Per quello che possiamo definire come “mondo ESG” i “Tempi difficili” iniziati ormai da più di un anno si sono decisamente aggravati. Dazi, guerre commerciali che si sommano alle drammatiche guerre reali, al ribaltamento di alleanze quasi secolari, alle turbolenze finanziarie, insomma… non manca niente.
In questi momenti vengono in superficie convinzioni profonde che in altri tempi sarebbero rimaste sottotraccia. Ed è un bene perché il politicamente corretto, nel medio periodo, fa più danni di qualsiasi altra cosa.
In questa intervista rilasciata al Corriere della Sera il 6 aprile scorso il Ministro della Difesa e della Sicurezza Nazionale Guido Crosetto definisce l’ESG “una follia” esprimendo sinteticamente un pensiero che ritengo sia condiviso, più o meno apertamente, da molti. (A questo LINK si può leggere l’intervista al Ministro sul sito del Corriere della Sera n.d.r.)
In questa fase in modo particolare è giusto parlarne, rinunciando totalmente al “politically correct” di una certa mentalità superficialmente snob che rischia di mettere in secondo piano il senso di determinate critiche o osservazioni.
A fronte di tempi difficili per l’ESG, come comprendere il vero valore delle aziende
ESG (Environmental, Social, Governance) è un acronimo che proviene dal mondo della finanza, interessata al tema in quanto e da quando, grazie ad analisi retrospettive dei bilanci delle aziende, è emerso che quelle più attente ai criteri ESG nel tempo garantivano, nel medio periodo, performance finanziarie migliori e rischi di investimento più bassi.
Il mondo finanziario era alla ricerca di qualcosa che aiutasse a stimare il valore delle aziende, considerato il costante aumento della componente “intangible” del loro valore rispetto a quello scritto nei libri contabili. Gli indicatori ESG si sono affermati in quel mondo (si vedano in merito le lettere agli azionisti di Larry Fink, il Ceo di Black Rock, nei primi anni 20) perché utili a misurare questa componente sempre più importante del valore delle imprese.
Considerare i rischi e le opportunità derivanti da fattori ESG rende gli investimenti meno rischiosi?
Ne deriva una domanda: è vero che un’azienda che considera adeguatamente i rischi e le opportunità di breve, medio e lungo periodo derivanti da fattori ambientali, sociali o di governance è un investimento meno rischioso e con maggiori probabilità di essere profittevole nel medio periodo?
Insomma, consigliereste al ministro Guido Crosetto di investire in una stazione sciistica sulle Alpi italiane con impianti che operano fra 1600 e 2200 metri, considerata la tendenza al riscaldamento globale che la scienza tutta imputa alle emissioni di CO2?
Non solo ambiente, però. Provate a fare quattro conti sui costi sottostanti a un T-shirt venduta a pochi euro su una bancarella a Milano: coltivazione del cotone, filatura, tessitura, tintura, cucitura, imballaggio, trasporto, distribuzione, vendita, tutto in cinque/sei euro.
Fino a quando sarà possibile che un territorio tolleri pesticidi senza controllo che inquinano la falda e avvelenano l’acqua del rubinetto, acque reflue di lavorazione sversate direttamente nei fiumi che avvelenano i mari dove vivono i pesci che ci danno il dolcissimo sushi del sabato sera?
Fino a quando sarà possibile fare affari con regimi che consentono che esseri umani lavorino con orari pazzeschi, in condizioni igieniche e di sicurezza inaccettabili, con un’aspettativa di vita drammaticamente inferiore alla nostra?
Anche il più cinico speculatore sa che non potrà durare per sempre e dunque sarà interessato a capire se le aziende in cui investe abbiano in mente un piano B o addirittura se si stiano attrezzando per trarre profitto dalla necessità di favorire un miglioramento del contesto ambientale e sociale in cui la loro attività si svolge e dunque abbiano in essere piani per far evolvere il loro business plan.
Tempi difficili per l’ESG? La via d’uscita della materialità finanziaria
Tutto questo fa riferimento al concetto di materialità finanziaria che è una componente essenziale della CSRD Corporate Sustainability Reporting Directive, cioè in quella che è stata definita come follia ESG. Certo non è semplice. Occorre raccogliere una nuova classe di dati lungo tutto il ciclo produttivo per misurare, confrontare e migliorare. D’altra parte, per le aziende non è stato semplice neppure, venti o trenta anni fa, fare rientrare la contabilità aziendale nei rigidi binari degli ERP.
Il ministro Crosetto ha le sue ragioni: in troppi hanno speculato su questi temi, riempendosi la bocca di nobili principi senza considerare che le aziende alla fine dell’anno un bilancio lo devono fare e che tutti noi, quando compriamo, guardiamo al prezzo come uno degli elementi più importanti della nostra decisione di acquisto.
Non mi riferisco solo al Greenwashing degli spot tutti verdini e azzurrini. Mi riferisco anche a una retorica buonista che spesso dimentica, nascondendosi dietro nobili ideali, la durezza della realtà da cui le aziende non possono prescindere.
Però va nello stesso tempo aggiunto, alla critica del ministro, che se anche la regolamentazione europea di questi anni può aver avuto anche degli eccessi (ed è giusto che siano corretti), ha avuto anche il merito di aver acceso un faro su aspetti del nostro sviluppo che non possono più essere trascurati, e ha contribuito a spingere le aziende a guardare più avanti e ha consentito a chi investe uno sguardo molto più profondo e completo sulla azienda in cui metterà i propri soldi.
È un merito ed è anche un elemento distintivo del modello europeo, cioè un fattore di competitività perché nessuno può davvero pensare di rinunciare al mercato europeo. Va usato con cura, non deve diventare una ideologia, ma non è una follia. E non si può scambiare con i dazi.