In un contesto in cui l’ESG ha acquisito un ruolo strategico nell’ambito degli investimenti globali si sta profilando sempre di più anche un rischio di ESG-washing, ovvero di una adozione superficiale di criteri ESG a scopi prevalentemente promozionali piuttosto che sostanziali.
Questa tendenza solleva interrogativi importanti sulla reale efficacia degli impegni presi dalle aziende per raggiungere obiettivi di sostenibilità. Le ragioni che spingono le corporazioni a integrare criteri ESG nelle operations devono infatti corrispondere a una reale trasformazione sostenibile che si riflette in una trasformazione industriale, in una transizione energetica, e in una trasformazione nelle relazioni con clienti e partner.
ESG-washing: cause e conseguenze
Con ESG-washing si intende la pratica di presentare un’azienda come più sostenibile di quanto in realtà non sia. Si tratta non più solo di un “atteggiamento” tattico, ma di una tendenza che è il frutto della pressione di un mercato e di stakeholder che richiedono un impegno crescente verso la sostenibilità. Un impegno che non sempre è concretamente praticabile, o che anche nel momento in cui si può mettere in campo produce risultati in tempi lunghi.
Nello stesso tempo, considerando che gli investimenti ESG nascono proprio dalla necessità di indirizzare risorse verso quelle imprese che scelgono di attuare progetti di trasformazione sostenibile e che molto spesso hanno anche aspettative di breve termine, nel momento in cui non si riesce ad attuare un vero cambiamento verso pratiche sostenibili, le aziende rischiano di compromettere la propria credibilità e la propria reputazione.
Va poi aggiunto che le conseguenze dell’ESG-washing, alla luce del quadro regolatorio che si sta profilando (come ad esempio nel caso del regolamento UE per i rating ESG n.d.r.), non si limitano alla perdita di fiducia dei consumatori o degli investitori, ma possono comportare sanzioni legali e regolatorie, considerando la necessità delle istituzioni e degli stessi investitori di garantire al mercato sia trasparenza che maggiore accountability nelle dichiarazioni di sostenibilità.
ESG come creazione di nuovo valore
Investire in sostenibilità significa creare valore sul medio e lungo periodo: lo sostiene l’85% dei manager che nello stesso tempo indica nel 50% dei casi la generazione di rendimenti finanziari come una delle principali motivazioni che inducono un’impresa ad affrontare questi investimenti. Una motivazione che risulta anche più rilevante rispetto alla compliance che si ferma a un comunque importante 48%.
Si tratta di dati che emergono dalla ricerca Sustainable signals: understanding corporates sustainability priorities and challenges, realizzato dall’Institute for Sustainable Investing (QUI per accedere alla ricerca n.d.r.) su un campione rappresentativo di oltre 300 aziende pubbliche e private che fatturano più di 100 milioni di dollari con il coinvolgimento di decision maker sui temi della sostenibilità.
Ada Rosa Balzan, founder, presidente e CEO di ARB SB, società specializzata nella consulenza di sostenibilità, ha osservato come sia in crescita la quota dei manager che concepiscono gli investimenti in sostenibilità come parte integrante della creazione di valore. Si tratta di un approccio che guarda alla sostenibilità non più come un costo o come una moda, ma come una opportunità di sviluppo del business.
Tuttavia, nel momento in cui la principale motivazione per i manager aziendali verso gli investimenti ESG resta quella del ritorno economico nel breve termine, si corre il rischio di amplificare la portata o le aspettative di possibili risultati con forme diverse di greenwashing o, appunto, di ESG-washing. Per certi aspetti si può allargare, con il termine di ESG-washing il raggio d’azione del greenwashing comprendendo anche le dimensioni della “S” di Social e della “G” di Governance.
Un rischio che parte dalla propensione, da evitare e correggere, di comunicare prima ancora di avere realizzato e completato i progetti e prima ancora di averne misurato i risultati.
Per quali ragioni investire in sostenibilità
Tornando al report, la quota di intervistati che attribuisce alla pressione esercitata da parte della società civile verso l’ESG la funzione di “stimolo” per le scelte di investimento in sostenibilità si ferma al 26%, mentre risultano più rilevanti le forme di pressione degli investitori con il 32% e dei fornitori con il 34%. Analoga percezione per gli incentivi governativi che convincono il 35% di svolgere un reale impatto nel determinare la strategia aziendale in termini di investimenti ESG.
Risulta invece significativa (46%) la quota di intervistati per i quali le scelte legate alla sostenibilità rappresentano una sfida per il modello di sviluppo. Decisamente minoritaria infine la percentuale (15%) di chi considera gli investimenti in sostenibilità come una forma di gestione dei rischi.
Le difficoltà che causano l’ESG-washing
Dietro all’ESG-washing ci sono diverse cause, non ultime quelle legate alla difficoltà di implementare appropriate strategie ESG per gli elevati investimenti richiesti. Le esigenze di investimento sono una priorità nel 31% dei casi, anche se il 28% degli intervistati vive un conflitto tra pratiche sostenibili e obiettivi finanziari.
Il vero punto di debolezza nello sviluppo di strategie e azioni è nel fatto che solo il 37% degli intervistati ritiene che il proprio consiglio di amministrazione possa contare su specifiche expertise in materia di sostenibilità.
Nonostante queste difficoltà, come sottolinea Ada Rosa Balzan, gli investimenti ESG mantengono tutto il loro vantaggio competitivo ma devono “difendersi” da una serie di rischi, come appunto l’ESG-washing, che creano dubbi e riducono la fiducia degli investitori.
Per affrontare in modo convincente questa situazione le aziende devono organizzarsi per garantire la trasparenza e l’affidabilità dei progetti di sostenibilità e nello stesso tempo devono attrezzarsi per valorizzare in modo sempre più chiaro le opportunità che emergono dalla transizione verso pratiche più sostenibili.