ESG Barometer

Il 70% dei fondi/ETF non è sostenibile: lo rivela il Barometro ESG di MainStreet Partners

La società londinese di ESG Advisory e Portfolio Analytics ha pubblicato la prima edizione dell’ESG Barometer che, basata su una metodologia olistica sviluppata dalla società, analizza il grado di sostenibilità di oltre 4.200 fondi ed ETF e fa il punto sui progressi su questo fronte a quasi un anno dall’entrata in vigore della SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation)

Pubblicato il 09 Feb 2022

Finanza e clima: cosa sta cambiando e come si muove il mondo finanziario

Sull’ESG molti fondi europei sono ancora indietro, e l’ambiente domina i prodotti tematici, mentre il social rappresenta ancora solo il 7%. Sono alcune delle evidenze del report ESG Barometer, appena inaugurato da MainStreet Partners – società specializzata in ESG Advisory e Portfolio Analytics – che descrive i progressi compiuti in termini di integrazione ESG nell’industria del risparmio gestito dall’entrata in vigore, quasi un anno fa (10 marzo 2021), del regolamento europeo sulla divulgazione della finanza sostenibile (o Sustainable Finance Disclosure Regulation, SFDR), volto a disciplinare il mondo degli investimenti ESG attraverso regole armonizzate sulla rendicontazione dei cosiddetti “rischi di sostenibilità” nei portafogli dei gestori.

A quanto pare, se è vero che nel 2021 l’impegno profuso dalle società di asset management per allineare i propri fondi ai requisiti di sostenibilità della SFDR è stato notevole, di strada ce n’è ancora parecchia da fare. La ricerca si basa sul database di ESG rating proprietario di MainStreet Partners, creato nel 2014 e che oggi comprende più di 160 Asset Managers, 4.200 fondi/ETF per oltre 50.000 ISINs. Il database copre più di 160 gestori patrimoniali, i cui prodotti rappresentano collettivamente 5,6 trilioni di euro di asset under management (AUM). L’obiettivo del report è fare il punto sulla gran massa di dati e informazioni, a volte contraddittorie, per fornire agli investitori una comprensione imparziale del panorama dei fondi ESG e degli ETF.

Offrendo una valutazione olistica della sostenibilità di una particolare gestione patrimoniale o strategia, la metodologia sviluppata da MainStreet Partners fornisce agli investitori non solo un rating, ma anche uno strumento di due diligence per valutare sia il rischio ESG che di green-washing all’interno di qualsiasi portafoglio. L’approccio combina sia l’analisi qualitativa che quella quantitativa e comprende tre pilastri di valutazione:

I. La società di gestione nel suo complesso e lo specifico team di portfolio managers;

II. La strategia del fondo includendo processo di investimento e la “mission”;

III. Le singole partecipazioni del portafoglio.

Il rating ESG sviluppato da Mainstreet Partners prevede uno score da 1 (basso) a 5 (alto), ma il punteggio finale non si basa semplicemente sulla media dei 3 pilastri. In totale il team esamina 80 indicatori, e ognuno ha un peso specifico sul punteggio finale. Inoltre, il modello include elementi “bonus/malus” a seconda della categoria a cui appartiene il fondo che possono aumentare o diminuire il rating complessivo del fondo.

Quanto pesano le categorie Ue dei fondi green

Prima di fornire le percentuali del report, bisogna ricordare le tre principali classificazioni: l’articolo 8, il light green, prevede che il fondo promuova “tra le altre caratteristiche, quelle ambientali o sociali”; chi è dentro tale categoria non è dunque un fondo green puro ma applica dei filtri di sostenibilità come, per esempio, l’esclusione di aziende che producono armi o tabacco. L’articolo 9 classifica quei fondi con un obiettivo sostenibile e quindi un forte focus ESG (per esempio i fondi di housing sociale). Infine, c’è l’articolo 6 che comprende quei fondi che non integrano fattori ESG nel processo di investimento ma sono consapevoli dell’impatto dei rischi ESG sui rendimenti finanziari.

Si legge nel Barometro ESG che “più di due terzi dei fondi analizzati (70%) sono classificati come articolo 6. I fondi articolo 8 rappresentano il 25%, mentre il restante 5% sono fondi articolo 9″. Di quelli attualmente classificati come articolo 8, solo il 21% ha ottenuto un rating ESG di tre o inferiore, su un punteggio massimo di cinque. Secondo la società di analisi, l’aspettativa ora è che la maggior parte delle nuove strategie lanciate quest’anno siano classificate come articolo 8.

Da un punto di vista tematico, la maggior parte dei fondi resta concentrata sulle questioni ambientali, mentre i temi sociali rappresentano solo il 7%. E poiché la maggior parte dei fondi tematici sono classificati come Articolo 9, ci sono stati forti afflussi verso questo tipo di prodotti. Con le nuove normative fermamente concentrate sul raggiungimento di vari obiettivi net zero, i fondi ambientali hanno raggiunto una media di 1,3 miliardi di euro di AuM in gestione, mentre i fondi con focus sulla dimensione sociale raggiungono in media i 384 milioni di euro di AuM.

A livello regionale si nota che l’Europa è ancora in testa per quanto riguarda la disclosure sulla sostenibilità, la regolamentazione e l’integrazione ESG, mentre gli Stati Uniti stanno iniziando il loro percorso. In generale, il rating ESG olistico medio migliora man mano che si passa dall’articolo 6 ai fondi di cui all’articolo 9, indipendentemente da dove hanno sede le società. Infatti, in termini di fondi di cui all’articolo 6 e all’articolo 8, la differenza di rating tra le regioni non è eccessivamente distinta. Ma per i fondi con chiari obiettivi di sostenibilità (articolo 9) la dispersione dei rating tra le regioni considerate è molto più elevata. In effetti, c’è un divario di circa 0,39 punti in termini di rating ESG tra i fondi di cui all’articolo 9 situati in Europa e i loro pari negli Stati Uniti.

A livello di singole società di asset management il Barometro individua quelle che presentano una maggiore gamma di fondi allineati con la SFDR. Al primo posto troviamo Amundi, seguita da BNP Paribas, mentre l’italiana Eurizon, la società del risparmio gestito del gruppo Intesa Sanpaolo, conquista la terza posizione. Se, invece, consideriamo gli asset manager che propongono prodotti che si prefiggono un maggiore impatto emergono per numero di fondi proposti anche società di minori dimensioni ma focalizzate sugli aspetti di sostenibilità come CandriamPictet e Robeco.

I fondi multi-asset tendono ad avere un minor grado di integrazione ESG nei loro obiettivi d’investimento, oltre a non essere allineati agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile come le altre categorie. In generale, i fondi multi-asset riportano un punteggio inferiore rispetto a quelli obbligazionari e azionari per i fondi classificati come articoli 6 e 8 della SFDR, e uno score inferiore di circa il 12% rispetto alle altre asset class quando si tratta di fondi classificati come articolo 9.

“Ci auguriamo – interviene Simone Gallo, Managing Director di MainStreet Partners – di vedere un maggiore allineamento tra le etichette degli articoli SFDR sui fondi e i nostri rating ESG man mano che i gestori patrimoniali continuano a migliorare la transizione dei processi e delle strategie di investimento. Altrimenti, c’è il rischio che le accuse di greenwashing si realizzino su più fronti, il che sarebbe dannoso per il settore nel suo complesso, e per la fiducia degli investitori negli approcci di investimento sostenibile”.

Immagine fornita da Shutterstock

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 4