Walter Stahel è un “padre fondatore” dell’economia circolare, e da molto tempo promuove il prolungamento della vita utile dei beni (tramite riprogettazione, riparazione, riutilizzo, remanufacturing e upgrade tecnologico, come ha scritto in un rapporto per la Commissione Europea fin dal 1976) accanto a temi che attengono anche la ruolo della Performance Economy o di “Everything as a service” come leva per raggiungere questa trasformazione.
Stahel è stato ospite della prima giornata del 18° ASAP Service Management Forum, coordinata da Nicola Saccani del Laboratorio RISE dell’università di Brescia. ESG360 ha avuto la possibilità di chiedere a Walter Stahel una panoramica delle sinergie tra economia circolare e “servitizzazione”, e di delineare le tendenze future. A Nicola Saccani abbiamo chiesto di sintetizzarci i principali messaggi emersi dal convegno.
Lei ha descritto l’economia circolare come “l’era della R” e “l’era della D”: cosa significa esattamente?
L’obiettivo dell’economia circolare è sempre stato quello di mantenere il valore e la qualità degli stock di capitale naturale, umano, culturale e manifatturiero al massimo livello per il maggior tempo possibile. Questo implica una forte motivazione dei proprietari o gestori dei beni a riutilizzare, riparare, ricaricare, rifabbricare – l’era della “R”- e la disponibilità di manodopera locale qualificata e di officine. I fattori culturali possono avere un’influenza decisiva sul comportamento degli individui, la cura è il principio generale.
L’obiettivo dell’economia circolare industriale è di mantenere il valore e la qualità delle scorte di oggetti fabbricati (l’era di ‘D’), e di mantenere il valore e la purezza delle scorte di materiale artificiale (sintetico) al più alto livello per il più lungo tempo possibile.
L’era di ‘D’ è iniziata con l’Antropocene nel 1945. Prima, l’umanità utilizzava materiali naturali che erano per lo più compatibili con la circolarità della natura. Dopo il 1945, i materiali sintetici e l’energia nucleare, con qualità molto superiori a quelli naturali, hanno sostituito sempre più questi ultimi. Questo implica la responsabilità di chi fabbrica di farsi carico dei problemi di fine vita, riportando allo stato iniziale leghe metalliche e composti chimici, e de-costruendo infrastrutture e oggetti fatti con materiali sintetici.
Perché la “performance economy” o la cosiddetta servitization è sinergica alla circular economy?
Le aziende veramente circolari sono attori della Performance Economy, che vendono prestazioni, funzioni o oggetti come servizio. Alcune lo sono strutturalmente, da sempre, i tassisti, gli alberghi, le compagnie ferroviarie, le compagnie aeree, le società che affittano uffici e appartamenti… Sono poi attività dell’economia circolare tutte quelle che mantengono il valore e l’utilità degli oggetti, come il riutilizzo, la riparazione, la gestione delle operations e la manutenzione, come servizi essenziali, che inoltre dovrebbero essere esclusi dal pagamento dell’IVA – non aggiungono valore ma lo mantengono! Un concetto che ho illustrato anche nel mio libro del 2010 “Performance Economy”.
Inoltre, la ragione per cui gli attori dell’economia della performance sono più sostenibili, e veramente circolari, rispetto ai produttori che vendono i loro prodotti, è che essi internalizzano le responsabilità e i costi del rischio e dello spreco durante l’intera vita utile degli oggetti – chiudendo i cicli. Questo fatto era già noto ad Aristotele che scrisse duemila anni fa, che la vera ricchezza risiede nell’uso dei beni, non nella proprietà – ancora oggi una delle migliori definizioni della Performance Economy
Come possono le aziende radicate o incumbent, specialmente i produttori, abbracciare la transizione verso l’economia circolare senza compromettere la loro crescita e redditività?
È possibile “fare più con meno”?
La transizione verso l’economia circolare senza compromettere la crescita e la redditività è possibile cambiando il modello di business, dal lineare prendere-fare-distribuire e vendere direttamente (seguito dall’uso e dallo smaltimento da parte di qualcun altro) a vendere l’uso dei prodotti, il più a lungo possibile. Questo significa mantenere la proprietà e la responsabilità per l’intera vita di servizio dei beni.
Questo implica quindi un design for circularity che includa la prevenzione delle perdite e degli sprechi per l’intera vita del prodotto. Se i produttori rimangono nell’economia lineare, gli intermediario o i “gestori delle flotte” assumeranno loro il ruolo di vendere l’uso degli oggetti dei produttori, imponendo i loro standard di qualità ai produttori per aumentare i loro profitti. Questo è già il caso di immobili, ferrovie, infrastrutture.
Questa tendenza è alimentata dai progressi scientifici nelle energie completamente circolari, nei materiali e nei componenti di lunga durata (ad esempio motori elettrici che sostituiscono i motori a combustione).
Cosa pensa della crescente attenzione della comunità finanziaria, dei fondi di investimento e delle grandi multinazionali sulle metriche ESG? Quanto questo aiuterà ad accelerare la transizione verde?
La comunità degli investitori cerca o un investimento sicuro (basso rischio) e una crescita ragionevole del valore e dei rendimenti (per esempio i fondi pensione), o un investimento ad alto rischio con alti rendimenti di valore (per esempio i fondi hedge). Gli attori economici della performance economy sono attraenti per i primi, gli attori nel progresso scientifico delle energie e dei materiali completamente circolari sono attraenti per i secondi, gli investitori globali ad alto rischio e alto rendimento. Esempi di investimenti di questo tipo sono i nuovi reattori a microfusione nucleare, l’idrogeno verde, l’acciaio verde, il cemento a basso contenuto di carbonio, i veicoli a celle a combustibile a idrogeno.
Gli obiettivi ESG però oggi si concentrano su criteri ambientali e sociali, ignorando una futura responsabilità sui rifiuti. In entrambi i casi di cui sopra, ESG viene come beneficio collaterale ma non è il driver. L’immagazzinamento di energia rinnovabile ad alta tecnologia (batterie) e la produzione di energia (pannelli fotovoltaici, turbine eoliche) possono diventare un cigno nero per gli investitori a causa delle responsabilità aperte sui rifiuti.
L’elefante nella stanza sono i politici: dopo l’inquinamento zero e il carbonio zero (COP26), rifiuti zero – o gestione dei rifiuti finanziata dal contribuente – potrebbe essere il loro prossimo obiettivo.
E, infine, che ruolo e responsabilità hanno i consumatori e l’opinione pubblica nell’accelerare l’adozione di modelli di business sostenibili? Pensa che movimenti come “Friday for future” stiano contribuendo?
Purtroppo molte associazioni “verdi” hanno costruito il loro “modello di business” attaccando i cattivi, non premiando i buoni e nemmeno proponendo soluzioni migliori. Spesso iniziative da Greenpeace a “Friday for Future” e “Extinction Rebellion” adottano questo approccio e ricevono molti applausi. Ma se vogliamo “cambiare il mondo”, i paesi industrializzati devono ridurre drasticamente la loro impronta ecologica, per permettere ai paesi meno sviluppati di aumentare la loro qualità di vita costruendo riserve di competenze e infrastrutture in un mondo a crescita zero di carbonio.
Con il ridimensionamento delle restrizioni di COVID21 nei paesi industrializzati, il consumo di massa di articoli di moda e le vacanze in destinazioni da sogno sono di nuovo in auge. Ridurre e riutilizzare, prendersi cura e condividere stanno attirando pochi seguaci. I prezzi dell’energia in costante aumento potrebbero essere l’unico freno efficace al consumo – e potrebbero essere sostenuti dagli investitori, non dai politici della COP26 che temono per la loro rielezione! Ma il rischio è che la S di ESG si possa trasformare in rivolte sociali.
L’innovazione dirompente nelle scienze circolari e gli attori economici e gli investitori che abbandonano i modelli di business della globalizzazione e dell’economia industriale lineare potrebbero essere gli artefici del cambiamento – ma questo significa il coraggio di passare al dominio in parte sconosciuto della Performance Economy.
Nicola Saccani: le principali evidenze del XVIII ASAP Service Management Forum
Quest’anno l’ASAP Service Management Forum ha deciso di occuparsi delle sinergie tra modelli di business “as a Service” ed Economia Circolare, attraverso testimonianze di aziende ed esperti. Sono emerse varie sinergie e direzioni di sviluppo.
Abbiamo “scoperto” che il ricondizionamento, la ristrutturazione (o re-manufacturing) dei beni, dagli edifici ai macchinari ai prodotti di uso durevole, permette di sostituire l’energia ed i materiali con il lavoro, risorsa rinnovabile e non inquinante.
Quindi dobbiamo pensare ad una economia basata sul lavoro e sui servizi “locali” anziché sul consumo, e che il miglior investimento per il nostro futuro è l’investimento nelle persone e nelle loro competenze
Dal punto di vista delle aziende per suscitare la domanda e l’interesse dei clienti al di là delle motivazioni ambientali, è necessario lavorare molto bene sul pricing del prodotto-servizio, e sulla capacità di rendere evidenti i rischi e le responsabilità che vengono mitigate grazie ad un’offerta as-a-service. Ma prima di tutto è necessario passare da una mentalità “sell and forget” all’approccio “sell and service”
Abbiamo inoltre capito che per le aziende manifatturiere (gli “OEM” di un prodotto fisico) “going downstream”, cioè l’ingresso nel business dei servizi legati all’utilizzo del bene è una leva forte per lanciare modelli business circolari. Al contrario, se si focalizzeranno solo sulla vendita dei bene, potrebbero costituire un elemento di resistenza all’adozione di paradigmi circolari. Ma attenzione, ciò che oggi può apparire un salto in avanti ed un rischio (lanciarsi nel business dei servizi e cambiare paradigma) nel futuro potrebbe diventare un obbligo “difensivo” per rimanere sul mercato.
Abbiamo confermato che digitalizzazione, “servitization” e sostenibilità sono tre evoluzioni che vanno a braccetto, ed in particolare la tracciabilità degli asset (grazie alla connettività)
Ma per le aziende (così come è emerso dalla survey ASAP) la “servitization” è ancora prevalentemente una scelta di business, che porta con sé dei benefici di sostenibilità come elemento collaterale più che strategico
Insomma, la strada da percorrere è ancora lunga, ma il “puzzle” piano piano si sta componendo.