Perché è importante misurare la sostenibilità
“Misurare le performance di sostenibilità“: per le imprese questo obiettivo è – e sarà – sempre più determinante per qualsiasi forma di sviluppo nel mondo privato, grazie alla spinta delle richieste che arrivano direttamente e indirettamente dall’ESG, ma è anche un fenomeno che interessa sempre di più il mondo pubblico. Per un territorio che intende puntare alla neutralità climatica e che si pone alla ricerca di nuove forme di competitività imprenditoriale è fondamentale capire a che punto sono le imprese, quali sono i punti di forza e quali le criticità che si devono affrontare.
Nello stesso tempo, il presupposto per qualsiasi tipo di programmazione verso la neutralità climatica deve partire dalla convinzione che la sostenibilità non si raggiunge “da soli”, che non la può creare e attuare un’azienda da sola. Ogni realtà ha bisogno di coinvolgere e trascinare tutti i propri partner e stakeholder. Allo stesso modo un territorio che punta a diventare Net Zero e alla decarbonizzazione deve saper coinvolgere tutti gli attori che concorrono, con il raggiungimento dei propri singoli obiettivi e con un “gioco di squadra”, alla composizione di tutte le dimensioni della sostenibilità. E perché tutto questo si possa tradurre in realtà è necessario avere un quadro di riferimento chiaro che consenta a ciascun attore di capire com’è posizionato, quale percorso deve attuare e quali forme di collaborazione deve implementare con gli altri attori.
Un sistema per misurare il profilo di sostenibilità delle aziende
Misurare il profilo di sostenibilità: è questo l’obiettivo della Regione Emilia Romagna quando nel 2019, in collaborazione con l’Università di Bologna, ha scelto di iniziare a raccogliere dati e analizzare in maniera continuativa il profilo di sostenibilità delle imprese che partecipano ai bandi regionali. Il progetto ha permesso di creare un sistema che offre oggi un monitoraggio e una rilevazione continua dei dati relativi ai parametri di sostenibilità delle PMI con lo scopo primario di mettere a disposizione di tutti coloro che sono coinvolti nei processi decisionali degli strumenti di valutazione affidabili per indirizzare in modo più preciso le decisioni legate alla transizione ecologica del sistema produttivo regionale.
In una regione come l’Emilia Romagna caratterizzata da una fortissima vocazione manifatturiera, da una forte presenza di servizi legati al mondo del turismo e da un sistema agroindustriale di eccellenza, solo per citare tre ambiti particolarmente rilevanti, appare evidente che non si può parlare di una trasformazione ecologica che non sia anche il frutto di un insieme di trasformazioni che uniscono la transizione energetica, la trasformazione sociale, nei comportamenti e nelle abitudini, la transizione verso una mobilità sostenibile e naturalmente una grande e profonda trasformazione industriale.
In questo scenario la parola chiave è appunto Misurabilità, da intendersi come la capacità di valutare le performance delle imprese nelle varie dimensioni in cui si concretizza la sostenibilità con un sistema che esamina il rapporto tra fornitori e clienti, che valuta le azioni di welfare aziendale in corso, che mette sotto esame gli impegni per ridurre l’impatto ambientale, le progettualità legate all’economia circolare, così come le azioni per la riduzione dei consumi di materie prime e delle materie plastiche e, più in generale, l’approccio strategico verso i temi della sostenibilità e nella relazione con l’ambiente esterno.
Misurare la sostenibilità come piattaforma per indirizzare nuove forme di competitività
La ricerca della Regione Emilia Romagna arriva in un momento speciale per il percorso che stanno vivendo i temi della sostenibilità: siamo oggi davanti a una fase di maggiore maturità nel rapporto tra imprese e sostenibilità, si tratta di una maturità che è legata alla necessità di superare i rischi di greenwashing, che hanno creato confusione unitamente alla affermazione di fenomeni che sono in grado di garantire la valorizzazione economica della sostenibilità all’interno delle filiere produttive e nei processi industriali e commerciali. Accanto a questo sviluppo si posiziona poi un tema di innovazione, caratterizzato dalla capacità di far evolvere prodotti, servizi e modelli di business sfruttando nuove prospettive come ad esempio l’ecodesign per arrivare a una trasformazione industriale in grado di consegnare a clienti e imprese prodotti e servizi concepiti per essere nativamente sostenibili. Ultimo, ma non meno importante, in questo scenario si colloca poi il tema dell’ecosistema, molto forte per quanto attiene le progettualità presenti in Emilia Romagna, e da intendersi in questo caso come la capacità di un territorio di articolare tutte le proprie risorse produttive, sociali e istituzionali nella traiettoria di una sostenibilità che sia in grado di creare anche nuova forma competitività territoriale.
Ed è proprio nel quadro di questi obiettivi che si colloca la ricerca che ha coinvolto oltre 2.500 imprese emiliano romagnole e che è stata presentata nel corso di un evento che ha visto il contributo e la moderazione di ESG360 e la partecipazione di:
- Morena Diazzi, Direttore Generale Conoscenza, Ricerca, Lavoro, Imprese, Regione Emilia-Romagna
- Roberto Ricci Mingani, Responsabile Settore Innovazione sostenibile, Imprese, Filiere produttive, Regione Emilia-Romagna
- Angelo Paletta, Direttore Dipartimento di Scienze Aziendali, Università di Bologna
- Vincenzo Colla, Assessore Sviluppo economico e green economy, lavoro e formazione, Regione Emilia-Romagna
L’approccio della Regione Emilia Romagna agli obiettivi di sviluppo sostenibile
“La Strategia regionale Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile prevede un impegno su tutti i 17 Sustainable Development Goals (SDGs) e si inserisce nel Patto per il lavoro e per il clima in un progetto di rilancio e sviluppo che unisce le sfide della digitalizzazione e della transizione ecologica avendo come riferimento l’Agenda 2030”.
Morena Diazzi, Direttore Generale Conoscenza, Ricerca, Lavoro, Imprese, Regione Emilia-Romagna aiuta a inquadrare il contesto regionale in cui si inserisce il sistema di monitoraggio e rilevazione del profilo di sostenibilità delle imprese e sottolinea che questa iniziativa si colloca nel solco degli impegni previsti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e sui quattro pillar definiti dalla Regione: economia, società, ambiente e istituzioni a loro volta collegati ai principi di universalità, integrazione, partecipazione e inclusione sociale.
Il Patto per il lavoro e per il clima ha fatto da corollario alla nuova programmazione europea FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) e FES+ (Fondo Europeo per lo Sviluppo) 2021-2027 in corso di approvazione che mettono a disposizione un ammontare di risorse per sostenere questa transizione.
“Per affrontare correttamente questo percorso – spiega Diazzi – è fondamentale disporre di tutti gli strumenti che consentano di monitorare risultati e azioni delle imprese al fine di supportare i decisori e definire gli strumenti di sostegno più adeguati. Nella programmazione FESR occorre infatti rispondere anche al tema posto dalla Commissione europea in termini di contributo alla sostenibilità e alla lotta alla climate change con azioni orientate in questa direzione”.
La responsabilità sociale di impresa e lo sviluppo della Regione
L’indagine sul profilo di sostenibilità delle imprese in Emilia-Romagna si colloca anche nell’ambito delle azioni definite dalla Legge Regionale 14/2014 sulla promozione degli investimenti in cui si parla della responsabilità sociale come strumento per favorire la crescita e la competitività delle aziende e come acceleratore di processi di innovazione capaci di integrare le dimensioni sociali ed ambientali nelle strategie di sviluppo. Un intervento con cui la Regione aveva voluto porre questo tema al centro della crescita regionale e che è stato in seguito accompagnato da una serie di iniziative in linea con questo approccio tra cui il Premio Innovatori Responsabili nato nel 2015 per valorizzare l’impegno del sistema produttivo sui valori della responsabilità sociale. Un premio che in sette edizioni ha visto la presentazione di 588 candidature con 429 soggetti inseriti nell’elenco degli indicatori responsabili.
Diazzi mette in evidenza una logica da ecosistema indirizzato alla sostenibilità ricordando che il premio a sua volta nasce all’interno dei Laboratori territoriali per l’innovazione e la sostenibilità delle imprese dell’Emilia Romagna, una operazione attraverso cui la Regione intende promuovere la competitività del sistema produttivo, stimolando la condivisione di idee e buone pratiche capaci di integrare le dimensioni della sostenibilità economica, sociale ed ambientale.
Non ultimo poi l’adesione alla Carta dei Principi di responsabilità sociale delle imprese dell’Emilia Romagna sempre del 2015 è stata introdotta come requisito obbligatorio per i tutti i soggetti che intendono partecipare ai bandi per l’attuazione delle misure e degli interventi della Direzione generale Economia della conoscenza, del lavoro e dell’impresa. Le imprese beneficiarie dei bandi sono chiamate a sottoscrivere questa carta che rappresenta un punto di riferimento per accompagnare lo sviluppo della Regione.
In questo contesto è nato il progetto di rilevare il profilo di sostenibilità delle imprese nel 2018, con un approccio e un “questionario” realizzato anche attraverso la collaborazione con l’Università di Bologna e con l’obiettivo di attivare un monitoraggio continuativo e sistematico delle imprese. Sulla base di questo percorso a partire dal primo gennaio 2018 tutti i beneficiari dei contributi regionali relativi ai bandi Por Fesr 2014-2020 (Programma operativo regionale – Fondo Europeo Sviluppo Regionale) devono compilare il questionario in fase di rendicontazione.
Diazzi anticipa anche alcune delle principali evidenze della ricerca: “Emerge – sottolinea – la centralità delle imprese manifatturiere e c’è un tema che distingue le imprese in base alla loro dimensione e alla capacità organizzativa. Si avverte poi una propensione da parte delle imprese di maggiori dimensioni a sviluppare strategie e azioni di sostenibilità ambientale, ma ciò che più conta è l’attenzione particolare alle supply chain, alla distribuzione, al welfare, alla comunicazione e alla relazione con il territorio. La possibilità di partire con la nuova programmazione – conclude – sulla base dell’analisi di questi risultati consentirà di misurare negli anni futuri la crescita anche di partecipazione delle imprese ai temi della sostenibilità e stabilire come la nuova programmazione può incidere sullo sviluppo di queste tematiche”.
Misurazione dei modelli di business sostenibili e ruolo della responsabilità sociale
Anche Roberto Ricci Mingani, Responsabile Settore Innovazione sostenibile, Imprese, Filiere produttive, Regione Emilia Romagna nella presentazione della ricerca tiene a sottolineare che si tratta di un percorso nato nel 2014 con la Legge Regionale 14/14 dove per la prima volta compare il termine “responsabilità sociale d’Impresa” all’interno di una legge regionale. Da quel momento sono stati istituiti i laboratori territoriali con il coinvolgimento di Camere di Commercio, dei Comuni, delle Enti Pubblici e soprattutto delle Imprese. A livello locale è partita anche un’attività divulgativa che si è evoluta in sostenibilità vera e propria e oggi non si parla più di responsabilità sociale d’impresa, ma di sostenibilità in un senso più ampio.
In questo percorso “Il 2019 ha rappresentato l’anno della svolta – racconta Mingani – perché attraverso l’avvio della collaborazione con l’Università di Bologna abbiamo avuto modo di riflettere e dare sostanza ad un primo questionario che si è trasformato nel tempo e che oggi consente di condividere i primi dati per disporre della conoscenza necessaria al raggiungimento degli obiettivi fissati, vale a dire: promuovere i modelli di business sostenibili in Emilia Romagna, monitorare l’impegno di ciascuna impresa che ottiene finanziamenti dalla Regione e che è tenuta a sottoscrivere la Carta dei Principi RSI e migliorare l’efficacia degli strumenti per sostenere la transizione ecologica delle imprese”.
La ricerca: le dimensioni e la struttura
Il periodo di valutazione della ricerca è compreso tra marzo 2019 e dicembre 2021 e ha visto la compilazione di 2.742 questionari relativi a 2.488 imprese di cui 2.225 beneficiarie di contributi e 263 rilevate tra i partecipanti alle edizioni 2019, 2020 e 2021 del Premio Innovatori Responsabili. Le imprese beneficiarie dei contributi regionali per il 92% dei casi sono piccole o microimprese; il cluster delle imprese virtuose in quanto premiate o comunque appartenenti al gruppo degli innovatori responsabili è costituito al 33% da imprese medio-grandi. Il campione completo comprende tutte le tipologie di attività: dal manifatturiero al commercio, dal turismo ai servizi, ed è rappresentativo della realtà produttiva emiliano-romagnola.
La ricerca focalizza l’attenzione sui parametri che determinano un impatto diretto e indiretto sulla sostenibilità e sulle dimensioni ambientali, sociali e di governance. Nello specifico le variabili indagate nella ricerca si sviluppano su 160 domande suddivise in cinque dimensioni:
- criteri di scelta dei fornitori (es. presenza nei contratti di clausole sociali o ambientali);
- relazioni con clienti e fornitori (es. attivazione di strumenti di dialogo, indagini di customer satisfaction, dati e analisi sulla sostenibilità);
- tipologia di welfare aziendale (es. investimenti sulle risorse umane e sulla qualità del lavoro, flessibilità nell’orario, previdenza integrativa);
- azioni per la sostenibilità ambientale (es. interventi che incidono sull’impatto ambientale dell’attività di impresa);
- strategia e governance nella forma di gestione, comunicazione e relazione con il territorio (es. strumenti per la gestione e la rendicontazione verso l’esterno degli impegni sostenibili)
Altre 17 domande sono state poi individuate e indirizzate alle caratteristiche aziendali e al posizionamento di filiera. Le domande sono state somministrate attraverso una scala di valutazione che ha permesso di disporre di una serie di indicatori con relativo livello di “intensità” in base alle performance delle imprese.
Il profilo delle imprese in relazione alla sostenibilità
In termini di attuazione di percorsi di sostenibilità, il 58% delle imprese che hanno ricevuto un contributo sono ancora ad un livello iniziale; il 42% delle imprese che hanno partecipato al premio registra invece un livello di sostenibilità avanzata. Le grandi imprese registrano in generale migliori performance ed evidenziano strategie e processi avanzati, le micro e piccole imprese hanno invece più difficoltà ad avviare processi di revisione strategica nell’ottica della sostenibilità. Uno degli aspetti più importanti della ricerca riguarda il fatto che le grandi imprese avvertono la necessità di incidere sulle catene di fornitura e di promuovere la sostenibilità a livello di filiere.
Il ruolo dei fornitori
Dalla ricerca emerge che le imprese continuano a scegliere tendenzialmente i fornitori in base a prossimità, fiducia e conoscenza diretta e solo l’11% inserisce nei contratti clausole etiche e sociali. Nelle grandi imprese e tra le aziende che rientrano tra i partecipanti al premio, la selezione punta maggiormente sulle certificazioni e nei contratti sono incluse clausole etiche e sociali. L’input in questo caso è volto a incentivare il green procurement e il coinvolgimento dei fornitori per iniziative di ecodesign e per la ridefinizione delle filiere allo scopo di incrementare la sostenibilità delle produzioni e accompagnare la transizione delle PMI, rafforzando il tessuto economico locale.
La posizione di clienti e consumatori
Le grandi imprese e i partecipanti al premio si caratterizzano per un maggiore investimento strategico sulla comunicazione e per la disponibilità di strumenti di dialogo con clienti e consumatori. In questo caso l’orientamento è indirizzato a investire su progetti di trasparenza, di tracciabilità e di dialogo con i clienti intercettando le aspettative di consumatori sempre più attenti agli impatti ambientali e sociali.
L’evoluzione del welfare aziendale
Le imprese più strutturate investono anche in azioni di welfare, tra cui forme di previdenza integrativa, strumenti di flessibilità per favorire la conciliazione e i congedi parentali aggiuntivi. Nelle imprese più piccole che operano nei servizi, dove le donne rappresentano la maggioranza degli occupati, spesso queste opportunità sono però assenti o limitate. Dalla ricerca emerge anche la necessità di investire in welfare di comunità per attenuare le disuguaglianze tra lavoratori.
Le prospettive a livello di sostenibilità ambientale
Grazie alla ricerca si può osservare che le azioni più diffuse legate a obiettivi di sostenibilità ambientale sono rappresentate dalla raccolta differenziata, dalla riduzione dei rifiuti e degli scarti di produzione e dagli interventi per migliorare l’efficienza energetica. Perché queste prospettive si possano concretizzare in modo più strutturale è necessario sostenere la formazione manageriale delle imprese, nelle professioni e negli enti locali, ed è necessario introdurre criteri che permettano la misurazione degli impatti per consentire una valutazione costi/benefici di medio e lungo periodo.
Nello specifico dei temi legati all’energia circa l’80% delle imprese dichiara interventi stabili o parziali per migliorare l’efficienza energetica dei propri ambienti, ma risultano ancora limitati gli impatti per la produzione da fonti rinnovabili.
La criticità dell’acqua e della mobilità
Il tema dell’acqua è una nota dolente: non è stato infatti ancora recepito come un vero problema. L’acqua è una risorsa sempre più scarsa e sono ancora poco diffusi gli interventi per la riduzione dei consumi, sia nei processi produttivi, sia nei servizi. Anche il tema della mobilità non è adeguatamente affrontato: ancora molto lontano in tutti i settori, l’utilizzo di mezzi sostenibili per il trasporto di merci e persone. E dai segnali della ricerca arrivano indicazioni per incentivare l’aumento del trasporto ferroviario e fluviale delle merci e mezzi di trasporto su gomma a basso impatto, ma anche per pensare a hub di prossimità destinati alla gestione dell’e-commerce e della logistica ultimo miglio.
Economia circolare e processi produttivi
Per quanto riguarda l’economia circolare poi c’è molta sensibilità a livello di attenzione ma poca capacità di azione soprattutto se si guarda alle piccole e alle microimprese, dove sarà cruciale il ruolo dei capi filiera. La raccolta differenziata è certamente importante, nelle imprese di produzione si stanno imponendo pratiche per la riduzione del consumo di materia e per il recupero degli scarti, anche se sono ancora limitati gli studi innovativi che considerano l’intero ciclo di vita e che sono effettivamente orientati all’economia circolare. Perché questo avvenga occorre favorire analisi di impatto sull’intero ciclo di vita dei prodotti e incentivare pratiche di simbiosi industriale.
Per quanto concerne plastica e imballaggi, circa il 40% delle imprese dichiara di utilizzare anche solo parzialmente imballaggi in plastica riciclata. Il 22% dichiara di utilizzare imballaggi in bioplastica, mentre il 10% appena ha in corso studi per la riduzione o sostituzione delle materie plastiche. In questo caso un ruolo importante può essere svolto dalla ricerca, dagli studi per innovazione ed ecodesign nel settore del packaging, e appare strategico arrivare a ottenere un coinvolgimento della GDO per progetti di sistema.
La situazione in termini di relazione con il territorio
Per quanto attiene alla relazione con il territorio, le imprese più avanzate sui temi della sostenibilità presentano forti relazioni con il territorio e con le comunità in cui operano, ma perché questi valori possano svilupparsi al meglio è importante stimolare e sostenere un approccio collaborativo, con strumenti di dialogo con stakeholder, con la conoscenza del territorio e delle realtà produttive, ma anche con la misurazione e la rendicontazione degli impatti economici, sociali e ambientali.
Mingani sottolinea poi l’elenco delle prossime sfide, definite anche grazie anche ai risultati della ricerca, in cui trovano posto il supporto alla transizione delle imprese meno strutturate; la riorganizzazione delle filiere e dei sistemi di approvvigionamento, la promozione di filiere corte, la riduzione dei consumi delle materie prime con processi di simbiosi industriale e con pratiche di economia circolare; l’efficientamento dei consumi energetici e l’aumento delle rinnovabili, la riduzione dei consumi idrici, la logistica e la mobilità sostenibile per arrivare allo sviluppo di servizi e welfare di comunità.
I segni particolari delle aziende più virtuose
“In generale – conclude Mingani -, possiamo ricondurre la maggiore propensione alla sostenibilità alla dimensione delle imprese: le imprese più grandi sono in grado di portare avanti strategie e politiche più puntuali rispetto alle piccole. In questo caso se mancano gli stimoli del capo filiera, mancano anche gli stimoli e il sostegno economico per quello che è un investimento anche culturale. Del resto – prosegue -, fare sostenibilità non significa acquistare uno strumento, un servizio, o un sistema di produzione, significa mettersi in un’ottica nuova e questo richiede uno sforzo importante soprattutto in termini di tempo da parte dell’imprenditore. Non esiste un format specifico”.
Tra le evidenze si segnala che il green procurement è certamente fondamentale. “Avere contezza delle materie prime che entrano in azienda e dei processi di trasformazione è fondamentale per garantire a valle la sostenibilità. Queste informazioni fino ad oggi non sono state facilmente reperibili e per questo processo appare fondamentale anche il comportamento della domanda. Se cresce una domanda da parte dei consumatori a valle che pretende sostenibilità o una normativa che obbliga a certi comportamenti, questa sarà motivazione forte e una spinta ulteriore per le imprese”.
La sostenibilità aiuta la competitività?
Angelo Paletta, Direttore Dipartimento Scienze Aziendali, Università di Bologna in merito al rapporto tra sostenibilità e competitività sottolinea che esistono ancora dei risultati misti, alcuni confermano una relazione positiva tra ESG e risultati delle imprese, altri invece non trovano nessuna correlazione, o addirittura la rilevano come negativa. Una delle ragioni per cui esistono evidenze controverse è che le basi dati su cui si sviluppano queste evidenze sono ancora limitate.
Paletta invita anche a riflettere sulle limitazioni dei questionari progettati per rilevare il profilo di sostenibilità: si chiede alle imprese di esprimere un parere sul loro impegno rispetto a tematiche di tipo sociale e ambientale, in larga misura si tratta di risposte legate a una percezione e a seconda di chi risponde si potrebbe avere una risposta differente evitando poi di considerare anche possibili comportamenti opportunistici. Per avere una valutazione oggettiva servono misurazioni quantitative. Paletta auspica che gli sviluppi futuri e l’investimento internazionale in termini di ricerca sui temi della sostenibilità porteranno allo sviluppo di modelli di raccolta dati standardizzati più rigorosi e oggettivi per comprendere questa relazione.
Come si definisce un modello di business sostenibile
Dati e misurazione a parte Paletta porta l’attenzione sull’importanza da un punto di vista teorico, di disporre di chiarezza in merito a cosa intendiamo per un modello di business sostenibile, e a interrogarci su quali sono gli elementi a cui prestare attenzione per comprendere se un’azienda è caratterizzata da una tendenza e da profili di sostenibilità.
“Un modello di business sostenibile – osserva – descrive, analizza, gestisce e comunica la proposta di valore sostenibile di un’impresa, non solo in termini di vantaggio competitivo nei confronti dei clienti (ovvero nel modo tradizionale in cui leggiamo l’azione nel mercato di un’impresa), ma allarga lo spettro dei soggetti coinvolti aprendosi agli stakeholder, ai fornitori, alla PA, alle banche, ai lavoratori, alle comunità, all’ambiente e alla società nel suo insieme”.
Un business model sostenibile richiede un’infrastruttura di business radicata ai principi di sostenibilità nei suoi processi operativi, ad esempio nel modo in cui è configurata la supply chain e i processi produttivi; l’interfaccia con i clienti aperta alla relazione con altri stakeholder per rendere responsabili tutti i soggetti coinvolti verso una sostenibilità che è collettiva.
Un modello di business sostenibile – tiene a precisare -, non deve certo rinunciare ad un modello finanziario capace di creare valore economico, di distribuire costi e benefici in modo equo tra i vari attori coinvolti e non può non prevedere un sistema di management sostenibile in grado di agire sulle diverse dimensioni aziendali, plasmando i valori imprenditoriali e la strategia aziendale in termini di impatti generati verso l’esterno e verso l’interno. A questo si aggiunge la necessità di costruire alleanze strategiche con accordi lungo la catena di valore dell’impresa perché è impensabile che un’azienda possa diventare sostenibile (o circolare) chiudendosi all’interno delle proprie mura, ma deve avere la capacità di agire a monte e a valle per generare valore sostenibile o per attuare forme di circolarità.
La misurazione della sostenibilità supporta la traiettoria della Regione
“Non possiamo in questa Regione non avere strumentazioni che supportano il posizionamento definito nel Patto per il Lavoro e per il Clima. Abbiamo bisogno di cambiare il modello del sistema economico manifatturiero nel mondo e per farlo occorre sviluppare contemporaneamente un’idea di tenuta sociale e di nuovo sviluppo del tessuto produttivo regionale. I tre grandi livelli di sostenibilità ambientale, sociale ed economica devono essere supportati da teorie, da analisi e da certificazioni”. Vincenzo Colla, Assessore Sviluppo economico e green economy, lavoro e formazione, Regione Emilia Romagna sottolinea alcune delle caratteristiche del tessuto economico regionale: la forte vocazione manifatturiera, la forte domanda di energia legata alla produzione, la mobilità, il ruolo dell’ospitalità e del turismo, la qualità della vita e dei servizi, tutti fattori che aumentano la necessità di indirizzare modelli sostenibili. Colla ricorda che la Regione ha definito una traiettoria che al Patto per il Lavoro e per il Clima, ha aggiunto la Strategia di specializzazione intelligente (S3) e ha tracciato la transizione verso un cambiamento culturale che abbraccia l’Agenda ONU 2030 e lo sintetizza in una espressione molto chiara: “Si finanziano le nuove filiere sulla base del principio che o si cambia o si va fuori mercato”.
Gli investimenti della Regione Emilia-Romagna per la transizione ecologica
Il 95% delle imprese emiliano-romagnole sono piccole e contano fino a 15 dipendenti e la grande sfida è quella di farle diventare partner di questo cambiamento, di tenerle attaccate all’innovazione e alla trasformazione. Va in questa direzione l’accordo con il CNR sull’innovazione nei materiali, al fine di stimolare le tecnologie trasversali e indispensabili alla transizione. C’è poi l’impegno sul digitale unitamente a un grande investimento sui saperi, sull’intelligenza delle mani. “Abbiamo bisogno di creare un ecosistema di innovazione per reggere un cambiamento che è nella ricerca, nella prototipazione e nell’industrializzazione”. Il tema del riciclo, del risparmio e del riuso è destinata a diventare una nuova idea di politica industriale e “chi sarà in grado di posizionarsi in questo senso avrà un vantaggio di produttività e di valore aggiunto nel manifatturiero”.
L’altro grande tema che viene ricordato nell’intervento di Colla riguarda la scelta di investire nel green in generale: nella cultura green, nell’istruzione e nella formazione alla sostenibilità con lo sviluppo di moduli nuovi di formazione e di istruzione. E questa operazione di creazione di un contesto vivo e dinamico verso la sostenibilità ha bisogno di misurazione anche per permettere a molte piccole imprese di potersi confrontare con un contesto caratterizzato dallo sviluppo di strumenti finanziari green che hanno bisogno di dati e KPI.
L’evento con la presentazione della ricerca è accessibile direttamente da qui