Conferenza Onu: l'annuncio

A Cop26 la notizia bomba: Cina e Usa si stringono la mano contro il climate change

Le due superpotenze firmano un comunicato congiunto e inaugurano una storica collaborazione per affrontare l’emergenza ambientale. E mentre l’Impero Celeste dice sì a un mercato globale delle emissioni di carbonio, l’inviato di Biden John Kerry: “Fra noi ci sono differenze, ma sul clima dobbiamo agire nella stessa direzione”

Pubblicato il 11 Nov 2021

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Nel giorno in cui la Cop26 di Glasgow pubblica la sua prima bozza di documento finale, diffondendo un senso globale di disillusione, arriva la notizia bomba destinata a sparigliare le carte in tavola: Cina e Stati Uniti si sono sedute allo stesso tavolo per trovare una soluzione comune al climate change. A dare l’annuncio dell’avvio della storica collaborazione fra gli atavici rivali sono dapprima l’inviato cinese per il clima, Xie Zhenhua, poi quello americano, John Kerry, in altrettante conferenze stampa.

La notizia, giunta in serata come un fulmine a ciel sereno, è quel  che serviva per ravvivare le speranze della conferenza.  E ridare così fiducia nel buon esito (o in un esito meno “di facciata”) dei negoziati sugli impegni previsti dalla bozza: taglio delle emissioni di anidride carbonica del 45% al 2030, attivazione nel 2023 del fondo da 100 miliardi di dollari per gli aiuti ai Paesi meno sviluppati, ulteriore aggiornamento entro la fine del 2022 degli impegni di decarbonizzazione degli Stati.

L’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura sotto 1 grado e mezzo, considerato dalla presidenza britannica il discrimine fra successo e fallimento, fino alla grande notizia era visto come difficile da raggiungere.

“Passo importante nella giusta direzione”

L’iniziativa delle due superpotenze è “un passo importante nella giusta direzione”, ha detto il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. L’intesa fra i due giganti, primi emettitori di gas serra al mondo, prevede infatti un impegno a “potenziare l’azione sul clima negli anni 2020”, ha spiegato Xie. Il rappresentante cinese ha sottolineato come le due parti riconoscano “il divario che esiste tra gli sforzi attuali e gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi” e si impegnano quindi a “potenziare l’azione” per contenere il surriscaldamento terrestre. “Il cambiamento climatico sta diventando una sfida sempre più urgente, in grado di mettere a rischio l nostra stessa esistenza – ha aggiunto -. Ci auguriamo che questa dichiarazione congiunta aiuti a raggiungere il successo della Conferenza”.

L’iniziativa, nella parole di Xie, dovrebbe consentire di adottare “misure concrete” per raggiungere l’obiettivo (minimo) fissato dall’Accordo di Parigi di mantenere l’innalzamento delle temperature della Terra sotto i 2 gradi in più rispetto all’era pre-industriale, e “fare sforzi” per limitarlo ulteriormente a 1,5 gradi sino alla fine del secolo. La Cina in particolare dice sì a un mercato globale delle emissioni di carbonio, uno degli obiettivi di Glasgow.

John Kerry, inviato del presidente Biden per il clima, ha detto che Usa e Cina hanno “differenze” su molte questioni, ma sulla lotta al cambiamento climatico “non hanno scelta” se non collaborare, perché è l’unico modo per avere “il lavoro fatto”, e perché “la scienza lo impone”. L’inviato Usa ha anche insistito sul fatto che l’obiettivo resta quello di contenere il riscaldamento globale entro il tetto di 1,5 gradi in più rispetto all’era pre-industriale. Il presidente Biden e il presidente Xi “vogliono lavorare insieme” su questo, ha puntualizzato.

Johnson: “Non ci sono scuse per non agire”

Anche il premier britannico Boris Johnson era giunto in giornata in Scozia per convincere i Paesi a trovare un accordo sostanzioso. “Sono negoziati duri, con ancora un enorme lavoro da fare”, ha ammesso. L’obiettivo è “mantenere il target di 1,5 gradi”. Sotto quello, sarebbe “un fallimento colossale”. E ha concluso: “Non ci sono scuse per non agire”.

Intanto sugli impegni di decarbonizzazione pesano ancora la contrarietà degli Stati produttori di idrocarburi, come Russia, Arabia Saudita e Australia, delle tante lobby industriali e delle fonti fossili dei paesi ricchi.

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