Prevenzione

App Immuni: in caso di alert per il lavoratore scatta la quarantena

Si impone inoltre l’obbligo di autodichiarazione per giustificarne il divieto di ingresso nel luogo di lavoro ex art. 20 del Testo Unico di Salute e Sicurezza (d.lgs. n. 81/2008). Una dichiarazione infedele da parte del lavoratore implicherebbe ulteriori conseguenze di natura penale

Pubblicato il 15 Giu 2020

Chiara Ponti

avvocato, privacy specialist e diritto delle nuove tecnologie

Immuni

L’App Immuni, che ha già sollevato moltissimo dibattito in materia di protezione dati, ad oggi è attiva in quattro regioni (Abruzzo, Liguria, Marche e Puglia); mentre in altre regioni — come ad esempio la Lombardia — sono state sviluppate altre applicazioni.

Il dibattito su tale App si è focalizzato, tra gli altri, su degli aspetti riguardanti i privilegi di accesso ai dati, oltre ai tempi di conservazione degli stessi.

Meno attenzione, invece, si è posta circa gli aspetti applicativi della stessa, sui luoghi di lavoro.

App Immuni e contesto lavorativo

Nel richiamare quanto già scritto in merito all’App Immuni, intendiamo soffermarci sui potenziali riflessi che l’App Immuni determina nel contesto lavorativo. Il documento di riferimento è dato dalla Circolare del Ministero della Salute avente per oggetto la «Ricerca e gestione dei contatti di casi Covid-19 (Contact tracing) ed App Immuni».

In pratica, indagheremo sulle implicazioni dell’alert Immuni sul luogo di lavoro, con attenzione agli aspetti di competenza del datore di lavoro e del lavoratore.

Il suddetto documento identifica alcune casistiche di contatto stretto le quali possono accadere anche in ambito lavorativo, escludendo quello più vulnerabile inerente al settore sanitario.

Alcune ipotesi di contact tracing in ambiente di lavoro

Analizziamo due casistiche:

  • colui che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso Covid-19, a meno di 2 metri e di almeno 15 minuti.
  • colui che si è trovato in un ambiente chiuso con un caso positivo al Covid-19 in assenza di DPI idonei.

Tali situazioni, per quanto previste dai DPCM, devono essere altresì gestite all’interno del luogo di lavoro, attraverso misure di distanziamento sociale e facendo ricorso a idonei DPI, ben potendo, per molti motivi, anche essere parzialmente disattese.

Ne discende che, anche nell’ambito dell’attività lavorativa, potrebbero verificarsi delle situazioni di contatto stretto tra un individuo risultato positivo al Covid 19 ovvero un altro alla quale è stata prescritta la quarantena in virtù della segnalazione di un contatto stretto avuto in un contesto diverso da quello lavorativo.

L’App Immuni e le ipotesi in azienda

Affrontiamo, ora, un’altra serie di casistiche.

  • La richiesta del datore di lavoro di scaricare l’App Immuni, il datore di lavoro non può obbligare, in alcun modo, il lavoratore a scaricare l’App Immuni, come previsto dalle fonti ministeriali. Né può prevedere di integrare la procedura, ove presente, sulla Dotazione Informatica Standard – DIS, con tale specifica (richiesta).
  • Il lavoratore che ha scaricato l’App Immuni sul proprio smartphone. Tale operazione, ovviamente legittima, non deve coinvolgere in alcun modo dispositivi aziendali affidati al lavoratore. Tanto meno il lavoratore è tenuto a comunicare tale scelta, al suo Superiore.
  • Il lavoratore che vuole scaricare l’App Immuni sullo smartphone aziendale. In questo caso, il lavoratore prima di farlo deve chiedere l’autorizzazione al datore di lavoro/titolare del trattamento. In molte organizzazioni non è, infatti, possibile, per motivi di sicurezza, modificare la anzidetta DIS. Tuttavia, trattandosi di una misura volta a garantire anche la sicurezza sui luoghi di lavoro, risulta difficile un rifiuto. Ovviamente, grazie al supporto dell’area ICT potranno essere valutati i pro e i contro di una scelta aziendale di questa fatta. In proposito, si veda l’art. 20 del D.lgs 81/2008 allorché recita al comma I «Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.»

Circostanza diversa, alla quale risulta più difficile trovare una risposta, consiste nella ipotesi in cui il lavoratore fosse stato dotato di un dispositivo, con un sistema operativo non (ancora) in grado di supportare il funzionamento della App.

Il meccanismo dell’alert Immuni e le conseguenze in azienda

Indipendentemente dalla libera scelta dei Lavoratori, ogni datore di lavoro dovrebbe rammentare ai medesimi, in forza del citato art. 20 comma II lett. e) che questi ultimi sono tenuti a «…segnalare immediatamente al datore di lavoro […] qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza».

Ciò significa che il datore di lavoro dovrebbe, in ogni caso, richiamare l’attenzione dei lavoratori alle implicazioni, non tanto ai fini privacy, quanto piuttosto in relazione agli aspetti impattanti sulla salute e sicurezza, derivanti dal download dell’App Immuni. Tant’è che per molti lavoratori non è così intuitivo comprendere immediatamente gli impatti e le conseguenze che, in ambito lavorativo, l’uso/funzionamento dell’App Immuni potrebbero portare in azienda. Infatti, gli eventuali Alert emessi, per il tramite dall’App, comportano determinate conseguenze in azienda. Vediamone alcune.

CIRCOSTANZE
Il lavoratore che risultasse di aver avuto un contatto stretto sulla base dell’Alert ImmuniOltre a essere sottoposto a misura di quarantena con sorveglianza attiva, con eventualmente altre misure previste dalle indicazioni ricevute dall’App e dalla ATS competente, deve sentirsi moralmente obbligato, in tempi rapidissimi, a comunicare tale circostanza al medico competente.

In alternativa, qualora le indicazioni del Ministero non fossero chiare al riguardo, potrebbe essere il medico di base ad avvisare il medico competente, ricostruendo da un lato — eventualmente con il supporto del datore di lavoro — le attività svolte da quel lavoratore, i DPI in dotazione, nonché la reale possibilità di aver operato con il distanziamento sociale; e analizzando dall’altro eventuali contatti stretti che quel lavoratore potrebbe aver avuto in ambito lavorativo, valutando eventuali misure o controlli da mettere in atto nei confronti degli altri lavoratori (ad esempio, maggior frequenza nella misurazione della temperatura corporea, oppure azionando una campagna di indagini sierologiche).

Il lavoratore che, dopo aver avuto il contratto stretto sulla base dell’Alert Immuni, risultasse positivo al Covid,Anche in questo caso, il lavoratore dovrebbe ricontattare il medico competente aggiornandolo sulla evoluzione della sintomatologia affinchè le misure valutate durante la circostanza precedente vengano eventualmente ripensate alla luce delle nuove informazioni.

Naturalmente, entrambe le casistiche ora delineate devono essere gestite dal medico competente il quale valuterà che informazioni condividere con il datore di lavoro e quali, tra queste ultime, debbono essere estese ai lavoratori, eventualmente.

L’App Immuni e il protocollo aziendale anti-Covid

Premesso che, come detto e come noto, l’App Immuni sia su base volontaria nonché scelta strettamente personale, non potrà né dovrà essere prevista nel protocollo aziendale anti-Covid.

In molti contesti, tra le altre misure di contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro, sono state previste ad esempio autocertificazioni nei quali si chiede al lavoratore di dichiarare di non avere avuto contatti stretti con persone affette da Covid, nei 14 gg precedenti.

Orbene, l’azienda che giustamente da protocollo abbia attivato anche questo apparato documentale, nel caso in cui ci sia un lavoratore che abbia installato l’App Immuni, non significa che il medesimo possa sottrarsi nel rilasciare la predetta dichiarazione.

Anche perché tale lavoratore potrebbe essere entrato in contatto prima di aver installato l’App. Non solo, ma anche perché il sistema auto-dichiarativo anzidetto è sicuramente più completo coprendo un tempo maggiore, oltre a provenire dal lavoratore stesso.

Tale comunicazione dovrebbe essere anche effettuata da parte del lavoratore che, a tutt’oggi, continuasse a operare in condizioni di smart/remote working.

L’App Immuni, il medico competente e le altre funzioni in azienda

Atteso tutto ciò che si è detto finora, qualora il lavoratore dovesse richiedere la visita presso il medico competente, quest’ultimo sarà legittimato a indagare anche su tale aspetto (App Immuni).

É evidente che ad Alert Immuni attivato, il medico competente dovrà essere avvertito, prenderne atto, e invitare il lavoratore a mettersi rapidamente in contatto con il proprio medico curante, se già non avesse provveduto.

Con riferimento alle altre funzioni aziendali, come ad esempio le risorse umane se informate direttamente dal lavoratore, queste dovranno richiamarlo nel rispetto del sistema di gestione aziendale, senza essere legittimate a prendere ulteriori informazioni, nel dettaglio.

L’App Immuni in azienda e il trattamento di dati 

Poiché i dati personali, come si legge nella Circolare ministeriale, «…verranno utilizzati … al solo scopo di allertare le persone …entrate in contatto stretto con persone risultate Covid-19 positive» il dato di esposizione è pertanto individuabile.

Ne consegue che ad alert dato dall’App Immuni consegue l’alt all’accesso al luogo di lavoro.

Tale meccanismo poi impone comunque l’obbligo al lavoratore di rendere l’autodichiarazione (in termini positivi nel senso di aver avuto contatti stretti, ecc.) donde giustificarne il divieto di ingresso nel luogo di lavoro ex art. 20 del Testo Unico di Salute e Sicurezza (d.lgs. n. 81/2008).

Non solo — senza, tuttavia, poter approfondire in questa sede — ma occorre anche rammentare che una dichiarazione infedele, da parte del lavoratore, implicherebbe senz’altro ulteriori conseguenze di natura penale.

Conclusioni

Alla luce delle considerazioni esposte, risulta evidente che ci sono ancora molti punti di domanda aperti in merito alle implicazioni dell’App Immuni in termini generali, e che gli aspetti relativi alle problematiche e ricadute in ambito aziendale sono ancora in gran parte da esplorare.

In ogni caso, non può essere sottovalutato il ruolo del datore di lavoro che risiede sostanzialmente nell’informare i lavoratori in merito alle loro responsabilità di comunicare, in tempi strettissimi, eventuali condizioni tali da richiedere un loro immediato isolamento, a tutela dell’intera azienda.

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Chiara Ponti
avvocato, privacy specialist e diritto delle nuove tecnologie

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