La pandemia e le misure di contenimento adottate per far fronte all’emergenza sanitaria hanno imposto limiti sempre più stringenti alla circolazione delle merci, delle persone e allo svolgimento delle attività produttive. Di fatto, il Covid-19 sta mettendo a dura prova la supply chain, dato che il lockdown ha comportato l’interruzione forzata delle attività economiche di interi settori. Una situazione che, inevitabilmente, ci porta a riflettere su cosa non abbia funzionato oltre a rivedere, criticamente, i modelli operativi e industriali fino a oggi adottati. Modelli basati su paradigmi quali lean management, just-in-time, delocalizzazione, outsourcing, global sourcing, ecc. che si stanno rivelando altamente vulnerabili.
La vulnerabilità della supply chain
La pandemia e la supply chain disruption, in atto, costituiscono quello che in gergo i risk & business continuity manager definiscono come la “tempesta perfetta”: due rischi annunciati, che si sono verificati e che stanno impattando gravemente lo scenario economico-sociale globale.
C’è chi parla di “cigni neri” (eventi imprevedibili), ma, in questo caso siamo di fronte a “rinoceronti grigi” (che si nascondono nella savana per poi apparire in tutta la loro potenza e aggredire senza pietà la preda), dal momento che sia il rischio pandemico sia quello della supply chain disruption sono sempre stati indicati, negli ultimi anni, a partire dal 2005, tra i top ten risk probabili e da monitorare secondo quanto riportato annualmente rispettivamente dal World Economic Forum (WEF) – Global Risk Report e dal BCI Supply Resilience Report.
Trattasi di rischi percepiti, assopiti, ma in agguato, pronti, nella savana pandemica, a colpire e travolgere le organizzazioni che non hanno effettuato un adeguato risk assessment & treatment, né implementato un business continuity plan: dimostrazione del fatto che i principi di risk management & business continuity non sono ancora sufficientemente diffusi e inglobati nella cultura aziendale e, nella maggior parte dei casi, si riducono a meri esercizi documentali.
L’emergenza Covid-19 ha messo in luce le vulnerabilità delle supply chain di molte organizzazioni, soprattutto quelle che dipendono fortemente dalla Cina – divenuta negli anni la “fabbrica del mondo” – per l’approvvigionamento di materie prime o prodotti finiti. Ben il 90% delle aziende Fortune 1000 del settore alta tecnologia e manifattura hanno fornitori nell’area di Wuhan con rischi inevitabili di effetto domino, diretti e indiretti, dato che la supply chain globalizzata è fatta di interconnessioni che agiscono su diversi livelli.
La frase: “si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo” (tratta dal film “The Butterfly” di Eric Bress) è quanto mai calzante in questo momento e sta a indicare come, a causa della globalizzazione e della complessità caratterizzanti l’epoca attuale, esistono relazioni di inter-retroazione tra ogni fenomeno e il suo contesto, e tra quest’ultimo e il contesto planetario.
La pressione competitiva e la globalizzazione dei mercati hanno indotto sempre più le imprese a privilegiare l’efficienza, a focalizzarsi su poche attività, a esternalizzare sempre più le fasi della produzione non strategica, a delocalizzare la manodopera in zone di forza lavoro a basso costo, a ridurre gli investimenti in ricerca e sviluppo per dare origine a delle strutture lean, capaci di rispondere ai paradigmi di massimizzazione dei profitti e politiche just-in-time. Ne consegue che le aziende devono essere in grado di mantenere la continuità degli approvvigionamenti, gestire la variabilità dei lead time e la stretta interconnessione di sistemi, articolati e interdipendenti, che amplificano gli effetti di ogni minaccia, i.e. la “disruption” di un elemento causa la “disruption” dell’intero sistema. È necessario, pertanto, ripensare i modelli produttivi e organizzativi, le strategie aziendali e le pratiche manageriali al fine di conservare la continuità aziendale e gestire opportunamente i rischi.
La necessità di piani per la business continuity
La fragilità delle supply chain globali e l’incertezza dell’evoluzione della situazione pandemica impongono di attuare piani di contenimento dei danni derivanti dalla disruption in atto per prepararsi a reagire quando avrà luogo la ripresa.
Mai come in questo momento i risk & business continuity manager devono concentrarsi nell’elaborazione di piani idonei per gestire una supply chain a rischio globale; piani che dovranno considerare gli impatti principali del Covid-19 nei flussi del commercio internazionale soprattutto in termini di:
- shock di fornitura, i.e. contrazioni nei flussi di approvvigionamento di componenti, beni intermedi e prodotti finiti;
- shock di domanda, i.e. la riduzione consistente dei consumi implicherà un calo degli investimenti e peggioramento delle aspettative future.
A fronte di ciò sarà, pertanto, necessario:
- attuare e monitorare i processi di gestione delle emergenze (crisis management assessment) in un’ottica di business continuity, verificando che siano state correttamente adottate e rafforzate le misure atte a mitigare gli impatti e favorire i tempi di recupero.
- effettuare risk scenario analysis relative all’evolversi della pandemia, in termini di stato di business disruption protratto nel tempo, ritorno momentaneo alla normalità e successivo possibile acutizzarsi della crisi in modo tale da identificare le più opportune azioni di risposta.
Inoltre, la gestione della supply chain disruption implica l’adozione di alcune misure strategiche atte a:
- identificare i key stakeholder in modo tale da consolidare i requisiti e i vincoli, settare le priorità relative all’intera supply chain, sia in termini produttivi sia distributivi.
- mappare i fornitori critici e verificarne – tramite questionari – i requisiti di business continuity, oltre a richiedere la conformità agli stessi principi da parte dei loro sub-fornitori, monitorando, così, le interconnessioni in essere in termini di fornitori, produzione, distribuzione e classificando i vari attori in funzione del loro livello di criticità.
- individuare fornitori alternativi per garantire la continuità produttiva nel breve periodo e, al contempo, ridurre il rischio nel medio periodo (i.e. approccio di diversificazione).
- concentrare la produzione su prodotti in grado di garantire la continuità produttiva ed adottare schemi flessibili per gli altri.
- creare sistemi di indicizzazione ponderata, riferiti all’andamento dei prezzi delle materie prime, del carburante e del cambio valuta che potrebbero impattare sulla redditività dell’azienda.
- analizzare la domanda dei prodotti in termini di mercati e di canali, valutando anche l’ipotesi di razionalizzare la produzione oltre ad allineare la propria offerta alle nuove abitudini dei consumatori (i.e. commercio online), verificare la disponibilità di stock e, in base agli scenari analizzati, stabilire quali azioni commerciali intraprendere per il loro smaltimento nei mercati e canali identificati, dando priorità agli ordini fatturabili.
- identificare provider di terza parte logistica (TPL, i.e. – servizi logistici quali movimentazione, stoccaggio e distribuzione delle merci).) e quarta parte logistica (i.e. servizi di consulenza direzionale e interventi di tipo tecnologico per gestire la supply chain) per il ritiro diretto delle materie prime dai fornitori e per l’introduzione di modalità di trasporto alternative per la consegna ai clienti.
- valutare l’impiego di piattaforme di geo risk map/geoaudit, che potrebbero garantire un maggior monitoraggio dei vari partner commerciali (sedi, siti produttivi, punti vendita, magazzini, ecc.) identificando clienti e fornitori che risultano essere in aree critiche, ordini con alto fattore di rischio e identificare aree a basso impatto.
- prevedere l’utilizzo dei fondi di innovazione, messi a disposizione dal Governo, per effettuare investimenti di digitalizzazione per consentire all’organizzazione di raggiungere una maggiore agilità e scalabilità nella logistica della supply chain e nelle operazioni aziendali.
Una supply chain “rielaborata”, più strutturata e in grado di rispondere ai principi di risk management & business continuity in termini di ricavi, costi, margini e liquidità, agendo altresì lungo tutti i “nodi” della value chain (i.e. fornitori, asset industriali e distribuzione, ecc.).
Conclusioni
Lo scenario che ci attende è ancora incerto, dato che non sappiamo come si evolverà la pandemia. Pertanto, la supply chain globale risulterà a rischio ancora per qualche tempo: nonostante le attività in Cina stiano riaprendo, permane un problema di logistica e di domanda soprattutto legato a quei paesi che stanno vivendo ora il lockdown per il contenimento del Covid-19, senza contare le zone del pianeta che potrebbero ritornare a essere colpite dal virus con il ritorno dell’inverno. Per questo sarà determinante riuscire ad avere una visibilità dell’intera supply chain e, altresì strategico, sarà pensare fuori dagli schemi, essere agili e adattivi, soprattutto in un mare agitato come quello in cui ci troviamo a navigare.
Dovremo essere in grado di metabolizzare la disruption, dal momento che ci troviamo a vivere in un momento di certezza relativa; sarà altresì necessario attuare un cambiamento culturale, i.e. assimilare sempre più i principi di risk management & business continuity, monitorare i rischi e revisionare i piani di continuità in base all’evolversi della situazione per garantire una supply chain resiliente e una maggiore trasparenza della rete anche attraverso la digitalizzazione, che potrà aiutare le principali parti interessate ad identificare, analizzare, mappare, gestire e monitorare efficacemente i rischi per rispondere con successo alle minacce emergenti e capitalizzare le opportunità di mercato.