Dalla nuova edizione del rapporto scientifico sui cambiamenti climatici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite arrivano da una parte segnali di allarme rispetto alla necessità di accelerare l’azione climatica, ma anche conferme rispetto al contributo che può arrivare da tante e diverse soluzioni e dall’innovazione tecnologica.
Anche questa volta, con la presentazione del VI Assessment Report, WGIII, dell’International Panel on Climate Change, “Mitigation of Climate Change” non mancano certo le preoccupazioni, ma ci sono anche diversi segnali positivi che suonano come un invito forte ed esplicito ad accelerare sulla strada di una innovazione tecnologica che porta risultati concreti scientificamente dimostrati e dimostrabili. Il rapporto dell’IPCC sulla mitigazione dei cambiamenti climatici (terzo volume del Sesto Rapporto di Valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite), intende rappresentare il punto di riferimento sulle soluzioni, sui rapporti scientifici, sulle possibili azioni da effettuare per limitare le emissioni globali di gas climalteranti.
Come ESG360 vogliamo raccontare il rapporto partendo dalla discussione organizzata dal Focal Point IPCC per l’Italia per analizzando come i diversi settori della società e dell’economia affrontano il tema della riduzione delle emissioni o delle prospettive legate all’evoluzione dei diversi settori nella creazione di condizioni per uno sviluppo sostenibile e per capire come e dove si può agire per ridurre le cause antropiche dei cambiamenti climatici.
(Rispetto ai contenuti di questo articolo sono arrivati alcuni aggiornamenti che potete trovare in questo servizio della nostra testata: IPCC AR6: evidenze e scenari per mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici n.d.r.).
Servono urgentemente politiche di contenimento e di trasformazione
La strada è quella giusta ma occorre fare di più, anche perché il tempo non gioca a nostro favore, tutt’altro. Il periodo legato al Covid ha avuto un effetto positivo in termini di riduzione delle emissioni, ma ha fatto registrare una diminuzione solo temporanea nelle emissioni di CO2 prodotte da combustibili fossili e da attività industriali, che ben presto sono tornate a salire. Il report IPCC mette in evidenza che in assenza di un rafforzamento nelle politiche di contenimento e di trasformazione per la sostenibilità si deve prevedere una crescita delle emissioni anche dopo il 2025, il che porterebbe a un livello di riscaldamento globale medio superiore ai 3°C entro il 2100.
Nel periodo 2010-19 le emissioni medie annue di gas serra sono state le più elevate della storia. Il report prende come riferimento il 2010 e rispetto a quell’anno le emissioni sono aumentate del 12% mentre se si guarda al punto di riferimento del 1990 la crescita è del 54%. Il tema ambientale va poi messo in relazione al tema sociodemografico che nostra un aumento delle disparità con il 10% delle famiglie più ricche a livello globale che è responsabile con i loro consumi di circa il 40% delle emissioni globali di gas serra, mentre il 50% delle famiglie più povere hanno un impatto inferiore al 15%.
Massimo Tavoni, dell’European Institute on Economics and the Environment (EIEE), Politecnico di Milano, sottolinea che il report guarda a diversi scenari e mettendo in relazione questo report con un’analisi analoga realizzata nel 2010 osserva che oggi il numero degli scenari che prevedono un aumento delle temperatura più elevate hanno adesso una minore importanza. In termini di fattori di rischio sono un po’ meno allarmanti. “La probabilità di avere scenari ad altissima temperatura non è zero – afferma – ma è più bassa”. Tuttavia, – ricorda – gli Accordi di Parigi stabiliscono che per essere “sicuri” occorre agire senza nessuna esitazione per contenere l’aumento della temperatura entro 1,5°C.
“Le emissioni sono scese per il Covid-19 – osserva a sua volta Tavoni – ma poi sono tornate ad aumentare. Da qui al 2030 occorre lavorare per diminuire del 43% emissioni rispetto al 2019, ed è uno sforzo che non riguarda solo la CO2, ma anche altri gas come il metano. In questo caso si tratta di emissioni che vanno ridotte di quasi un terzo.
Questa decade rappresenta una tappa fondamentale, ma il mondo non si ferma al 2030
Tavoni osserva poi provocatoriamente che il mondo non si ferma al 2030 e che questo impegno deve proseguire e si deve arrivare al momento in cui si azzerano effettivamente tutte le emissioni. “Dobbiamo arrivare a emissioni nette zero entro il 2050, – osserva – quando arriveremo ad emissioni nette zero la temperatura smetterà di crescere. Non è peraltro necessario azzerare tutte le emissioni di tutti i gas serra, per gas come il metano serve un’azione molto rapida nel breve periodo, ma per stabilizzare il clima non si deve necessariamente arrivare ad emissioni zero”.
La prospettiva per il Pianeta secondo il report IPCC è di arrivare a un sistema produttivo e sociale che sia completamente decarbonizzato. Ci sono alcuni scenari rappresentativi di modi diversi per arrivare a una economia con emissioni nette pari a zero a fronte dei risultati che ci consegna lo sviluppo tecnologico. “Non sappiamo come sarà il mondo ad emissioni net zero – dichiara Tavoni -, ma sappiamo che è possibile e si può raggiungere in modi diversi”.
Certamente servono tanti investimenti, ma non mancano le risorse finanziarie anche se alla disponibilità di grandi quantità di risorse non corrisponde una qualità nella gestione e una precisione negli interventi. “La disponibilità di capitale e di liquidità ci sono – argomenta – ma occorre riallineare gli investimenti attuali da fonti fossili e da energie alternative con quelli per il raggiungimento di risultati di sostenibilità e di trasformazione”.
Una delle diverse “buone notizie” del report è che le soluzioni ci sono e hanno dimostrato di portare buoni risultati. La transizione ecologica per la sostenibilità è, almeno dal punto di vista della fattibilità tecnica, alla nostra portata. I principali settori responsabili di emissioni di sostanze climalteranti hanno soluzioni a loro volta alla loro portata.
Nel campo dell’energia lo scenario prevede una sostanziale riduzione nell’uso complessivo dei combustibili fossili, la diffusione di sistemi energetici a basse emissioni di carbonio, l’utilizzo di combustibili alternativi come i biocarburanti sostenibili e come le soluzioni basate sull’idrogeno accanto a misure misure legate alla diffusione dell’elettrificazione e a interventi a livello di efficienza energetica.
Il cambiamento deve arrivare anche da cittadini e consumatori
Ma il report sottolinea che il vero cambiamento deve arrivare da noi stessi come cittadini, consumatori, come persone che vivono in modo sempre più responsabile i territori. È qui che la domanda di riduzione delle emissioni di carbonio si aggancia con la necessità di trasformare gli stili di vita, di agire sui comportamenti e di cambiare i consumi che generano emissioni. E questo deve avvenire in diversi settori in particolare nei trasporti, nell’industria, nell’edilizia e nell’uso del territorio.
Per IPCC, grazie a una combinazione di politiche di investimenti a livello di infrastrutture e di tecnologie che aiutano anche il cambiamento nei comportamenti è possibile arrivare entro il 2050, a una riduzione delle emissioni di gas serra tra il 40 e il 70%.
Un’altra buona notizia evidenziata da Tavoni è che i costi delle tecnologie virtuose in termini ambientali sono diminuiti nel tempo: il rapporto tra produzione di energia a base fossile e produzione di energia fotovoltaica o eolica è competitivo e nello stesso tempo c’è anche una riduzione di prezzo delle batterie nel tempo e un aumento delle performance.
Se si prende ancora il 2010 come punto di riferimento del precedente rapporto di valutazione il mercato delle rinnovabili e dei trasporti basati sull’elettrico è molto migliorato e abbiamo tecnologie performanti che non sono più sperimentali ma che sono market ready e a costi competitivi con i combustibili fossili.
Strade diverse per arrivare alla neutralità carbonica
Elena Verdolini, dell’European Institute on Economics and the Environment (EIEE), Università degli Studi di Brescia sottolinea a sua volta che ci sono appunto diverse strade e diverse strategie per arrivare alla decarbonizzazione: “modalità di produzione e di consumo sono leve che si possono utilizzare per promuovere questo cambiamento – osserva -. Si può e si deve cambiare cambiare il modo di produrre energie, di utilizzare i terreni, di costruire e vivere gli edifici, le città e i trasporti”. La domanda di beni e servizi e i cambiamenti negli stili di vita sono parte integrante del percorso che può portare a una economia a zero emissioni nette.
Il settore energetico è responsabile di un terzo delle emissioni globali. Il report indica che ci cono stati passi avanti nell’ultimo decennio, che la strada è quella che prevede la riduzione dei combustibili fossili, l’elettrificazione, la creazione di sistemi energetici a basse emissioni ma anche l’utilizzo di fonti alternative come idrogeno e biocombustibili. “Nei trasporti c’è un grande potenziale in termini di riduzione delle emissioni, ma a loro volta dipendono dalla capacità di decarbonizzazione del settore energetico. La diffusione di veicoli elettrici permettono di aumentare la riduzione delle emissioni per la mobilità, ma devono essere a loro volta associati a un cambiamento nelle abitudini. Nello stesso tempo si può contare sui progressi nelle tecnologie delle batterie che possono accelerare l’elettrificazione dei mezzi pesanti e sviluppare una mobilità integrata con le ferrovie elettriche convenzionali”.
Verdolini puntualizza che è nello stesso tempo importante agire sul sistema dei viaggi aerei e dell’international shipping, un ambito che ha un peso molto rilevante a livello di decarbonizzazione e che dipende a sua volta da scelte legate agli stili di vita.
Guardando alle città, Verdolini ricorda che cresce il numero delle città con obiettivi di emissioni nette di gas serra pari a zero, progettualità che si possono saldare con lo sviluppo di sistemi di produzione e con modelli di consumo sostenibili, unitamente alla diffusione di spazi verdi e di tecnologie destinate dell’assorbimento del carbonio. Una parte importante è poi svolta dal mondo building con esempi di edifici che non consumano energia o che garantiscono zero emissioni di carbonio, ma Verdolini ricorda che larghissima parte del patrimonio urbanistico del pianeta è obsoleto e l’impegno più grande deve essere indirizzato alla riqualificazione urbanistica e alle ristrutturazioni.
La decarbonizzazione passa anche dalla trasformazione industriale
C’è poi il ruolo fondamentale dell’industria e Verdolini mette in evidenza che la riduzione delle emissioni è alla nostra portata grazie a un utilizzo più efficiente dei materiali, allo sviluppo di modelli circolari e ad attività di riutilizzo e di riciclo dei prodotti, anche con interventi in termini di trattamento dei rifiuti. Tutti modelli che sono ad oggi sottoutilizzati, ma che la riduzione delle emissioni richiesta dal mercato renderà sempre più necessari unitamente a nuovi processi di produzione con la diffusione nelle imprese di elettrificazione alimentata da fonti rinnovabili o con l’introduzione di tecnologie per la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Ma il valore aggiunto delle imprese arriverà anche dalla capacità di riciclare i materiali in maniera più efficiente e dalla ricerca di nuovi materiali e nuove tecnologie per la produzione a basse emissioni.
Verdolini sottolinea inoltre l’importanza di politiche, di regole e di strumenti economici più adeguati. La tassazione delle emissioni in maniera diretta o indiretta, ma anche la diffusione di standard tecnologici e la promozione del cambiamento permettono di creare politiche coordinate e sistemiche.
Il ruolo fondamentale del suolo
Lucia Perugini, della Fondazione CMCC affronta il tema legato al ruolo dell’utilizzo del suolo e degli ecosistemi particolarmente importante a livello di report IPCC. “Foreste e agricoltura – precisa – sono un settore speciale che produce emissioni ma che le può anche rimuovere con la fotosintesi e con l’accumulo nel sottosuolo come carbone organico. Non solo, dalle biomasse si produce energia e come si può vedere si tratta di un settore interconnesso con altri settori, con la parte energetica (bioenergie), con le città per l’azione di assorbimento del carbonio e per il raffreddamento ma anche con i cambiamenti nelle abitudini con l’evoluzione delle diete in agroalimentare. Certamente sono molto importanti le interazioni tra cambiamenti climatici e uso del suolo e la gestione sostenibile delle terre, tutti interventi che permettono di ottenere una rimozione di quantità significative del CO2 dall’atmosfera”.
Perugini mette sotto accusa le deforestazioni e l’attività agricola con vecchie pratiche intensive, e sottolinea che in Europa e in Nord America si mostrano trend diversi con assorbimenti delle emissioni molto significativi a dimostrazione che il settore agroforestale ha un potenziale di mitigazione molto forte. In generale, il settore agroforestale può arrivare a un potenziale di mitigazione globale che nell’orizzonte 2050 è in grado di pesare per il 20-30% grazie a pratiche e tecnologie già disponibili.
I quattro ambiti che più possono essere incisivi in questa trasformazione sono le foreste unitamente ad altri ecosistemi, l’agricoltura, gli interventi a livello di domanda alimentare e le tecnologie e soluzioni BECCS ovvero bioenergia con cattura e sequestro di CO2, (CCS, Carbon Capture and Storage).
Perugini mette infine in evidenza i rischi di questo percorso, legati alla competizione delle terre e ai rischi di sicurezza alimentare unitamente alle barriere legate alla mancanza di supporto istituzionale e finanziario come anche a una governance debole dove la proprietà terriera è molto frammentata.
Building, emissioni dirette e indirette: il prossimo decennio è fondamentale
Paolo Bertoldi, della Commissione Europea DG JRC sottolinea che le emissioni degli edifici sono dirette e indirette e occorre riconoscere in modo sempre più chiaro anche la parte di emissioni legate ai materiali di costruzione e per questo occorre limitare la domanda di cemento e acciaio. Le emissioni sono molto aumentate in ragione dell’aumento della superficie e degli edifici, e degli appartai utilizzati per il loro utilizzo per il confort, per i servizi. Il rapporto indica che si possono ridurre le emissioni del 60% entro il 2050 e il prossimo decennio è fondamentale: occorre accelerare drammaticamente il tasso di rinnovo dei building perché il rapporto dice anche che l’efficienza da sola non basta, occorre poi evitare il superfluo. e agire per cambiare le logiche abitative e ridurre la domanda di spazio costruito.