GOVERNANCE

Dati e società digitale: quali regole per il petrolio digitale (4)



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Partendo dalla considerazione di Clive Humby secondo cui “Data is the new oil” è venuto il momento di predisporre un esercizio che permetta di guardare al mercato petrolifero e al mercato dei dati con una possibile forma di regolamentazione per analogia. Quarta puntata di un ciclo di quattro interventi

Pubblicato il 21 mar 2025

Sergio Fumagalli

Senior Partner P4I



SERGIO FUMAGALLI
Sergio Fumagalli, Senior Partner P4I

La tanto abusata affermazione “Data is the new oil” (accreditata a Clive Humby, matematico e co fondatore di una società di analisi dei dati n.d.r.) suggerisce un raffronto fra i due settori industriali coinvolti, dati e petrolio. Approfondendo il ruolo dei dati nella società e nell’economia digitale emerge la presenza di due diverse nature dei dati, una individuale e l’altra collettiva, che richiedono comportamenti differenti per la loro valorizzazione e per la loro protezione.

Se la materia prima di riferimento sono i dati nella loro dimensione collettiva, il parallelo tra il vecchio e il nuovo petrolio è utile anche per indicare alcune opzioni per gestire la specificità dei dati collettivi.

Petrolio e dati: analogie e differenza

Il petrolio costa, i dati sono gratis. Se voglio estrarre petrolio in Arabia Saudita devo avere una concessione per estrarlo e commercializzarlo. Enrico Mattei, fondatore dell’ENI, fu il primo a proporre accordi paritari con gli Stati ricchi di giacimenti: il 50% allo Stato e il resto alla compagnia petrolifera.

Per prima cosa va dunque affermato il principio che se utilizzo un bene devo avere il consenso del proprietario e trovare con lui un accordo economico per poterlo utilizzare.

Non c’è nulla di rivoluzionario in questo: è prassi commerciale consolidata. Ciò che ribalta la prassi commerciale consolidata è che si basi l’intera economia digitale sul presupposto che il bene – la materia prima – non esista e dunque non debba essere pagato. O meglio, che l’unica natura dei dati effettivamente esistente sia quella individuale che non vale nulla.

Così, nell’economia digitale di oggi chi ha i mezzi tecnici per estrarre e le capacità per trasformare e commercializzare il nuovo petrolio e i suoi derivati, lo può fare gratuitamente. Deve solo garantire il rispetto delle normative che regolano la natura individuale dei dati: protezione dei dati personali, proprietà intellettuale, proprietà industriale ….

Viceversa, se quel bene esiste chi vuole trasporre nell’universo digitale il patrimonio informativo di una collettività – Paese, etnia, comunità o impresa che sia – deve acquisire i diritti per farlo da chi li detiene.

I riferimenti giuridici per la natura collettiva dei dati

Se le considerazioni sopra esposte sono ragionevoli, configurano una nuova base giuridica: la proprietà dei dati, per quanto riguarda la loro natura collettiva, è in capo a chi ha la responsabilità giuridica della collettività a cui i dati si riferiscono, cioè allo Stato che governa il territorio e la società da cui i dati sono estratti e a cui si riferiscono o alla proprietà dell’azienda. E chi vuole sfruttare la natura collettiva dei dati deve rapportarsi con chi ne ha la proprietà.

Il singolo utente, infatti, non è in grado di valutare né la rilevanza né il valore economico dell’aggregato di informazioni che il suo dato individuale contribuisce a creare né, tantomeno, è in condizione di assicurare che vengano riconosciuti.

Nessun utente di TikTok, ad esempio, è consapevole della rilevanza che assumerebbero le informazioni aggregate, gestite dal social media, in caso di conflitto commerciale o militare, situazioni in cui l’obiettivo non sarebbe tanto di incidere sull’opinione o i comportamenti di una singola persona quanto di intere categorie di persone catalogate come omogenee rispetto alla finalità di chi detiene il controllo dei dati collettivi.

Dati e società digitale

Per questa ragione gli Stati Uniti pretendono che la proprietà di TikTok Usa sia detenuta da una proprietà americana che risponde alle leggi Usa.

Come la natura ondulatoria della luce non ne pregiudica la natura corpuscolare, così la proprietà della natura collettiva dei dati non è in alcun modo in conflitto con la proprietà del dato individuale ma si aggiunge ad essa per definire compiutamente il valore economico del bene e per regolarne lo sfruttamento e la protezione.

Una convenzione per accedere al patrimonio di dati

Lo strumento più semplice, a questo fine, è costituito dalla stipula di una convenzione con lo Stato che rappresenta una determinata collettività e/o un determinato territorio per avere il diritto di accedere al patrimonio di dati prodotto dal sistema economico e sociale attivo in quel territorio e dal territorio stesso, trasformandolo in un asset digitale.

Questa convenzione

  • deve, innanzitutto, ribadire l’obbligo alla tutela dei diritti dei proprietari dei dati individuali;
  • poi, deve definire i limiti e le regole del diritto di estrazione, trasformazione, trasporto, esportazione e commercializzazione dei dati collettivi
  • e ne deve stabilire il corrispettivo.
  • Infine, deve porre le condizioni per la tutela di questo asset in relazione alla sicurezza della collettività, sia per un possibile utilizzo ostile (guerra cyber, disinformazione, alterazione dei processi democratici, necessità di comunicare correttamente) sia per possibili impatti dannosi sulla società stessa (dipendenza, bullismo, istigazione a delinquere, …).

A differenza del petrolio i dati sono duplicabili e riusabili all’infinito a costo zero. Per questa ragione non vi è limite al numero di convenzioni che uno Stato può sottoscrivere.

L’onere derivante deve essere commisurato alla ampiezza dell’area e alla profondità dell’estrazione: se un social media ha venti milioni di utenti attivi in Italia è ragionevole che paghi meno di un concorrente che ne ha trenta e più di un sito che ha diecimila utenti.

Con la riduzione delle quantità di dati trattati si riduce anche la natura collettiva dei dati stessi e, dunque, il diritto di proprietà.

Per tutte queste ragioni, è ragionevole introdurre una soglia di rilevanza sotto la quale la convenzione è gratuita. Questo tutelerà le nuove iniziative per tutta la fase di prima crescita e il mercato dei piccoli operatori.

La delicata questione fiscale

È importante notare che non si è, fin qui, fatto alcun riferimento alle tasse. La convenzione ha solo l’obiettivo di rendere equo e compatibile con la sicurezza dello Stato e dei cittadini l’accesso al patrimonio informativo nazionale o di qualunque altra collettività. Si tratta cioè di far pagare un giusto corrispettivo per la materia prima dell’industria digitale, non di creare forme di tassazione aggiuntive di settore.

Per evitare equivoci, la nozione della natura collettiva dei dati, cioè, ad esempio, del patrimonio informativo nazionale, richiede una precisazione. I dati relativi ad ogni singola transazione sono dati con una natura individuale. Diventano rilevanti ai fini di quanto detto solo nel momento in cui assumono una natura collettiva e vengono trattati in relazione a tale natura. Nel momento cioè in cui grandi masse di dati (i Big Data) confluiscono in un grande magazzino (datalake) dove possono essere trattati con sofisticati strumenti di analisi per retroagire sulla collettività da cui sono stati estratti.

La tradizionale attività economica, con tutti i dati funzionali al suo svolgimento, non richiede quindi alcuna ulteriore convenzione.

Anche i fornitori di servizi internet stipulano certamente contratti con i loro utenti ma il loro rapporto con gli utenti dei loro servizi non finisce qui. L’oggetto del servizio che erogano è, infatti, consentire all’utente la generazione e la condivisione di contenuti che riguardano l’utente stesso, il suo contesto sociale, le sue idee, cioè a trasporre azioni ed eventi degli utenti negli archivi digitali della piattaforma, insieme ai dati che descrivono i comportamenti dell’utente che li ha generati.

Le funzionalità che sono messe a disposizione dell’utente sono strumentali a massimizzare la produzione e la condivisione di tali contenuti informativi.

È talmente prevalente il valore economico dei contenuti prodotti dall’utente e del tracciamento dei suoi comportamenti online che i servizi sono forniti gratuitamente. Ed è proprio la gratuità del servizio fornito l’indicatore più efficiente anche per individuare quali siano gli operatori da sottoporre a convenzione per poter operare.

La rinuncia a sfruttare economicamente la natura collettiva dei dati che derivano dall’erogazione di servizi internet farebbe cadere la necessità di stipulare questa convenzione, naturalmente a fronte di adeguate garanzie che ciò che è stato scacciato dalla porta non rientri dalla finestra.

Infine, una nota di contesto: può sembrare che le considerazioni svolte siano in qualche modo figlie delle tensioni di cui l’attualità è ricca, ma il loro obiettivo è solo quello di aiutare una riflessione sulla sostenibilità dello sviluppo dell’economia digitale, della dimensione globale della rete e della sua natura aperta a sostegno dello sviluppo delle relazioni economiche, politiche e sociali fra le tante collettività in cui la società globale può essere scomposta.

Per il resto questi articoli non hanno l’obiettivo di chiudere quanto di aprire una riflessione e il contributo anche critico di tutti è certamente importantissmo.

Quarta e ultima puntata

Leggi la terza puntata QUI

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