La corretta e compiuta rappresentazione della creazione di valore delle imprese, soprattutto grazie alla diffusione delle logiche ESG, è determinata dalla capacità di misurare ogni forma di impatto, di rischio e di opportunità, in tutte le possibili dimensioni.
La valorizzazione economico-contabile “tradizionale” ci racconta una parte importantissima di questa creazione di valore, che va però affiancata a tante altre componenti e asset che in molti casi non sono oggi rappresentate e rendicontate. La grande sfida per chi si occupa di reporting riguarda proprio il fatto che fattori con un forte impatto sul valore delle imprese, tra cui spiccano gli intangibili, non sono ancora riconducibili a metriche e KPI di riferimento in modo sistematico.
Eppure, se si osserva l’evoluzione del mercato in questi ultimi anni, si nota chiaramente che proprio su molti di questi elementi di natura intangibile tante aziende stanno già intensamente lavorando per costruire un posizionamento reputazionale, per creare nuove forme di competitività, per cambiare l’approccio verso le proprie persone e verso il mercato nello sviluppo di nuove forme di relazione con i clienti e con tutti gli stakeholder. Un’evoluzione che unisce i temi dell’innovazione, della responsabilità verso le persone e verso i territori. Il tutto in un percorso che consente di raggiungere target di sostenibilità, aumentare la competitività e continuare la creazione di valore nel medio-lungo termine.
Per capire come si sta affrontando il grande tema degli intangibles e del loro ruolo nella rendicontazione ESG, abbiamo incontrato Stefano Zambon, professore ordinario di Economia Aziendale all’Università di Ferrara e Segretario Generale della Fondazione OIBR (Organismo Italiano di Business Reporting).
L’approccio dell’OIBR, in qualità di ente del terzo settore focalizzato sulla rendicontazione aziendale non finanziaria, e di organizzazione impegnata da tempo sui temi della sostenibilità e del valore degli intangibili, permette di portare nell’ESG una visione più completa delle dimensioni valoriali di una impresa. Un contributo che può anche far leva sul fatto che l’OIBR è riconosciuto da organizzazioni internazionali quali EFRAG, GRI e ISSB.
Professore, di cosa parliamo quando parliamo di fattori intangibili?
Parliamo di creazione di valore in tutte le sue dimensioni. Parliamo della possibilità di fornire informazioni complete al mercato su tutte le forme in cui si concretizza l’impatto di un’azienda, e non solo quelle relative alla valorizzazione economica che attengono, ad esempio, alla produzione e alla vendita di prodotti o servizi.
Siamo consapevoli che si tratta di temi in fase di studio e di maturazione, che hanno ricevuto una bella spinta grazie all’ESG e alla CSRD (la nuova Direttiva europea sul reporting di sostenibilità), ma siamo anche coscienti del fatto che quando rappresentiamo e rendicontiamo la sostenibilità dobbiamo affrontare la rendicontazione di tante risorse intangibili che non sono spesso state valorizzate in modo accurato e sistematico.
Possiamo dire che la valorizzazione degli asset intangibili è alla base della valorizzazione della sostenibilità?
La sostenibilità ha bisogno di intangibili, e dobbiamo pensare che la sostenibilità deve diventare la nuova normalità nella gestione dell’impresa, che si deve intrecciare con la cultura e la strategia aziendale. Nella nuova Direttiva CSRD c’è un articolo secondo cui occorre misurare e rappresentare anche gli intangibili. È un esempio per dire che la necessità di prestare attenzione all’intangibile è necessaria per rappresentare i valori della sostenibilità, ma è importante anche a prescindere da queste motivazioni.
Per essere molto concreti, senza il tessuto connettivo costituito dai fattori intangibili le organizzazioni non starebbero in piedi, ovvero non potrebbero funzionare nel modo che conosciamo.
Possiamo fare qualche esempio?
L’innovazione, i brevetti, le attività di ricerca, tante attività che rientrano nella sfera del digitale, anche se non sono strettamente collegati alla sostenibilità, sono risorse che devono essere comunque rendicontate. Se l’ESG può essere interpretato come un invito pressante alle imprese per documentare (e lavorare) su fattori socio-ambientali-di governance che creano (o distruggono) valore, gli intangibili rappresentano il sostrato immateriale che permette ad un’impresa di creare valore nel tempo.
Semplificando si può dire che i ricavi si possono generare nel tempo se l’impresa dispone di una serie di intangibili che le permettono di dare continuità alla propria capacità di creazione di valore. Stiamo parlando di competenze, procedure, reputazione, strategie, modello di business, capacità relazionali che abilitano un’organizzazione a svolgere efficacemente le proprie attività. Misurare e rendicontare questi elementi e potenzialità significa misurare fattori intangibili che incidono sulla competitività.
Per la precisione cosa significa intangibile nell’ambito del reporting?
Il Network “World Intellectual Capital Initiative” – WICI (Il professor Zambon è co-fondatore del WICI n.d.r.) ha emanato nel 2016 un Framework dedicato espressamente al reporting degli intangibili. Si tratta dell’organismo più riconosciuto a livello internazionale sui temi della rendicontazione di questa categoria di risorse, e il suo Framework recita testualmente: “Gli Intangibili sono risorse non fisiche che, da sole o in congiunzione con altre risorse materiali o immateriali, possono generare un effetto positivo o negativo sul valore dell’organizzazione nel breve, medio e lungo termine”.
A questa definizione, nel momento in cui si pensa ai temi del reporting, occorre aggiungere che i fattori intangibili non possono essere tutti di proprietà e non possono essere tutti controllati. La reputazione, ad esempio, non fa riferimento a un criterio di possesso, si può cercare di controllarla, ma rispetto ad altre risorse riconosciute dalla contabilità, come gli strumenti di produzione nelle imprese industriali, gli intangibili non rispecchiano la definizione classica di asset e pongono una sfida importante nel momento in cui una impresa intenda dimostrare di disporre di queste risorse.
In altre parole, una cosa è un asset riconosciuto dalla contabilità, che tutti possono vedere nello Stato Patrimoniale, e altra cosa è un asset che non si vede, ma che è decisivo per la creazione del valore aziendale.
Come è cambiato il rapporto tra intangibili e mercato?
Non c‘è dubbio che gli studi accademici e istituzionali abbiano messo da tempo in rilievo il ruolo crescente degli investimenti in beni intangibili. Si tratta di un processo irreversibile che è partito negli anni duemila. A livello macroeconomico si può dire che in tutti i grandi sistemi economici l’ammontare di investimenti in beni intangibili stia superando in maniera netta quello in beni tangibili.
Siamo cioè entrati in una fase del capitalismo ampiamente basato su fattori intangibili e l’innovazione digitale basata sulla conoscenza può essere considerata, per certi aspetti, come una delle principali fonti di questo fenomeno, proprio perché ha permesso di creare e sviluppare successi economico aziendali straordinari ampiamente basati proprio sulle risorse immateriali.
Quanto pesano gli intangibili nella crescita di attenzione sui temi della sostenibilità?
La sostenibilità e la crescita del capitale intangibile vanno a braccetto. Al di là degli aspetti di natura umanitaria, di sensibilità, di etica personale e aziendale, la sostenibilità contribuisce alla crescita di valore, è influenzata profondamente dagli intangibili e ha a sua volta un impatto sull’evoluzione dei fattori intangibili.
Possiamo dire che gli intangibles sono il tessuto connettivo tra la sostenibilità e la finanza, una sorta di cinghia di trasmissione del nuovo valore. Per questa ragione al WICI abbiamo sempre parlato di una “sostenibilità integrata”. Un’impresa crea valore perché ha una strategia, un modello di business, un’attenzione al contesto socio-ambientale, e perché dispone di quegli intangibili che tengono assieme il tutto.
Che rapporto possiamo individuare tra i temi della doppia materialità o dell’impact economy e la necessità di misurare e rendicontare i fattori intangibili?
Con la CSRD si parla di doppia materialità. Nell’impact economy sono presenti entrambe le dimensioni e può essere un modo di rileggere non solo l’economia, ma ciò che è effettivamente rilevante per le imprese e per la società. L’impatto economico è misurato in maniera sempre più sofisticata e adesso, grazie all’ESG, occorre misurare e visualizzare dei processi di generazione del valore (o in grado di influenzare la generazione di valore) prima che arrivino al momento finanziario.
Si tratta di una misurabilità che diventa più complessa e ampia, perché sono più ampi i fenomeni che impattano sulla finanza dell’impresa.
Quali sono le aspettative rispetto al ruolo del digitale?
Il capitalismo – pur con tutti i suoi difetti – è una forma di organizzazione sociale dell’economia che ha prodotto frutti molto importanti dal punto di vista del benessere economico. Nei secoli ha attraversato momenti di crescita dal punto di vista tecnologico e il digitale ha portato molte nuove e ulteriori forme di sviluppo. Il digitale è anche un acceleratore di processi di dematerializzazione che riguardano tanti aspetti della vita sociale e delle imprese e impongono una diversa capacità di comprensione e di misurazione.
Come molti studiosi hanno evidenziato di fronte alla digitalizzazione dei processi e dei sistemi di relazione tra attori, ad esempio, in catene del valore complesse, il “cemento” rappresentato dalle risorse intangibili è tanto difficile da rappresentare, quanto fondamentale per garantire la compiuta comprensione e, in definitiva, il corretto funzionamento di queste articolate supply chain. La sfida è oggi nel creare quelle soluzioni digitali che permettano di trasformare queste risorse in dati e rappresentare questa creazione di valore più ampiamente definita.