catene di fornitura

La valutazione dei fornitori tra evoluzioni e perturbazioni delle supply chain



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“L’evoluzione delle supply chain: benvenuti in perturbationland!”: con questo approccio inizia un ciclo di servizi che analizzano la trasformazione dei mercati, delle catene di fornitura, dei nuovi rischi e che offrono una visione concreta delle soluzioni, delle tecnologie e del digitale per le imprese

Pubblicato il 28 mag 2024

Sergio Fumagalli

Senior Partner P4I, Team leader sostenibilità

Marco Perona

Professore Ordinario dell’Università degli Studi di Brescia, Direttore Scientifico del Laboratorio RISE e Senior Partner di IQ Consulting



la valutazione dei fornitori nelle supply chain

Inizia con “La valutazione dei fornitori tra evoluzioni e perturbazioni delle supply chain” un ciclo di servizi espressamente dedicati alle esigenze, alle criticità, alle opportunità che sono connesse alla valutazione dei fornitori nelle imprese manifatturiere (e non solo…) con una attenzione speciale agli strumenti e alle competenze necessari per gestire i rischi e per garantire lo sviluppo.

Catene del valore in costante evoluzione

A chi da decenni studia le dinamiche attraverso cui si formano e si aggregano le catene del valore, sono evidenti una serie di modificazioni strutturali sempre più marcate e rapide, che hanno caratterizzato l’evoluzione delle supply chain negli ultimi decenni, ben prima del dirompente effetto della pandemia e di quello successivo dei conflitti internazionali.

Alcuni di questi effetti sono endogeni, ossia corrispondono a trasformazioni avvenute dal di dentro. Altri invece sono fenomeni esogeni legati all’ambiente circostante, che però hanno impresso alle supply chain modificazioni rilevanti e forse permanenti.

I temi legati alla gestione dei rischi agli strumenti tecnologici e alle metodologie innovative per valutare i fornitori saranno al centro del convegno “Supply Chain: Affidabile, Responsabile, Sostenibile” che si terrà il prossimo 11 giugno a Milano presso gli spazi del centro Copernico 38

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Il più antico tra i fenomeni da osservare e considerare è quello della de-verticalizzazione, nato più di venti anni fa, quando nel settore automotive in particolare ci si accorse che si possono progettare molti modelli, anche apparentemente diversi, impiegando il medesimo pianale, propulsore e power-train, attraverso una sapiente revisione estetica dei soli componenti a vista del cliente.

Il ridisegno in ottica modulare delle gamme prodotto, ispirato dalla logica delle “piattaforme” ha progressivamente consentito di rivedere le reti di fornitura e con esse il confine tra produzione interna e fornitura. Ciò ha consentito in molti settori una spettacolare riduzione della complessità di fornitura, passando da molte centinaia di fornitori che forniscono alcune migliaia di componenti, ad alcune decine di fornitori di primo livello, ciascuno dei quali si fa carico di una sotto-rete di qualche decina di fornitori “second-tier” fornendo poche centinaia di sottogruppi modulari, e così via. Questo fenomeno si è trasmesso ad altri settori, contagiando la produzione di altri beni durevoli di consumo, ed anche qualche produzione di beni strumentali.

Quanto questo fenomeno si sia spinto all’estremo è facilmente visibile nel grafico di figura 1, che esprime la proporzione economica assunta degli acquisti di materiali e servizi diretti rispetto al fatturato delle imprese italiane in diversi settori ATECO del comparto manifatturiero: come si vede, la media si attesta intorno al 70%.

Il fenomeno della globalizzazione

Il fenomeno di gran lunga più visibile e dirompente è invece stato quello della globalizzazione. Spinte dalla ricerca di nuovi mercati così come dall’esigenza di ottenere vantaggi competitivi (non solo, ma soprattutto, di costo) le imprese hanno progressivamente sviluppato le proprie attività di fornitura, produzione e vendita a livello sempre più planetario. Ma globalizzare non ha voluto solo dire cercare i fornitori più convenienti su scala mondiale anziché locale o nazionale, oppure aprire fabbriche in aree a basso costo della manodopera. Ha soprattutto significato terminare una fase di confortante “torpore” geografico, per entrare in un periodo enormemente più dinamico, in cui alla fase del cosiddetto offshoring, è seguito un altrettanto rapido fenomeno di nextshoring, reshoring, o addirittura backshoring. E in questa direzione la nouvelle vague è quella del cosiddetto “friendshoring”. Storditi da tanti termini anglosassoni? Riprendetevi…

Il ruolo del “Lean”

Un’altra linea evolutiva su cui molte imprese manifatturiere hanno lavorato moltissimo è nata in Giappone negli anni ’80 presso la Toyota, ed è diventata di dominio pubblico con il famoso libro “The machine that changed the world” attraverso cui Womack e Jones fin dal 1991 hanno illustrato ai produttori occidentali la filosofia e le tecniche lean impiegate con successo dalla nota Casa Automobilistica e da altre aziende giapponesi. L’applicazione massiccia e su scala planetaria del Lean Thinking (anche se ha assunto nomi diversi in aziende diverse, quali: world class manufacturing, oppure just-in-time) ha progressivamente portato a catene del valore snelle, veloci, ed a “flusso teso”, quindi con pochissimi stock.

Un altro effetto dell’applicazione della filosofia lean è stato quello di privilegiare le partnership di fornitura rispetto alle relazioni di mercato, ossia di passare dal multiple-sourcing in cui si tengono attivi per ciascun bene approvvigionato diversi fornitori posti in concorrenza tra di loro al single sourcing che invece suggerisce di sviluppare collaborazioni di lunga durata con un solo fornitore per ogni categoria merceologica di beni approvvigionati, il migliore.

Figura 1 – impatto degli acquisti diretti nelle catene del valore di diversi settori manifatturieri
(fonte: database AIDA)

Verso un mercato che chiede più varietà e personalizzazione

Nel frattempo, si stava progressivamente realizzando una trasformazione epocale dei mercati: i clienti, sempre meno soddisfatti dal massificante Taylorismo industriale e della conseguente standardizzazione dei prodotti, hanno iniziato a richiedere sempre maggiore varietà e personalizzazione. Il fenomeno derivante fu descritto per la prima volta da Chris Anderson nel 2004 come “La coda lunga”. Semplificando, Anderson si accorse che l’analisi di Pareto, da sempre fedele amica del logistico, cominciava a perdere di rilevanza, tanto in quanto i prodotti speciali, particolari, specifici, di nicchia continuavano ad aumentare di rilevanza rispetto a quelli “standard”. Non necessariamente in quanto acquisivano volumi, ma soprattutto perchè aumentava sempre più la varietà dei prodotti e l’ampiezza delle gamme d’offerta, e con essa la marginalità dei prodotti speciali, accessoriati o particolari, mentre la marginalità degli articoli standard declinava fino a raggiungere valori pressoché nulli.

Operare in un ambito competitivo dominato dal fenomeno della coda lunga vuole dire non solo offrire una gamma prodotti sempre più ampia e diversificata, ma anche doverla continuamente modificare nel tempo, sviluppando processi di innovazione sempre più rapidi, snelli ed efficaci, risultati questi frequentemente ottenuti – tra l’altro – applicando il Lean Thinking anche al processo di sviluppo del nuovo prodotto e facendo leva tramite la modularizzazione della gamma produttiva e la conseguente deverticalizzazione sui fornitori di primo livello con processi collaborativi che vennero denominati “codesign”.

Appare chiaro ora il filo rosso che congiunge in un continuum coerente ed organico tutte le diverse innovazioni che si sono succedute ed affermate dagli anni ’90 e fino ad oggi, in un trentennio densissimo di sviluppi.

Il combinato disposto di queste trasformazioni endogene ha portato ad ottenere vantaggi immensi, riducendo i costi di approvvigionamento e produzione, ampliando le gamme dei prodotti posti in vendita, accorciando i tempi di fornitura, e riducendo gli stock. E l’effetto netto di questi fenomeni negli ultimi decenni è evidente guardando l’enorme sviluppo del commercio mondiale, cresciuto dal circa 25% del prodotto interno lordo del pianeta all’inizio degli anni ’70 al 60% verso la fine degli anni 2010 (figura 2).

Figura 2 – il commercio mondiale in percentuale del GDP planetario (Fonte: The Economist)

Gli effetti di crescenti perturbazioni e nuovi rischi

Tutto bene, quindi… per lo meno finché sul mare del mondo, che per decenni aveva vissuto della calma piatta assicurata dalla Pax Americana, non hanno cominciato a soffiare venti sempre più forti, portatori di crescenti perturbazioni. A ben guardare, l’intero primo ventennio del ventunesimo secolo è stato ricco di brezze, venticelli, raffiche e persino di tormente sia locali sia globali, come testimonia il rallentamento del commercio internazionale evidenziato dopo il 2010 in figura 2, che ha portato qualche buontempone a parlare di “slowbalisation”.

Dalle torri gemelle all’eruzione di un vulcano islandese, dalla crisi finanziaria universalmente nota come “Lehman Brothers” allo tsunami di Fukushima, e dalle terre costantemente bollenti del Medio Oriente alle imprudenze di Putin in Crimea, senza dimenticare le guerre commerciali tra USA e Cina legate al gigante Huawey. Ma non è tutto, perché non ci dobbiamo dimenticare dei tanti “hype” tecnologici dei quali siamo stati recentemente testimoni: dalla famosa presentazione dell’iPhone da parte di Steve Jobs nel 2007, che ha aperto la strada alla rivoluzione mobile, alla crescita spettacolare dei sensori internet-of-things, dalla stampa 3d all’industria 4.0, dall’economia circolare alla platform economy ed alla sharing economy, e via evolvendo. Ciascuna di queste rivoluzioni tecnologiche ha portato con sé nuovi gadget più o meno utili, ma soprattutto ha abilitato nuovi modelli di business che hanno cambiato, forse per sempre, lo scenario competitivo, ma anche le abitudini di vita ed i consumi.

E l’evoluzione è in marcia sempre più veloce: osserviamo ad esempio come sta cambiando in maniera radicale il settore dell’automobile, dove si stanno affermando contemporaneamente i veicoli a guida autonoma e l’elettrificazione della trazione. E se vogliamo completare il quadro delle perturbazioni in atto su scala planetaria, non ci dobbiamo neppure dimenticare della crescente bolletta che -purtroppo- ci viene imposta dai disastri naturali legati al climate change (figura 3).

Figura 3 – a sinistra, aumento previsto della frequenza dei disastri naturali (Fonte: STATISTA). A destra aumento dei costi dei disastri naturali negli USA (Fonte: STATISTA)

Una maggiore fragilità democratica

Venendo agli ultimi 4-5 anni non ci possiamo dimenticare ovviamente delle perturbazioni estreme legate alla pandemia da COVID-19, ed alla crescente radicalizzazione delle relazioni geo-politiche mondiali, con il conseguente scoppio di numerosi conflitti anche armati di rilevanza locale (es: blocco del Mar Rosso e del Canale di Suez) e globale (es: conflitto Russo-Ucraino).

Tutto questo è credibilmente figlio di una endemica (e crescente) fragilità dei regimi politici democratici del globo, come illustrato in figura 4, e dal contemporaneo affermarsi di regimi più o meno autoritari, ansiosi di affermarsi non solo a casa propria.

Figura 4 – percentuale della popolazione mondiale che vive in un regime democratico
(Fonte: STATISTA)

Dobbiamo quindi concludere che siamo entrati in un periodo di continua e diremmo quasi violenta evoluzione e cambiamento, per fenomeni in parte esogeni (clima, eventi naturali, fattori geo-politici, etc.) ed in parte endogeni (evoluzione tecnologica, cambiamento degli stili di vita, evoluzione dei consumi, etc.).

Quindi: perché valutare i fornitori?

Abbiamo visto come la de-verticalizzazione dei processi produttivi abbia portato la rete dei fornitori e dei partner produttivi a “pesare” in media per circa il 70% nella generazione di valore delle imprese manifatturiere Italiane, con punte superiori al 80% in alcuni settori di processo come quello del tabacco, chimico ed alimentare. Questo effetto però non è frutto solo del fenomeno strutturale della de-verticalizzazione, fa riferimento anche all’aumento congiunturale del prezzo di moltissime materie prime, conseguente alla pandemia, agli eventi bellici ed alla crescita dell’inflazione (figura 5).

L’elevatissimo contributo offerto in media dai fornitori nella generazione di valore delle imprese di praticamente tutti i settori già da solo costituisce un potente argomento a favore di un crescente controllo e di una costante verifica sulla effettiva capacità delle reti di fornitura di contribuire alla generazione di valore.

Figura 5: aumento dei prezzi di alcune materie prime durante la pandemia (sinistra) e crescita dell’inflazione globale (destra). Fonte: STATISTA

Un secondo argomento, non meno rilevante, è costituito dal fatto che il crescente dinamismo dello scenario internazionale, legato, come si diceva, alla globalizzazione, ma anche al fenomeno della coda lunga e dell’accelerazione dei processi innovativi rende sempre più difficile prevedere ed anticipare il futuro. Se non riesco a prevedere efficacemente gli scenari futuri, mi devo dotare di una grande capacità di assorbire gli shock esterni oppure di reagire ad essi.

Occorrerebbe quindi che le catene del valore possedessero almeno una delle seguenti caratteristiche: dovrebbero essere riconfigurabili (sia dal punto di vista fisico sia gestionale) in “tempo reale”, oppure, quanto meno, dovrebbero disporre di opportuni cuscinetti costituiti da scorte capaci di assorbire le perturbazioni esterne. Tuttavia, la dispersione geografica dettata dalla globalizzazione, combinata con l’allungamento delle catene del valore, legato alla sopra descritta de-verticalizzazione, rende (al contrario) l’adattamento molto più lento. Inoltre, anche l’effetto ammortizzante delle scorte viene meno quando esse vengono eliminate, minimizzate, o quanto meno spostate più a monte possibile nella filiera, assecondando il pensiero snello. Per questo motivo tenere sotto stretto controllo le prestazioni dei fornitori assume una crescente importanza nello scenario complessivo non solo per consolidare la capacità delle imprese di generare valore per i propri clienti, ma anche per mantenere il più stabile possibile la continuità del processo primario delle diverse supply chain in uno scenario in continuo cambiamento.

Un terzo motivo che spinge sempre più le imprese a controllare attentamente le proprie reti di fornitura è legato al fatto che, in molti Paesi, soprattutto nelle aree più sviluppate del mondo, i clienti richiedono ai propri fornitori un crescente livello di attenzione su aspetti tradizionalmente ritenuti “accessori”, ma che stanno progressivamente assumendo una crescente rilevanza (soprattutto, ma non solo nel cosiddetto “primo mondo”) tra cui ad esempio: l’impatto ambientale dei prodotti e dei processi di trasformazione, la sicurezza ed il benessere dei lavoratori, la parità di genere e l’inclusività, i principi etici a cui si uniforma la governance e la gestione dell’impresa, il rispetto della privacy nella gestione dei dati sensibili, eccetera. Per garantire i clienti sulla capacità delle imprese di rispettare questi standard ambientali, sociali e di governance aziendale sono nate molte norme volontarie di certificazione a livello sia globale, sia settoriale. E per rendere le cose ancora più difficili, alcuni governi ed organi sovranazionali (come -ad esempio- l’Unione Europea) sommano alle richieste dei clienti ed alle prescrizioni degli enti di certificazione, dei veri e propri vincoli legislativi cogenti in molti di questi ambiti, implicando ad esempio che ogni produttore debba garantire i propri clienti a valle (siano essi singoli consumatori oppure altre aziende) in riferimento non solo alle proprie scelte ma anche in relazione a quelle della propria rete di fornitura.

A rendere ancora più rilevanti le motivazioni qui sopra descritte e quindi ancora più importante il controllo delle reti di fornitura, va anche la constatazione che molte aziende Italiane anche di medio-grande dimensione scelgono a tutt’oggi di investire su reti di fornitura territoriali (i famosi distretti produttivi italiani) basate per lo più su aziende medio-piccole, frequentemente di tipo artigianale, inquadrate talvolta come società di persone (Figura 6)

Figura 6: sinistra: localizzazione media della rete di fornitura delle imprese manifatturiere Italiane; destra: ripartizione dimensionale media dei fornitori delle imprese manifatturiere italiane
(fonte: ricerca Laboratorio RISE)

Una scelta di questo tipo, pur creando indubbi vantaggi di tipo territoriale, rende ancora più urgente e critico questo cambiamento: infatti, più sono piccole le imprese fornitrici e maggiore è la loro esposizione alle perturbazioni esogene, così come minore è la loro capacità (professionale, culturale e finanziaria) di farsi autonomamente carico di un onere di compliance che non è trascurabile neppure per le grandi organizzazioni. Affrontarlo in una logica di filiera è quindi un modo per evitare che l’incapacità di adattarsi a norme e standard sempre più complesse porti le PMI ad essere marginalizzate, anche quando l’eccellenza produttiva fosse assolutamente fuori discussione.

Quindi, in sintesi, di pari passo con la crescente complessità endogena ed esogena delle catene di fornitura internazionali, ed in un quadro in cui molte anche grandi imprese Italiane continuano ad attingere le forniture dal vivaio dei propri territori, cresce l’esigenza di controllare con attenzione le proprie reti di fornitura per:

  • garantire e verificare la capacità da parte dei fornitori di supportare adeguatamente il processo primario di generazione del valore
  • sviluppare un’azione di “messa in sicurezza” rispetto alle crescenti perturbazioni ambientali ed alla sempre minore facilità di prevederle
  • infine, assicurarsi che la propria rete di fornitura ottemperi compiutamente agli obblighi ed agli adempimenti implicati dagli standard, dalle regole e dalle leggi in vigore

Il modo “tradizionale” di valutare i fornitori e perché non funziona (più)

Molte aziende, soprattutto quelle di maggiori dimensioni, percependo l’esigenza di valutare i propri fornitori, si sono dotate di una procedura frequentemente denominata “Vendor Rating System” (VRS), sviluppata in maniera più o meno formalizzata e supportata da applicativi più o meno strutturati, integrati ed automatizzati.

Nella maggior parte dei casi queste procedure si focalizzano (più o meno) su tre aspetti caratteristici dell’azione dei fornitori, e cioè:

  • il livello di servizio logistico assicurato a valle, ovvero la loro capacità di fornire quanto richiesto, quando richiesto e come richiesto, e
  • la conformità delle forniture all’ordine, ossia l’abilità di fornire in maniera ripetibile materiali, prodotti e servizi in linea con le specifiche richieste dai clienti
  • le condizioni commerciali della fornitura, tra cui in particolare i prezzi praticati, il loro “inflazionamento” e cioè l’aumento nel tempo, e le condizioni temporali di pagamento accordate

Mentre le 3 aree commerciale, logistica e della conformità sono largamente le più frequentate dai diversi VRS implementati nelle aziende, possono cambiare anche molto i singoli indicatori impiegati. Ad esempio, in ambito logistico vi è chi pone più l’accento sul tempo impiegato per consegnare e la sua ripetibilità e chi invece è più attento ai ritardi di consegna; ed alcune aziende misurano la conformità solo sulla base dei casi gravi che implicano di rendere i materiali consegnati al fornitore, mentre altre considerano anche le non conformità più lievi, tali ad esempio da richiedere solo una segnalazione o una richiesta di sconto al fornitore.

Capita frequentemente che i dati e le metriche relative a queste 3 aree siano raccolte da Direzioni diverse, secondo la consolidata logica della gestione “a silos”: ad esempio, la Direzione acquisti è più attenta alla parte commerciale, mentre i dati logistici vengono raccolti dalla Direzione Logistica (oppure Operations, o Supply Chain, a seconda di come vengono chiamate nelle varie aziende) ed infine è la Direzione Qualità che si occupa di raccogliere ed analizzare i dati sulla (non) conformità inbound. In questo modo, possono facilmente emergere valutazioni anche molto difformi da parte delle diverse Direzioni sul medesimo fornitore, che ovviamente non facilitano la decisionalità. In sintesi, siccome è difficile che uno specifico fornitore sia eccellente oppure scadente in tutto ciò che fa, la logica a silos impedisce di raggiungere una visione sintetica e chiara sulla valutazione dei fornitori.

In ogni caso, monitorare gli aspetti commerciali, logistici e di conformità, soprattutto se si riesce a raggiungere una visione sintetica su questi aspetti, è molto utile per sviluppare una valutazione sulla capacità del singolo fornitore di contribuire alla generazione di valore all’interno del processo primario, che, come ricordiamo, è la prima delle motivazioni per valutare i fornitori. In altre parole, il VRS tradizionale è perfettamente coerente con una gestione dei processi operativi aziendali tradizionalmente orientata alla ricerca di un ottimo bilanciamento tra l’efficacia (e cioè, avere fornitore tempestive, puntuali e conformi) e l’efficienza (e cioè il costo complessivo delle relazioni di fornitura).

Il passaggio da una visione parziale a una visione strategica

A ben vedere però questi soli 3 aspetti ci restituiscono una visione parziale e di medio-breve termine: ad esempio non ci dicono molto sulla capacità del fornitore di supportare nel tempo i nostri processi innovativi. Inoltre, le sole metriche commerciali, logistiche e di conformità, qualsiasi esse siano, non ci dicono nulla né sulla capacità del fornitore di mantenere stabili nel tempo le forniture, né tantomeno sulla sua predisposizione ad essere compliant rispetto agli standard, alle normative ed alle leggi vigenti nei settori e nei mercati di interesse e quindi non si risponde alle altre due motivazioni che sono state sopra espresse.

Secondo una visione più attuale, alla tradizionale curva di bilanciamento tra efficienza ed efficacia, dovrà fatalmente essere aggiunta una nuova dimensione: quella del rischio. Ad esempio, quando sceglieremo dove rifornirci di un determinato materiale, dovremo considerare non solo il prezzo praticato, le prestazioni logistiche assicurate e la qualità dell’articolo acquistato, ma saremo tenuti sempre più ad interessarci anche della stabilità economico-finanziaria del fornitore; della sua capacità di conoscere, rispettare ed adeguarsi alla normativa vigente nei diversi Paesi in cui si opera (compliance), della stabilità socio-politica del Paese in cui opera, delle eventuali problematiche ambientali e naturali dei territori in cui realizza la produzione, delle capacità innovative dell’azienda fornitrice, etc.

Spingendo ancora più avanti il ragionamento, potremmo anzi dire che il raggiungimento degli obiettivi commerciali, logistici e di conformità potrebbe spesso essere in diretto conflitto con quelli di bassa esposizione al rischio di interruzione del processo primario e di compliance agli standard, alle norme ed alle leggi vigenti. In altre parole, il fornitore più bravo nel darci consegne sempre puntuali, di materiali perfettamente conformi alle specifiche ad un prezzo competitivo e con termini di pagamento accattivanti, proprio per questi motivi potrebbe avere invece condizioni finanziariamente poco stabili, e quindi una elevata esposizione al default finanziario alla prima perturbazione significativa. Oppure, potrebbe essere una PMI localizzata in un Paese in via di sviluppo, che quindi gode di un costo del lavoro molto basso e di un impianto normativo poco cogente, e quindi proprio per questi motivi potrebbe non essere in grado di assicurarci l’aderenza a quegli standard ambientali, sociali o di governance che vengono invece richiesti dai clienti internazionali.

L’evoluzione dei rischi che impattano sulle catene di fornitura

Ad onor del vero, la necessità di considerare i rischi non è una novità nella gestione delle catene di fornitura: quello che invece è cambiato sono i rischi da considerare. Ad esempio, la de-verticalizzazione comporta una crescente necessità di integrazione della catena di fornitura che l’evoluzione tecnologica ha progressivamente facilitato. I confini dell’azienda e della fabbrica si sono quindi estesi a includere i fornitori e i fornitori dei fornitori. In altre parole, si passa dal concetto di “azienda” al concetto di “catena del valore”, o di “supply chain”. O forse sarebbe più semplice dire che dai “confini fisici” siamo passati a dei “confini logici”, smaterializzati: non più i cancelli aziendali, ma le configurazioni ed i confini degli strumenti digitali utilizzati: reti, applicazioni, cloud, dispositivi mobili. Ecco che la sicurezza di questo complesso di tecnologie, ragioni sociali, persone, procedure e ruoli diventa un nuovo criterio di selezione dei fornitori e dei sub-fornitori, cioè diventa in pratica: clausole contrattuali, controlli, piani di miglioramento, monitoraggio continuo. Una violazione di sicurezza in un punto qualsiasi mette a rischio la credibilità e la capacità operativa dell’intera rete. Si potrebbero fare altri esempi, sulla protezione dei dati personali, sulla gestione dei rifiuti industriali, sulla sicurezza del lavoro ma la sostanza del ragionamento è che sempre più i rischi da considerare nello scegliere e gestire un fornitore riguardano aspetti solo indirettamente collegati all’oggetto primario della fornitura.

D’altra parte, la corretta considerazione di questi rischi non può essere sviluppata a detrimento della funzione primaria della fornitura: un fornitore all’avanguardia nella sicurezza informatica, ma con produzioni di bassa qualità non è certamente la soluzione del problema, soluzione che invece può passare attraverso la creazione e l’esternalizzazione di processi e ruoli finalizzati a considerare e a ridurre i rischi connessi a questa nuova classe di tematiche. Si tratta cioè di estendere il concetto di “co-makership” e di “co-design” introducendo per tutta la filiera una forma di “co-compliance”, di “co-security” e di “co-controllo” razionalizzando il servizio e gli standard, ottimizzando i costi per perseguire una efficacia difficilmente ottenibile dalla somma di singoli sforzi separati dei diversi attori.

Ed anche il profilo professionale e culturale di chi gestisce le catene di fornitura deve cambiare di conseguenza, pena la sottovalutazione di fenomeni importanti, con rischi anche esiziali. Si tratta di un cambiamento in corso a macchia di leopardo ma sostanzialmente ancora agli inizi anche per la carenza di figure professionali adeguatamente formate. Occorre in particolare disgregare molti consolidati “silos” a favore di un punto di vista più sistemico e trasversale. Ad esempio, ogni Supply Chain Manager dovrebbe occuparsi anche di data security, compliance e risk management, così come ogni risk manager dovrebbe conoscere bene la catena del valore entro cui opera la propria azienda, oltre ai rischi che vi si annidano.

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La gestione dei rischi, gli strumenti tecnologici e le metodologie innovative più adeguate per valutare i fornitori saranno al centro del convegno “Supply Chain: Affidabile, Responsabile, Sostenibile” che si terrà il prossimo 11 giugno a Milano presso lo Spazio di Copernico 38

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