi distorsivi (definiti, nell’ambito dell’economia sperimentale, “bias”).
Un archetipo di tali “bias” è messo in luce dal “paradosso di Ellsberg”, in cui le scelte degli individui violano l’ipotesi alla base della teoria dell’utilità attesa, la quale costituisce il fondamento teoretico di ogni «valutazione razionale» del rischio.
Immaginiamo, in un momento di congiuntura economica negativa, di essere il credit manager di una banca e di dover valutare affidamenti a due nuovi potenziali clienti, l’azienda A e l’azienda B, che si presentano paragonabili quanto ai dati di bilancio, affidandone però uno soltanto. Sia A che B potrebbero essere semplicemente aziende illiquide, oppure essere entrambe aziende insolventi.
Il cliente A appartiene all’industria X e il cliente B appartiene all’industria Y: le statistiche informano che il 50% delle aziende dell’industria X presentano condizioni deteriorate, mentre non sussistono statistiche sull’industria Y. Dovendo scegliere, quale azienda dunque, A o B, sarà affidata dal credit manager?
Se le aziende dell’industria Y fossero tutte illiquide ma assolutamente non insolventi, allora sarebbe conveniente finanziare l’azienda B poiché A avrebbe comunque il 50% di probabilità di essere in effetti insolvente. Viceversa, se le aziende dell’industria Y fossero tutte potenzialmente insolventi, allora sarebbe bene finanziare l’azienda A, che comunque presenta pur sempre il 50% di probabilità di essere solo illiquida.
In base alla teoria dell’utilità attesa, un operatore razionale (questa forma di razionalità è denominata nella dottrina “Von Neumann-Morgenstern Rationality” in quanto costituisce la base del fondamentale teorema dell’utilità, che prende nome dai due autori) dovrebbe essere indifferente rispetto a una tale alternativa, poiché in base al ragionamento che abbiamo fatto, entrambe le aziende presentano, a priori, la medesima probabilità di essere insolventi a causa della loro similarità.
I dati sperimentali indicano invece che la maggior parte degli operatori preferiranno affidare l’azienda A! Ciò perché esiste una fondamentale differenza fra rischio ed incertezza. Il rischio, infatti, è misurabile (nel nostro esempio, la probabilità di insolvenza dell’azienda A è pari al 50%) mentre l’incertezza (ma sarebbe meglio parlare qui di “Knightian Uncertainty”, dal nome dell’economista Knight che per primo ne fornì una definizione) deriva dalla mancanza di informazioni quantificabili. Quindi, in carenza di informazioni, gli operatori esprimono una preferenza verso situazioni in cui i rischi sono quantificabili, anche se una decisione differente potrebbe portare a situazioni potenzialmente migliori (nel caso nostro, le aziende dell’industria Y potrebbero essere addirittura prive di rischiosità!).
Il Rischio di Credito nelle PMI
Abbiamo visto come le distorsioni nella valutazione del rischio di credito (le c.d. “bias”) possono portare ad una selezione di opportunità sub-ottimale: cattiva selezione dei partner commerciali, cattiva selezione dei clienti, cattiva selezione degli affidamenti e delle linee di credito e via dicendo.
Tali aspetti sono particolarmente rilevanti per le PMI, in quanto il merito creditizio della singola impresa non solo dipende dall’andamento del ciclo economico ma anche, e fortemente, dall’andamento del ciclo del credito. Ciò perché le fonti di finanziamento delle PMI europee sono prevalentemente riconducibili al canale bancario, mentre fonti alternative non sono ancora sufficientemente sviluppate (si pensi, per esempio, ai mini-bond istituiti in Italia a partire dal c.d. “Decreto Sviluppo” del 2012).
Per questa ragione, nonostante la regolamentazione prudenziale europea (“CRDIV”) abbia aumentato significativamente quantità e qualità del capitale di vigilanza assorbito a fronte delle erogazioni creditizie, uno specifico «supporting factor» per le PMI è stato predisposto con l’obiettivo di fornire un incentivo per le banche a concedere prestiti al segmento.
Tuttavia, a causa delle rilevanti asimmetrie informative sopra illustrate, le imprese continuano a fornire rilevanti garanzie patrimoniali a fronte di finanziamenti ricevuti attraverso il canale bancario, soprattutto in Italia e Spagna: ciò costituisce un limite per lo sviluppo di queste economie, determinando un assetto produttivo potenzialmente meno efficiente.
Le strategie di identificazione del rischio
Le strategie attuabili per mitigare gli effetti negativi derivanti dalle distorsioni di cui abbiamo trattato si sviluppano principalmente lungo due prospettive:
• adozione di metodologie di valutazione del rischio “information driven”;
• “topologie delle forme produttive” in grado di ottimizzare i flussi informativi all’interno della filiera produttiva di riferimento per l’impresa.
Per quanto riguarda la seconda prospettiva, le aziende possono sfruttare l’opportunità rappresentata dalla digitalizzazione dei processi produttivi per condividere il proprio patrimonio informativo, mettendo in comune ed integrando i dati lungo tutta la supply chain cui partecipano: questa strategia ottimizza ed accresce il patrimonio informativo complessivo, riducendo sensibilmente i livelli di incertezza ed accrescendo la misurabilità dei rischi.