Italia sul podio della sostenibilità? L’interrogativo è d’obbligo quando si affronta un tema complesso e articolato come quello della sustainability, ma i dati ci dicono che “al punto di domanda” si può sostituire una conferma.
A parlare è lo studio Measuring the Sustainability Performance of European Companies 2021 realizzato da EcoVadis e da Médiateur des entreprises (organizzazione del governo francese per le relazioni con le imprese) che, proprio nel rispetto della complessità dei temi, ha analizzato e confrontato i dati Europei sulla sostenibilità OCSE e BRICS dal 2015 al 2020.
La sostenibilità per le aziende italiane tra Ambiente e Etica
Da sottolineare subito la portata della ricerca che ha messo sotto esame una mole di dati corrispondente a oltre 90.000 valutazioni di sostenibilità che arrivano dal mondo EcoVadis che hanno interessato qualcosa come 50.000 aziende in un arco temporale che va dal 2015 al 2020.
I criteri di valutazione sono stati definiti su una scala 0-100 in funzione di quatto grandi ambiti di riferimento che determinano le performance in ambito sustainability: l’Ambiente, il Lavoro e i Diritti Umani, l’Etica e gli Acquisti sostenibili.
A loro volta, in funzione del punteggio raggiunto le imprese sono state categorizzate sulla base del loro profilo di sostenibilità in quattro categorie
- Insufficiente, nel caso di un punteggio inferiore a 25;
- Parziale, nel caso di una fascia di punti da 25 a 44;
- Buono quando i punti superano i 45 ma sono pari o inferiori a 64
- Esemplare a cui corrispondono 65 o più punti.
Imprese: le performance di sostenibilità stanno migliorando
Sulla base di questi criteri è stata scattata la fotografia delle performance di sostenibilità con non poche sorprese.
Innanzitutto, nei sei anni che vengono presi in considerazione nella ricerca, le aziende di tutto il mondo hanno segnato progressi significativi in materia di sostenibilità. La ricerca registra un aumento del punteggio medio della valutazione EcoVadis dell’11% passando da 42,6 nel 2015 a 47,4 nel 2020.
Ma l’aspetto più interessante riguarda appunto le performance delle imprese italiane che in funzione del criterio basato su un progresso globale in materia di sostenibilità dal 2015 al 2020 si sono collocate al terzo posto.
In termini di punteggio le aziende del Bel Paese hanno conquistato 8,7 punti. Sul podio, al secondo posto troviamo la Grecia con una crescita di 9,8 punti e la Norvegia che arriva a 9 punti. Interessante anche vedere chi sta alle spalle del nostro paese, e troviamo la Spagna a +8, la Finlandia a+7,1, il Belgio a +7, la Germania a +6,8.
La sostenibilità è adottata anche dalle PMI italiane
Un altro aspetto importante è invece legato ai criteri dimensionali e vediamo che in termini di performance i progressi si bilanciano in modo equilibrato tra PMI che sono cresciute di 8,5 punti (la ricerca considera aziende di piccole e medie dimensioni quelle con meno di 1.000 dipendenti) e dalle grandi aziende (con più di 1.000 dipendenti) che sono aumentate di 7,8 punti.
Guardando nello specifico alle performance assolute l’Italia nel 2020 si è classificata al quinto posto nella classifica di EcoVadis sulle performance di sostenibilità globali, e le imprese hanno raggiunto uno score complessivo di 53,6 punti.
La Finlandia capoclassifica conta due punti di vantaggio ed è seguita a mezzo punto da Gran Bretagna e Francia. Ambiente, Lavoro e Diritti Umani ed Etica sono gli ambiti di miglioramento dell’Italia, mentre c’è lavoro da fare per quanto attiene i temi dell’Approvvigionamento sostenibile. E purtroppo la ricerca segnala questo tema come una criticità con un calo generalizzato nella maggior parte dei Paesi.
L’incremento delle imprese sostenibili Esemplari italiane
La mappatura in grandi cluster che caratterizza questo studio mette ancora più in evidenza le performance del nostro Paese. Nella categoria delle imprese Esemplari l’Italia nel 2015 non era presente mentre arriva all’11% nel 2020. In valori assoluti le aziende Esemplari sono poi passate dal 6% nel 2015 al 19% nel 2020.
Nella fascia delle aziende nella categoria Buono l’Italia conferma la crescita verso la sostenibilità e passa dal 69% all’83%. Da notare la “migrazione” di un 76% di aziende che erano presenti nella categoria Parziale che hanno scalato verso il Buono.
La fascia Parziale si sta appunto svuotando grazie a questi miglioramenti con una diminuzione dal 39% nel 2015 al 20% nel 2020. Decrescita, in questo caso positiva, che in Italia è ancora più accentuata e che vede il passaggio dal 30% nel 2015 al 6% nel 2020.
L’ultimo focus riguarda le Insufficienti che dovrebbe tendere allo zero e si sta avvicinando con un 2% di imprese. Il nostro Paese è presente con un 1% e appunto con tante aziende che in questi sei anni hanno abbandonato questa categoria critica.
Procurement sostenibile: le PMI meglio delle grandi
Un tema che merita un approfondimento speciale è rappresentato dal Green procurement o approvvigionamento sostenibile. Se da una parte la ricerca conferma che le imprese italiane hanno migliorato in modo significativo le loro prestazioni sui temi della sostenibilità l’aspetto legato al procurement sostenibile resta un tema critico.
Le Piccole e medie imprese sono migliorate e hanno visto crescere le loro performance da 40,3 nel 2015 a 43,2 nel 2020; al contrario le grandi aziende avevano segnato un progresso nel 2015 passando da 34,1 a 39,4 nel 2017, un miglioramento che si è fermato e che anzi ha segnato una lieve decrescita a quota 39 nel 2020. Lo studio scatta una fotografia sul tema del procurement sostenibile in chiaro scuro con le PMI che entrano nella “cinquina” dei paesi con le migliori prestazioni a livello europeo mentre le grandi sono staccate di 3,7 punti rispetto alla media europea.
In una nota dell’azienda Giuseppe Elia, Strategic Account Executive Italia di EcoVadis porta l’attenzione sulla proposta della Commissione europea di una direttiva sulla due diligence di sostenibilità aziendale.
In questo scenario le imprese superiori ai 250 dipendenti e con determinate soglie di fatturato dovranno accelerare la trasformazione del loro approccio in termini di green procurement. In particolare, Elia sottolinea la necessità di evitare il rischio di un “distacco” dai leader europei, con un maggiore impegno da parte delle aziende italiane di maggiori dimensioni in termini di focalizzazione sullo sviluppo di programmi di gestione della sostenibilità dei fornitori come focus strategico per i sustainability manager. Un impegno che deve andare oltre la mitigazione dei rischi nelle catene di fornitura, e che deve che permettere di indirizzare miglioramenti strutturali.
Sul tema specifico delle catene di fornitura più responsabili si è espressa nella nota legata alla ricerca anche Surya Deva, presidente di un recente gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sui diritti umani osservando come sia necessario agire su catene di approvvigionamento complesse dove operano figure più vulnerabili, spesso migranti provenienti da Asia e Africa per i quali appare sempre più urgente l’istituzione di un organismo nazionale per i diritti umani con il mandato esplicito di affrontare le violazioni dei diritti umani legate alle imprese, ovvero una legge sui diritti umani e sulla due diligence ambientale.
Si suggerisce la lettura della ricerca relativa a EcoVadis Network Impact Report, aziende sempre più virtuose: +30% di utilizzo delle fonti rinnovabili, +54% di riciclo