La sostenibilità, declinata in ambito ambientale o in ambito sociale attraverso la Corporate social responsibility, è diventata ormai un must per la maggior parte delle aziende di grandi dimensioni. In parte grazie a una elevata e crescente sensibilità su questi temi che si registra sui mercati, in parte anche perché ormai le organizzazioni sono chiamate alla compliance verso una serie di requisiti fissati dai governi e dai regolatori. Accertato il fatto, ci sarebbe da capire se si sta sviluppando come una conseguenza della crescente sensibilità dei cittadini, intenzionati a premiare chi si comporti meglio verso l’ambiente, i propri dipendenti, i propri fornitori e in generale verso le comunità e i luoghi in cui svolge le proprie attività, e più in generale del pianeta, o se ci troviamo di fronte a un grande sforzo di sensibilizzazione che parte invece dalle imprese, che hanno inserito nella propria mission anche quella di “educare” le persone a comportamenti più sostenibili e più rispettosi verso ogni genere di diversità.
In ogni caso stiamo assistendo proprio in questi anni a un crescente sforzo delle compagnie in direzione della Corporate Social Responsibility, che tradotto in italiano vuol dire responsabilità sociale d’impresa, sempre più spesso affiancata da strategie e scelte di business che vanno nella direzione dell’Esg, cioè l’environmental, social and corporate governance, definizione che ormai ingloba tra le altre cose anche le scelte di corporate social responsibility aziendali. E un’ulteriore focus suquesti argomenti si sta registrando da un anno a questa parte in concomitanza con l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19, che ha messo l’umanità di fronte alle conseguenze di un disastro globale.
Cos’è la corporate social responsibility
Una delle prime definizioni di Corporate social responsibility può essere fatta risalire ai primi anni 50, quando Howard R. Bowen pubblicò un libro che è rimasto nella storia, in quanto tra i primi ha trattato il tema di quale sia il comportamento più virtuoso che un’azienda possa tenere verso il resto della società e al proprio interno verso i propri dipendenti. Quel volume si intitolava “Social responsibility of businessman”, e fissava una serie di paletti di cui una gran parte, con tutti i cambiamenti storici del caso, rimane valida ancora oggi. In questo caso la responsabilità sociale d’impresa veniva definita come “l’insieme di politiche, decisioni e azioni che allineano l’operato dell’impresa agli obiettivi e ai valori della società”. Si deve poi a Keith Davis, negli anni ’70, la cosiddetta “Iron law of responsibility”, secondo cui “un’azienda non può dirsi socialmente responsabile se si attiene ai minimi requisiti di legge: è quanto ogni buon cittadino dovrebbe fare”, sottolineando che “nel lungo periodo, chi non usa il proprio potere in un modo considerato responsabile dalla società lo perderà”. Negli anni ’80 fu Archie B. Carroll, docente all’Academy of Management dell’Università della Georgia, che descrisse la “piramide della Csr”, sottolineando come il business di un’azienda dovesse essere “economicamente profittevole, rispettoso delle leggi, etico e di supporto all’intera società. Quindi la CSR – spiegava Carroll – si compone di 4 parti: economica, legale, etica e volontaria o filantropica”. In tempi più recenti a definire i principi della corporate social responsibility è stata anche la Comunità europea, che nel 2001 l’ha descritta come “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Arrivando al giorno d’oggi, infine, nella Corporate Social Responsibility ha assunto un ruolo sempre più centrale il comportamento delle aziende nei confronti dei propri dipendenti, campo in cui le nuità di misura diventano anche il clima lavorativo all’interno dell’organizzazione, la parità di genere il rispetto delle diversità. Tutti aspetti che possono contribuire in modo decisivo alla reputazione di un’azienda e quindi al suo successo sul mercato.
Quali sono i benefici della corporate social responsibility
I primi benefici generati dalla corporate social responsibility sono quelli nei confronti dell’ambiente e delle persone, che si tratti di riduzione dell’impatto ambientale delle attività e dei processi o di rispetto dei diritti umani, ma ovviamente questa dinamica genera benefici diretti e indiretti anche sulla stessa azienda e sulle sue performance di business.
Per enumerare questi vantaggi si parte dal miglioramento della reputazione aziendale, un bene particolarmente prezioso per chi opera sul mercato, che sempre più spesso può tradursi in un vantaggio competitivo: i consumatori infatti sono sempre più portati a premiare chi adotta comportamenti etici nel business, verso i dipendenti e verso l’ambiente e la comunità. Un vantaggio che deriva direttamente dal miglioramento della reputazione è la fidelizzazione dei clienti, che sono naturalmente portati a premiare le società portatrici di valori in cui si riconoscono, e questo porta spesso a un aumento dei volumi di vendita.
Rispetto ai dipendenti, è inoltre naturale che per un’azienda impegnata in una solida strategia di corporate social responsibility sia più semplice trattenere i propri dipendenti ei propri talenti, che operano in un ambiente confortevole e di cui condividono i valori. Questo contribuirà ad avere meno costi nella formazione del personale necessaria dove il turnover è alto. Quanto ai mercati finanziari, è ormai dimostrato che gli investitori premiano le aziende più solide nel Csr, e sono portati a valorizzare chi è impegnato in attività responsabili e sostenibili. Quanto ai vantaggi per i dipendenti, questi si traducono essenzialmente in una maggiore attenzione alla salute e alla sicurezza in azienda, una maggiore possibilità di lavorare in gruppo con altri colleghi in un clima costruttivo: tutti elementi che si traducono in un miglioramento della produttività tramite un coinvolgimento sempre più attivo del personale, nel rispetto dei diritti dei singoli e in un miglior equilibrio tra la vita lavorativa e la vita privata.
CSR e ambiente, una via obbligatoria per le imprese
Che la tutela e il rispetto dell’ambiente siano al centro delle strategie di corporate social responsibility delle aziende lo dimostra il fatto che questi temi facciano ampiamente parte delle quattro motivazioni su cui sono normalmente fondate le attività di csr: l’obbligo morale, che implica il rispetto di valori etici e degli individui, delle comunità e dell’ambiente, per il raggiungimento del successo economico; la sostenibilità ambientale, nel rispetto della quale le aziende puntano a soddisfare i bisogni attuali preservando tuttavia le risorse affinché le generazioni future ne possano usufruire; la licenza a operare, che consiste nel consenso, tacito o esplicito, che ogni impresa deve ottenere da parte del governo, della comunità locale e degli altri stakeholder, per poter operare nel proprio business; la reputazione, cioè il ritorno sull’immagine, sul brand, sul morale, nonché sui titoli delle imprese, che implementano azioni secondo i criteri di Csr. D’altra parte le aziende che ottengono buoni risultati nel settore sociale o nel settore della protezione dell’ambiente testimoniano che tali attività possono avere come risultato migliori prestazioni e possono generare maggiori profitti e crescita.
Al proprio interno l’azienda può adottare politiche di Corporate social responsibility orientandole a gestire gli effetti sull’ambiente e delle risorse naturali, con riferimento alle risorse naturali direttamente utilizzate nella produzione, in modo da ridurre l’impatto ambientale di quest’ultima tramite. Questo attraverso la riduzione del consumo di risorse, di emissioni di inquinanti e di rifiuti, l’attenzione per l’impatto dei prodotti lungo tutto il loro ciclo di vita, l’adozione di sistemi di gestione ambientale e di audit certificabili da organismi accreditati e il miglioramento delle prestazioni ambientali lungo tutta la catena produttiva.
Guardando invece fuori dai confini aziendali l’organizzazione può agire nel campo della corporate social responsibility intervenendo sulle situazioni che riguardano problematiche ambientali che hanno ripercussioni planetarie, assumendo un comportamento socialmente responsabile non solo a livello domestico ma anche su scala internazionale. Questo può avvenire incoraggiando un miglioramento delle prestazioni ambientali lungo tutta la catena produttiva, ricorrendo agli strumenti europei e internazionali relativi alla tutela dell’ambiente, collegati alla gestione e ai prodotti, e investendo in Paesi terzi nel rispetto dello sviluppo sociale ed economico di questi ultimi.
Tutte queste attività possono essere raccolte nel bilancio ambientale o nel bilancio si sostenibilità che l’azienda potrebbe realizzare annualmente per dare conto ai propri stakeholder delle proprie azioni – nello specifico – per il rispetto dell’ambiente.
Il Bilancio Ambientale è un documento informativo che viene pubblicato volontariamente per rendere pubbliche le relazioni tra impresa e ambiente e rivelare effetti negativi e positivi delle attività sul territorio e sull’ambiente. Il Bilancio di Sostenibilità è più ampio e si suddivide in Bilancio Sociale e in Bilancio Ambientale: comprende le attività di pianificazione, gestione e rendicontazione dell’impresa sugli aspetti non solo economici, ma anche ambientali e sociali.
A che punto siamo in Italia
Gli ultimi dati disponibili sono quelli del IX Rapporto sull’impegno sociale delle aziende in Italia, ricerca promossa dall’Osservatorio Socialis e realizzata da Ixé. L’attenzione allo sviluppo sostenibile è – secondo lo studio – costantemente cresciuta negli ultimi 20 anni, con un investimento di 1,771 miliardi nel 2019 su progetti di Csr e Sostenibilità, il 25% in più rispetto al 2017, quando la cifra si fermava a 1,412 miliardi di euro. Ad investire in questo ambito nel 2019 sono state il 92% delle aziende con più di 80 dipendenti, contro l’85% del 2017. Si tratta di valori più che quadruplicati negli ultimi 18 anni, mentre i dati 2020 potrebbero registrare una frenata a causa dell’emergenza Covid19.
L’investimento medio in Csr delle aziende italiane nel 2019 è salito a 241mila euro rispetto ai 209mila euro del 2017, con un incremento del 15%. Il dato viene visto a ribasso nelle previsioni per il 2020, dove si prevede una diminuzione dell’investimento del 16%, posizionandosi ad una quota di 203mila euro. Ma al di là del dato previsionale, la Csr rimane solida e sempre più radicata nella cultura aziendale.
Le aziende che fanno attività di Csr si concentrano, come negli anni precedenti, soprattutto sulle iniziative interne all’azienda (66%), come quelle legate alla formazione del personale, in costante crescita, indicata dal 49% dalle imprese intervistate. Il 47% delle aziende promuove iniziative dedicate al territorio vicino alla sede dell’impresa, mentre solo l’8% dedica azioni rivolte ai paesi esteri, confermando la volontà delle aziende di migliorare il rapporto con territorio e le comunità di appartenenza.
I maggiori investimenti – secondo la ricerca dell’osservatorio Socialis – vengono dedicati ad azioni per diminuire l’impatto ambientale: il 42% delle aziende privilegia azioni di investimento nelle tecnologie innovative per limitare l’inquinamento e migliorare lo smaltimento dei rifiuti, mentre il 38% investe per migliorare il risparmio energetico.
Sfide e opportunità per il futuro della Csr
Per orientarsi in uno scenario globale caratterizzato dalla crisi climatica e dalle diseguaglianze sociali, le aziende dovranno saranno chiamate ad affrontare sfide inedite, ma potranno cogliere anche nuove opportunità per consolidare la propria reputazione e scoprire nuove vie per la crescita sostenibile e l’innovazione.
Tra le sfide emergenti c’è in primo piano la digitalizzazione, che ha vissuto un’accelerazione post-pandemia: in questo quadro la responsabilità digitale diventa parte integrante della corportate social responsibility, con una serie di aspetti in primo piano come la protezione dei dati, alla sicurezza informatica e l’etica dell’intelligenza artificiale.
Una seconda sfida, ma non in ordine di importanza, è quella dei cambiamenti climatici, che richiedono un impegno crescente nella riduzione delle emissioni di CO2 e nell’adozione di energie rinnovabili, sviluppando strategie di adattamento che potranno essere integrate nell’impegno Csr.
Un terzo aspetto da tenere in considerazione è quello delle diseguaglianza sociali, amplificate con l’uscita dalla pandemia: per ridurre disparità economiche e sociali le aziende possono fare molto in ambito Csr, ad esempio promuovendo l’inclusione e supportando lo sviluppo delle comunità locali.
A queste sfide sono naturalmente legate anche una serie di opportunità di crescita, a partire ad esempio dall’adozione di modelli di business basati sull’economia circolare, che consentirebbero da una parte di ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività e dall’altro di portare innovazione in azienda, riducendo tra l’altro in molti casi i costi operativi.
Una seconda opportunità è quella che deriverebbe dalla creazione di alleanze strategiche tra imprese, governi, Ong e comunità locali, ad esempio condividendo le best practice, sviluppando soluzioni innovative e accedendo a nuovi finanziamenti per progetti improntati alla sostenibilità.
Infine il coinvolgimento degli stakeholder, sia interni sia esterni, nelle attività aziendali di Csr: questo porterebbe al rafforzamento della fiducia e a un engagement più alto, grazie all’ascolto delle indicazioni che arrivano da dipendenti, clienti, fornitori e cittadini.