Lundquist, società di consulenza con sede a Milano che vanta oltre 20 anni di esperienza in ambito di comunicazione strategica e sostenibilità, presenta .sustainability, uno studio pensato per aiutare le imprese ad affrontare le sfide legate a una comunicazione credibile, proattiva e consapevole in materia di sostenibilità.
Dopo una fase caratterizzata dal “boom” ESG (Environment, Social & Governance) durante la quale gli investitori hanno spinto le aziende a concentrare gli sforzi su processi di rendicontazione e sull’integrazione della sostenibilità nella gestione del business, l’attenzione torna sugli impatti e sul ruolo delle imprese. Seguendo il verdetto poco ottimista dell’ONU sul progresso verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) entro il 2030, il recente rapporto ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) ha messo in luce l’urgenza di accelerare gli sforzi anche in Italia.
Di fronte a questo contesto, l’analisi .sustainability ha rilevato uno sbilanciamento nella comunicazione – e forse addirittura nella visione stessa che le imprese hanno della sostenibilità – a discapito di un coinvolgimento autentico degli stakeholder e di una comunicazione più umana.
Necessario saper “coinvolgere”
Per avere un ruolo da protagonisti in un simile scenario, la capacità di “coinvolgere” assume, quindi, rilevanza strategica. «La sostenibilità è stata sulla bocca di tutti, ma dove traspaiono il coraggio, la volontà, la fatica che le aziende impiegano per cambiare il mondo e affrontare la trasformazione?» ha dichiarato James Osborne, Head of Sustainability di Lundquist. «A essere leader non sono le aziende che si limitano a rendicontare o a raccontare, ma quelle in grado di usare la propria voce per portare un reale cambiamento».
I top performer
Le migliori performance nella ricerca (categoria 5 stelle) sono state registrate da Eni, Terna, Assicurazioni Generali e Poste Italiane. A seguire si trovano nella categoria 4 stelle Acea, Gruppo Hera, Intesa Sanpaolo, A2A e Lavazza.
Oltre a quest’ultima, da segnalare le migliori tra le aziende non quotate: Aeroporti di Roma, Granarolo, FS Italiane, Mundys, Chiesi Farmaceutici, CVA Energie e Cassa Depositi e Prestiti (CDP).
Il rischio? Rimanere impersonali e senz’anima
Le 85 imprese italiane esaminate si impegnano per mantenere alta la credibilità, dimostrando di portare avanti un business attento alla sostenibilità (in termini di reporting, governance, piani di sostenibilità, dati chiave, etc.), anche affrontando temi materiali ben precisi (percorso “Net Zero” in particolare). Tuttavia, l’attenzione nel comunicare tanto impegno rimane, il più delle volte, imbrigliata in una trama da reportistica che è sì tecnica e puntuale, ma a rischio di rimanere impersonale e senz’anima.
Il campione delude soprattutto in termini di leadership e advocacy. Non emerge, infatti, una voce dalle imprese che spinga a prendere posizioni forti, che guidi le scelte strategiche e lasci immaginare il futuro, anche quando si affrontano temi di rilievo come l’emergenza climatica o l’inclusione. È vero che un nutrito gruppo di CEO è particolarmente attivo – la sostenibilità è diventata, infatti, uno dei temi di punta per la leadership aziendale, complice il dibattito acceso sulla transizione ecologica. Ma troppe aziende rimangono su posizioni neutrali, se non addirittura silenti.
Sostenibilità: un tema centrale, ma poco “sentito”
I temi della sostenibilità sono effettivamente all’attenzione delle imprese esaminate: tra i mega-trend citati nella comunicazione aziendale troviamo cambiamenti climatici (menzionati dal 72% del campione), diversità e inclusione (68%), digitalizzazione (55%), transizione ecologica (55%) ed economia circolare (44%).
Tuttavia, pochi key executive prendono posizione o agiscono da ambassador sugli stessi temi: a farlo è appena il 39% dei CEO e il 26% di altri key manager. Ancora meno spesso (20%) ci si imbatte in casi in cui sono i dipendenti stessi a essere brand ambassador della sostenibilità attraverso testimonianze, storie o altri interventi. Ben 15 società sulle 85 esaminate prendono punteggio zero sul pilastro “Leadership & Advocacy”, dimostrando, quindi, di adottare un approccio di pura disclosure auto-referenziale.
Da segnalare, in questo ambito critico della ricerca, le ottime performance di A2A, Banca Ifis, Eni, Generali, Italgas, Moncler e Snam.
Rischio di un gap di credibilità
Un serio gap di credibilità emerge dalla difficoltà di tracciare percorsi strategici: il 95% delle aziende presenta un impegno specifico su climate change, ma solo il 58% lo accompagna con obiettivi misurabili e azioni concrete (gap di 37%). Un gap che arriva al 44% quando si tratta di diversity & inclusion e al 45% su temi quali economia circolare, innovazione sostenibile e attenzione al territorio.
Le aziende analizzate
A2A, Acea, Acinque, Acqua Lete, Aeroporti di Roma, Alfasigma, Almaviva, Amplifon, Anas, Ansaldo Energia, Autostrade per l’Italia, Banca Generali, Banca Ifis, Banca Mediolanum, Banco BPM, Barilla, Bracco, Calzedonia, Campari, CAP Holding, Cassa Depositi e Prestiti, Chiesi Farmaceutici, Coima, Credit Agricole Italia, CVA Energie, Dompé, doValue, ENAV, Enel, Eni, ERG, EssilorLuxottica, Estra, Ferrari, Ferrero, Fincantieri, Fineco Bank, FS Italiane, Generali Assicurazioni, Gestore dei Servizi Energetici – GSE, Granarolo, Hera, IGD SIIQ, Illimity, Illycaffè, Industrie De Nora, Intercos, Intesa Sanpaolo, INWIT, Iren, Italgas, Iveco, Lavazza, Leonardo, Liu Jo, Maire Tecnimont, Mediobanca, Moncler, Mondadori, MSC Crociere, Mundys, Nexi, Orsero, Pirelli, Poste Italiane, Prada, Prysmian, Rai Way, Recordati, RINA, SACE, Saipem, SESA, Sisal, Snam, Sorgenia, Stellantis, STMicroelectronics, Terna, TIM, UniCredit, Unipol, Webuild, Yamamay, Zegna.