I rischi ESG rientrano tra le cinque maggiori preoccupazioni delle aziende in materia di reputazione, ma solo il 10% di esse (contro il 37% del 2021) si confronta mensilmente con gli stakeholder su questioni di reputazione e solo il 14% (contro il 23% del 2021) associa ai KPI a livello di consiglio di amministrazione un processo di governance per i rischi reputazionali.
A delineare questo quadro – evidenziando come le organizzazioni siano sempre più consapevoli dei danni potenziali legati alla reputazione, anche a fronte della rilevanza dei fattori ESG all’interno delle strategie aziendali, ma al contempo stia diminuendo la fiducia nei sistemi di gestione del rischio e nella capacità di risposta alle crisi – è il Reputational Risk Readiness Report 2023 di WTW.
Più consapevolezza, ma pochi si dicono resilienti
WTW ha intervistato 375 Risk Manager presso multinazionali di 20 Paesi, appartenenti a settori diversi (retail, manifattura, leisure, trasporti e terzo settore – Organizzazioni non Governative). Lo studio ha rilevato che nel 2023 la reputazione ha rappresentato il terzo rischio più importante per il 26% del campione analizzato (rispetto al 18% nel 2021%), ma solo il 13% ha dichiarato che la propria resilienza alle crisi reputazionali è molto buona, in calo rispetto al 23% del 2021. Il 95% del campione, inoltre, ha un budget specifico per gestire le crisi reputazionali.
Scendono le capacità di gestione del rischio reputazionale
I risultati evidenziano un declassamento delle capacità di gestione del rischio reputazionale da parte delle aziende. Tuttavia, il rischio reputazionale viene considerato sempre più spesso attraverso una lente finanziaria ed ESG, ed è quindi probabile che le valutazioni di preparazione al rischio saranno più rigorose in futuro.
La reputazione è diventata, in realtà, un vero e proprio rischio finanziario a fronte della necessità delle aziende di fornire a partner commerciali, clienti, autorità di regolamentazione, investitori e finanziatori il proprio posizionamento in materia ESG. Ciò ha generato un cambiamento nella gestione della reputazione, che sempre più richiede il coinvolgimento della Direzione Finanza delle aziende. Oggi, tre aziende su cinque hanno a disposizione un team dedicato alla gestione delle crisi reputazionali. Si tratta di un aumento di quasi il 50% rispetto al 2021.
Rischi reputazionali al centro delle strategie proattive
“Il reputation management sta cambiando. Le aziende più mature e meglio preparate a gestire eventuali situazioni di crisi sono quelle in grado di comprendere e prevedere quando una criticità rischi di evolvere in un danno reputazionale. Sono inoltre quelle che comprendono a fondo i potenziali impatti strategici e finanziari di questi incidenti, considerando anche il contesto dei parametri ESG e dei social media in continua evoluzione”, afferma Piergiorgio Vella, Associate Director Risk & Analytics – Luxury di WTW. “I consigli di amministrazione dovrebbero confrontarsi regolarmente sui rischi reputazionali, valutando in modo proattivo non solo le minacce, ma anche le opportunità che possono derivare da una crisi. È infatti possibile subire una crisi e uscirne in modo ancora più positivo”.
“A prima vista, risultati del nostro studio sembrano affermare che le aziende stanno facendo dei passi indietro, ma la realtà è molto più sfumata”, aggiunge Alessandra Capua, Responsabile Fine Art, Jewellery & High-Value Logistics di WTW. “Col crescere della rilevanza dei parametri ESG, soprattutto sui social media, le aziende hanno iniziato a valutare il rischio reputazionale in modo più attento. Questo le ha spinte a considerare la reputazione come un rischio finanziario e non solo come un problema di immagine, e le ha portate ad aumentare i budget per affrontare questo tipo di crisi. Allo stesso tempo, però, cresce la preoccupazione per i potenziali contraccolpi sui social media, che potrebbero far perdere numerose opportunità di business. È dunque necessario un nuovo approccio a questo tema e le aziende se ne stanno rendendo conto”.