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Strategia nazionale dell’Intelligenza Artificiale: un impegno che unisce istituzioni, Università, PA e Imprese

Confronto con Guido Boella, Università di Torino, CIM 4.0 e componente del nuovo comitato per la strategia dell’Intelligenza Artificiale sulle attività e sulle priorità per uno sviluppo dell’AI nel nostro paese

Pubblicato il 22 Nov 2023

Guido Boella, Università di Torino, CIM 4.0 e componente del nuovo comitato per la strategia dell’Intelligenza Artificiale del Dipartimento per la Trasformazione digitale

All’inizio di novembre è stato ufficialmente presentato il Comitato di Coordinamento per l’aggiornamento della strategia nazionale sull’Intelligenza Artificiale su iniziativa, in particolare, del sottosegretario per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, Alessio Butti. Al gruppo di lavoro composto da 13 membri è stato affidato il compito di contribuire alla definizione della strategia nazionale sull’Intelligenza Artificiale.

Guido Boella è attivo da tempo sui temi dell’innovazione digitale e dell’Intelligenza Artificiale, è tra l’altro co-fondatore della Società Italiana per l’Etica dell’Intelligenza Artificiale, Vice-Rettore dell’Università di Torino con delega alle relazioni con le imprese e Vice Presidente del Competence Center Industry Manufacturing CIM4.0 ed è uno dei 13 membri del Comitato di Coordinamento per l’aggiornamento della strategia nazionale sull’Intelligenza Artificiale.

Partiamo dai temi dell’impatto dell’Intelligenza Artificiale. Quanto è importante oggi riuscire a passare da una visione “passiva”, o addirittura “difensiva”, a una lettura dell’impatto in chiave propositiva e costruttiva?

Questo è uno dei punti chiave: creare le condizioni per fare in modo che tutto l’ecosistema delle imprese, delle università e delle istituzioni e organizzazioni della Pubblica Amministrazione possa svolgere un ruolo attivo e collaborativo. In questa prospettiva si collocano tutte e quattro le linee che andremo a approfondire con la Commissione che attengono alla Formazione, alla Ricerca, alla Pubblica Amministrazione e al mondo delle imprese e delle startup.

Soffermiamoci in particolare sul mondo delle imprese e sul rapporto con il mondo accademico

Dobbiamo riconoscere che il mondo delle imprese su questi temi ha la necessità di recuperare posizioni per poter sfruttare appieno le proprie potenzialità. C’è un tema generale di ritardo sugli sviluppi della digitalizzazione che è testimoniato anche dalla nostra posizione nelle classifiche dell’indice DESI. Se concentriamo l’attenzione sui temi specifici dell’Intelligenza Artificiale dobbiamo rilevare, nel confronto con altre realtà a noi vicine, che anche il numero delle startup, dei brevetti, delle soluzioni che poi approdano sul mercato è inferiore alle necessità di sviluppo del nostro tessuto imprenditoriale. In concreto rischiamo di perdere tante opportunità se non sosteniamo adeguatamente questa innovazione.

C’è un problema di dimensione delle imprese e di polverizzazione delle risorse?

Ci sono certamente temi ben noti che caratterizzano il tessuto industriale del nostro paese. Il fatto che sia caratterizzato da una stragrande maggioranza di PMI e in particolare di Piccole e medie imprese in ambito manifatturiero, se da una parte rallenta questo sviluppo rappresenta però nello stesso tempo una grandissima opportunità. Stiamo infatti parlando di imprese che basano in larghissima misura la loro competitività sulla capacità di innovazione continua. E se si riesce a “farle salire” sul treno dell’Intelligenza Artificiale si ottiene uno straordinario risultato per il sistema paese.

Come e dove concentrare l’attenzione?

Occorre creare le condizioni per una innovazione più diffusa sui territori, perché possa raggiungere il maggior numero possibile di aziende e possa entrare nei prodotti e nei processi. Occorre fare un passo in avanti rispetto a un approccio che ha comunque visto la creazione di soluzioni caratterizzate da un elevato livello di customizzazione. Credo che sia importante da una parte rendere le imprese consapevoli del grandissimo valore che possono avere i dati di cui dispongono e nello stesso tempo creare le condizioni perché si possa disporre di piattaforme e soluzioni standardizzate in grado di garantire accessibilità e scalabilità.

Come?

Prima di tutto, anche in ragione del mio specifico ruolo nella Commissione, valorizzando il più possibile, nella direzione dell’Intelligenza Artificiale, quanto è stato creato negli ultimi anni a supporto della digitalizzazione delle PMI e della PA. Concretamente intendo che occorre far leva sulla rete degli otto Competence Center del Piano Nazionale Industria 4.0; sui Digital Innovation Hub, che sono derivati dallo stesso piano e occorre sfruttare tutto il potenziale degli European Digital Innovation Hub, che sono in partenza con forme di co-finanziamento dell’Unione Europea e del PNRR. Abbiamo una rete straordinaria, distribuita sui territori, con competenze specifiche e con il coinvolgimento di grandi aziende che possono agire anche da traino per le PMI a partire e per le loro filiere.

Facciamo un esempio

Io sono coinvolto come vicepresidente del Competence Center Industry Manufacturing CIM 4.0 di Torino, e come molti altri siamo una realtà che al proprio interno conta la presenza di grandi aziende. Alcune sono realtà direttamente impegnate sul digitale, altre sono imprese fortemente innovative che operano nell’automotive, nella space technology, nell’automazione o in altri settori con una importante strategia per l’Intelligenza Artificiale.

A questo si aggiunge poi il rapporto tra imprese e mondo universitario

Assolutamente. La Commissione si pone di creare le condizioni per incoraggiare e sostenere una maggiore collaborazione fra imprese e università. Io credo che questa collaborazione, in questo momento, sia da impostare primariamente in due direzioni.

Una direzione riguarda la necessità di facilitare il trasferimento tecnologico dal mondo della ricerca pubblica a quello delle imprese.  In secondo luogo, è necessario spingere sui temi della formazione per sviluppare e diffondere maggiori competenze digitali.

In questo caso dobbiamo anche considerare che il baricentro della ricerca sul tema dell’AI si è spostato dal pubblico al privato, anche per quanto attiene alle infrastrutture necessarie per fare ricerca. Nell’ambito del supercalcolo le strutture private stanno diventando più importanti rispetto a quelle pubbliche. Anche nel nostro paese ci sono grandi aziende che sono nella condizione di disporre di asset per il super calcolo che rappresentano un asset per il paese in termini di contributo alla ricerca.

Asset di infrastruttura e di competenze che devono entrare a far parte di un ecosistema di innovazione?

Fondamentalmente sì, questo è l’altro punto chiave. Occorre favorire lo sviluppo di centri di calcolo con una vocazione industry level programmando il ciclo di vita dei centri stessi in relazione alla programmazione dei processi di innovazione e in relazione allo sviluppo in parallelo di skill adeguati.

A che punto siamo in termini di cornice normativa per l’innovazione digitale?

Ovviamente il framework delle normative non può che essere europeo. Siamo in attesa dell’approvazione dell’AI Act, attesa per fine anno, ma ci sono tanti temi in discussione a partire da quello relativo ai Large Large Language models. Temi sui quali l’Europa è da tempo molto attenta, anche rispetto all’atteggiamento che si registra negli Stati Uniti. Si deve però cercare sempre di più un equilibrio sui temi della sicurezza, della privacy, del copyright tra l’atteggiamento delle istituzioni europee e le spinte che arrivano da alcuni paesi membri.

La normativa è spesso vissuta come un freno all’innovazione. In molti casi, per le aziende che devono adeguarsi, rappresenta un costo. Come considerate questa dimensione?

L’adeguamento delle imprese e delle PA ai regolamenti presenta certamente dei costi, ma a prescindere dagli aspetti più legati alla dimensione economica è importante concentrare l’attenzione sulla governance di questo allineamento. Oggi abbiamo bisogno di standard, di best practices, di capacità di mediare, a livello nazionale, in funzione delle nostre specifiche esigenze e il nostro paese deve prestare una attenzione speciale alle imprese di medie e piccole dimensioni e alle caratteristiche dei loro processi di innovazione. Solo per fare un esempio e solo per inquadrare questa prospettiva si può far tesoro degli insegnamenti che sono arrivati dall’applicazione del GDPR.

Come valuta i rischi di un “AI Divide”?

Si tratta di un tema che affrontiamo in Commissione e sul quale voglio dire che non vedo tanto un rischio nella prospettiva dei consumatori finali o dei cittadini, quanto un possibile rischio di AI divide che può penalizzare le imprese.

Spieghiamolo meglio

Per gli utenti l’accesso ai dati e in generale l’interazione con gli strumenti del digitale risulta facilitata. L’utilizzo del linguaggio naturale, ad esempio, permetterà a un numero crescente di soggetti di interagire con i sistemi e di disporre delle informazioni di cui hanno bisogno a prescindere dal livello di competenza digitale di cui dispongono. Sto naturalmente semplificando, ma per i cittadini si può prevedere una facilitazione, una migliore accessibilità e usabilità, dunque un miglioramento dei fattori che determinano un digital divide.

Il rischio del digital divide si sposta invece sul lato delle imprese che si trovano di fronte alla scelta di cambiare, ad esempio l’interazione con i loro prodotti o con i loro servizi, grazie all’Intelligenza Artificiale. Devono cioè essere nella condizione di portare l’Intelligenza Artificiale nei loro processi di innovazione di prodotto o di servizio. Devono impegnarsi in una trasformazione nella quale sono necessarie competenze e infrastrutture e che devono essere gestite su tutta la catena del valore delle aziende stesse. Si tratta di trasformazioni che cambiano il rapporto con i clienti, che abilitano la creazione di nuove forme di valore, che permettono di attuare nuovi modelli di business. Tutto questo va governato. Servono pertanto competenze, infrastrutture di calcolo, capacità di testare questi sviluppi. Qui ci può essere il rischio di un divide che dobbiamo evitare anche con il lavoro della Commissione.

Quanto sono rilevanti i temi legati all’Etica?

Sono temi molto importanti, ma anche qui voglio dire che non si deve affrontare questa dimensione etica come un problema tecnologico. Il problema non sono gli algoritmi. Nel momento in cui queste tecnologie vengono inserite all’interno di prodotti che diventano più autonomi i fattori che dobbiamo considerare sono quelli della consapevolezza e della responsabilità. Dobbiamo considerare che le performance di questi strumenti sono così importanti che è difficile distinguere cosa è generato da un umano e cosa è generato dall’AI. Occorre essere chiari prima di tutto a livello di design dei prodotti e dei servizi perché si possa poi arrivare a stabilire un rapporto consapevole e responsabile e appunto chiaro con i clienti o con i cittadini.

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