Un compromesso che rischia di indebolire la reale efficacia della CSRD, ma che consente a questa legislatura del Parlamento Europeo di aggiungere un tassello fondamentale, (appunto quello degli standard per la rendicontazione di sostenibilità), al grande progetto del Green Deal.
L’approvazione dell’Atto Delegato relativo all’ESRS European Sustainability Reporting Standard è stato salutato come un passo in avanti nel percorso per disporre di standard chiari e condivisi in merito al grande tema della rendicontazione di sostenibilità. Un passo in avanti, tuttavia, che è assai più modesto rispetto alle premesse dalle quali è partito tutto questo processo.
Per comprendere la valenza di questo passaggio e per iniziare a valutare le possibili prospettive abbiamo raccolta la valutazione di Sergio Fumagalli, Team leader sostenibilità di P4I e di Luca Grassadonia, ESG Senior Consultant, P4I.
Dall’EFRAG alla Commissione Europea: cosa è cambiato
C’è stato indubbiamente un importante lavoro di “alleggerimento“. Sergio Fumagalli rileva subito che il draft che è arrivato dall’EFRAG alla Commissione Europea a novembre 2022 (analizzato sempre da Sergio Fumagalli in questo sevizio: Lo Standard ESRS approvato da EFRAG: quali prospettive n.d.r.) e anche quello rivisto dopo le consultazione realizzate da EFRAG, sul quale sono partite le consultazioni con i rappresentanti degli Stati, erano testi assai più ambiziosi dell’Atto Delegato che è stato approvato. “Non si può non rilevare – osserva inoltre – che sono diminuiti i temi di rendicontazione obbligatoria e per quelli non obbligatori si è rimandato a un ruolo, certamente molto importante, dell’Analisi di Rilevanza che si configura come l’evoluzione dell’Analisi di Materialità”.
“La questione delicata – osserva Grassadonia – riguarda il fatto che tanti temi, tra cui anche, ad esempio i dati ambientali, perdendo il vincolo dell’obbligatorietà vengono comunicati solo se l’azienda li valuta come rilevanti. Una comunicazione questa che si può anche limitare a una semplice affermazione, ovvero semplicemente se sono o non sono rilevanti.
A questo proposito Fumagalli osserva che diventa decisivo il processo dell’Analisi di Rilevanza ovvero la metodica di valutazione che porta un’azienda a valutare un dato se o meno rilevante.
Su questo aspetto può essere utile rileggere questa parte del testo dell’Atto Delegato: … “Gli obblighi di informativa soggetti al criterio della rilevanza non sono tuttavia facoltativi. Le informazioni in questione devono essere comunicate se sono rilevanti e il processo di valutazione della rilevanza dell’impresa è soggetto a un processo esterno di attestazione della conformità in ottemperanza alle disposizioni della CSRD“.
Il ruolo centrale dell’Analisi di Rilevanza e della società di Revisione
“Tradotto in pratica – interviene Grassadonia -, si tratta di un approccio che pone al centro l’Analisi di Rilevanza unitamente al ruolo del Revisore come soggetto terzo chiamato a esercitare questo controllo”.
E si tratta di un ruolo “estremamente delicato” e certamente non facile in quanto dovrà esprimersi in merito alla “qualità” del lavoro che ha portato alla realizzazione dell’Analisi di Rilevanza”. In termini molto essenziali bisognerà capire quale sarà il compito affidato al Revisore: se sarà di valutare se l’Analisi di Materialità (adesso di Rilevanza) è fatta bene o male o se la valutazione richiesta riguarderà innanzitutto la qualità del processo che ha portato alla sua realizzazione.
Tornando al percorso che ha portato a questa versione degli ESRS Fumagalli nota che certamente le parti coinvolte nelle consultazioni hanno avuto un peso importante, così come ha senza dubbio influito l’esito della spaccatura che qualche settimana fa aveva portato a una approvazione sofferta della Legge sul Ripristino della Natura.
Una spaccatura sul piano politico che aveva segnato per la prima volta una divisione politica e, in prospettiva, elettorale, come molti commentatori hanno sottolineato, all’interno della cosiddetta maggioranza Von Del Leyen, con il PPE che ha perso di fatto la sua compattezza votando in parte con la sinistra per approvare il Nature Restauration Law e votando invece in parte contro, seguendo il proprio Presidente, sulle cui posizioni si erano ritrovate le forze di destra.
“Il grande tema – continua Fumagalli – riguarda il fatto che questa legislatura ha ancora pochi mesi prima delle elezioni e davanti alla scelta tra il rischio di non veder approvato questo atto delegato così importante per il Green Deal o di vederlo trasformato, insieme alla strategia per l’automotive Fit for 55, al ripristino ambientale, al rinnovo del patrimonio edilizio abitativo, in una bandiera al centro dello scontro elettorale imminente, la Commissione ha scelto di percorrere una strada per una approvazione un po’ “alleggerita”. Una scelta che, sempre sul piano politico, sembrerebbe consentire alla maggioranza di ridurre l’esposizione alle critiche più pesanti dell’opposizione in merito a tutto l’impianto che sta alla base della transizione sostenibile UE. Critiche secondo le quali questo impegno sulla transizione energetica ed ecologica rischia di compromettere la competitività delle imprese europee a fronte di imprese di altri paesi dove la rendicontazione di sostenibilità è decisamente meno rigorosa, penalizzando interi settori economici e il relativo bacino occupazionale.
Il rischio di perdere la leadership sui temi della trasformazione sostenibile
“Il prezzo di questa scelta – nell’analisi di Grassadonia – è che l’Europa rischia di perdere il ruolo di guida di questa transizione che si stava costruendo con tanti passaggi e tante scelte coraggiose. Personalmente – prosegue – preferivo la versione originale che evidentemente non è stata ben compresa, anche per quanto riguarda le misure pensate per garantire una certa forma di flessibilità alle imprese”.
Grassadonia sottolinea che un punto di debolezza andrebbe rilevato nel modo in cui si è arrivati a questo impianto. Una modalità pensata per arrivare a una struttura ESRS di alto valore, ma in un tempo decisamente limitato. In grande sintesi: “nelle macrosezioni dell’impianto si collocano i vari temi – spiega Grassadonia – e, nell’ambito dei temi, si arriva poi ai KPI che, nella prima versione, potevano essere considerati come una sorte di collezione di best practices raffinatissime, preparate da rappresentanti del mondo accademico. Fermo restando il ruolo fondamentale dell’analisi di materialità, per determinare se un tema era rilevante – prosegue – quella versione del draft ESRS sosteneva che lo standard doveva riportare tutti i KPI relativi a un determinato tema e prevedeva dunque un lavoro molto importante e oneroso. Nello stesso tempo però, quella versione prevedeva anche una sorta di clausola di salvaguardia in base alla quale il compilatore poteva espungere alcuni KPI da quelli richiesti. In questo scenario si sarebbe raggiunto un compromesso tra un onere certamente impegnativo in termini di raccolta e gestione di informazioni, garantendo comunque alle imprese la possibilità di “calibrare” questo impegno”.
Il lavoro svolto su questo primo draft è stato particolarmente acceso. Questa impostazione ha incontrato molte proteste da parte di attori che richiamavano la necessità di una posizione di maggior rigore. Un atteggiamento, per fare un esempio, volto ad affermare che se il cambiamento climatico è rilevante, allora per il cambiamento climatico si devono “compilare” tutti i KPI. Una reazione che ha dunque spinto per rendere obbligatori alcuni temi e la gestione dei KPI.
A questo atteggiamento ne è seguito uno che è stato nello stesso tempo uguale e contrario. “C’è stata la reazione – prosegue Grassadonia – di chi considerava troppo “opprimenti” queste misure e troppo onerose le attività per espletarle e si è arrivati appunto a un compromesso che di fatto sposta l’impegno dell’azienda sul processo di valutazione della rilevanza dei temi lasciando di fatto un ampio margine di discrezionalità”.
Un ampio margine di discrezionalità
Una discrezionalità quella che si viene a creare il cui controllo è poi in capo al revisore e che attiene, come già citato, alla valutazione del metodo che ha portato all’Analisi di Rilevanza. Fumagalli riprende un’altra citazione dell’Atto Delegato nella quale si dice che: “… i principi specificano inoltre che: – se un’impresa conclude che i cambiamenti climatici non sono un tema rilevante e che pertanto non comunica informazioni in conformità di tale principio, essa fornisce una spiegazione dettagliata delle conclusioni della sua valutazione della rilevanza per quanto riguarda i cambiamenti climatici. Questa disposizione rientra nel riconoscimento degli effetti diffusi e sistemici dei cambiamenti climatici sull’economia nel suo complesso…”
“Appare evidente – conclude Fumagalli – che la struttura è più debole, meno tassativa e lo stesso ruolo dell’auditor dovrà necessariamente essere oggetto di attente riflessioni perché “un conto è verificare se l’entità delle emissioni rendicontate corrisponde a un certo valore” e “un conto è verificare una valutazione di contesto e di mercato e magari di tecnologie che porta a sostenere che le emissioni sono o non sono rilevanti”. Un possibile aiuto (ma non è da considerare come uno strumento di compliance) potrebbe arrivare con le annunciate linee guida di EFRAG su come valutare la rilevanza, un documento che avrà solo un valore informativo e di riferimento ma non potrà essere ignorato né dalle imprese né dai revisori”.