Analisi

Tassonomia Green UE: quale impatto su economia e finanza

La decisione della Commissione Europea di comprendere nella EU taxonomy for sustainable activities anche lo sviluppo di tecnologie legate a nucleare e gas naturale ha aperto un importante dibattito. L’analisi, con Luca Grassadonia, dell’impatto di questa scelta in termini finanziari e di decisioni economiche

Pubblicato il 04 Feb 2022

Luca Grassadonia, ESG Senior Consultant, P4I

Sino a poco tempo fa il dibattito sulle “tassonomie” legate a economia e tecnologia era un confronto da “addetti ai lavori” e solo in alcuni casi arrivava all’attenzione dell’opinione pubblica. La discussione che si è aperta in questo periodo, prima con la scelta della Commissione Europea sull’opportunità di valutare la possibilità di inserire le tecnologie per nucleare e gas naturale nella EU taxonomy for sustainable activities e poi per decidere (il 2 febbraio), di inserirle, ha contribuito ad alzare il livello di attenzione sul ruolo della tassonomia verde stessa e sull’impatto di determinate scelte sulla vita economica e finanziaria. Luca Grassadonia, ESG senior consultant in P4I ci aiuta a comprendere il contesto nel quale si colloca questa decisione, gli effetti e il loro “raggio d’azione”.

Proviamo a leggere questa decisione al netto delle implicazioni politiche ed economiche, qual è a tuo avviso il principio che sta alla base di questa scelta?

La volontà di privilegiare il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e di non precludere nessuna strada. Lo considero, per quanto riguarda le logiche che sottostanno alle decisioni in merito alle tassonomie, come una sorta di passaggio dall’adolescenza all’età adulta

Spieghiamolo meglio

Nel passato abbiamo vissuto una gestione delle “tassonomie” che poteva essere considerato “proibizionista”, adesso si passa a un approccio che è al contrario “legalizzatore”. La tassonomia non è più vista come sorta di lista di proscrizione al contrario, che esprime giudizi di valore, bensì come un invito oggettivo a valutare e misurare tutte le esternalità legate al fatto di utilizzare una determinata tecnologia al pari di quelle legate al fatto di non utilizzarla, cercando di portare queste scelte fuori dal “campo dell’ideologia”.

Quindi una scelta dettata dal pragmatismo?

La vera domanda riguarda i risultati di decarbonizzazione che si devono raggiungere. Ci diciamo costantemente che dobbiamo accelerare, occorre evitare di precludere delle strade, considerando anche altri due aspetti importanti. In prima battuta, non è affatto detto che un eventuale divieto (e in ogni caso non si tratta di questo) sia effettivamente seguito. Siamo costantemente circondati da esempi di obblighi anche molto importanti che non vengono rispettati. Pragmaticamente dunque meglio gestire per poter controllare. In seconda istanza, il tema è quello di subordinare determinate scelte alla capacità e alla necessità di misurare le esternalità nel tempo. Ciò che non è “buono” oggi non è detto che, in ragione ad esempio dell’innovazione tecnologica, non lo diventi domani.

Arriviamo all’impatto dal punto di vista finanziario. Cosa cambia con questa decisione?

Poco in realtà. Il rumore è sicuramente tanto, ma dal punto di vista dell’impatto sulle scelte di tipo finanziario il cambiamento è marginale.

Proviamo a fare un esempio: gli asset finanziari di aziende impegnate in attività legate al nucleare e al gas naturale possono essere incluse in fondi green. Diversamente questo non sarebbe avvenuto, corretto?

Sì, questo è vero, ma questo aspetto va letto sotto due prospettive: una è quella pragmatica, di cui sopra, ovvero se si vuole arrivare alla decarbonizzazione nel poco tempo che abbiamo a disposizione occorre valutare se queste tecnologie possono essere di aiuto. Un tema questo che impone poi una riflessione su cosa è o cosa non è green. Il secondo punto è legato all’impatto “quantitativo” in termini finanziari. In Europa, il numero di società quotate e il peso del capitale di rischio è tale da limitare gli effetti di questa inclusione. Nel nostro continente, al contrario, potrebbe avere maggior rilevanza una scelta legata alle politiche di credito delle banche.

Non c’è dunque un rapporto di relazione diretta tra presenza di una determinata tecnologia nella tassonomia e decisioni finanziarie?

Diciamo che ad oggi non è rilevante, ma diciamo anche che questa scelta potrebbe avere un peso molto ben diverso se questi vincoli riguardassero appunto il mondo del credito bancario. Innanzitutto, per l’importanza delle banche a livello europeo e per il fatto che a certe condizioni la tassonomia potrebbe effettivamente influenzare scelte finanziarie

Cosa cambia nel caso delle banche?

Ci sono attori che chiedono al regolatore di “agganciare la tassonomia” a modelli che permettano una riduzione dei coefficienti allocazione dei capitali nella gestione del credito. Laddove questa tipo di richiesta dovesse essere presa in considerazione – e oggi non siamo in quella situazione – allora la presenza o meno all’interno della tassonomia avrebbe un peso rilevante in quanto si configurerebbe in un vantaggio per l’ente che eroga il credito. In questo scenario le banche dovrebbero inserire nei loro modelli di allocazione del credito le indicazioni provenienti dalla tassonomia come parte del “punteggio” da assegnare ai meriti di credito stessi. Considerando appunto il ruolo delle banche in Europa questo scenario avrebbe una importanza molto rilevante.

In conclusione, che scenario si prospetta con questa decisione?

A mio avviso positivo, non tanto per i giudizi di merito o di valore sulle tecnologie, ma per il passaggio da un approccio regolatorio a un approccio pragmatico dove appunto si vanno a misurare le esternalità delle attività e sulla base di queste esternalità si forniscono delle indicazioni. Tra 10 mesi o tra 10 anni la fotografia in “soggettiva” che scattiamo oggi è destinata a cambiare. In concreto, se dobbiamo tenere le emissioni sotto controllo e questo è un rischio e un obiettivo molto chiaro, allora non dobbiamo precludere nessuna strada allo sviluppo tecnologico.

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