I temi della sostenibilità, intesa in tutte le sue declinazioni – ambientali, sociali ed etiche -, sono da diverso tempo un obiettivo importante per il mondo manifatturiero. La crescita di attenzione su questi temi arriva da più parti: dall’evoluzione dei consumatori, dal mondo della finanza dalle logiche dei rating ESG e non da ultimo, dalla consapevolezza che le imprese più attente ai temi della sostenibilità sono anche quelle che riescono ad affrontare meglio le minacce e i rischi che si presentano sul mercato. Tutto questo ha portato le aziende ad affrontare la sustainability con un approccio sempre più strategico e per le imprese del mondo manifatturiero, il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità è diventata una priorità e una opportunità che impone di agire su più livelli, tutti abilitati dal digitale.
In questo senso, il passaggio dal prodotto al servizio o servitizazion e verso i modelli di business che questa trasformazione permette di attuare, sono una risposta concreta ai bisogni del mercato, così come gli interventi volti alla trasformazione delle catene di fornitura con una speciale attenzione al ruolo del procurement, proprio per incentivare e favorire comportamenti sempre più virtuosi in termini di sustainability e per la necessità di disporre di strumenti adeguati per fare innovazione e sperimentazione e per misurarne i risultati.
Questi temi sono stati al centro della sessione “Dal prodotto al servizio: nuovi modelli di business, di innovazione della SupplyChain, per sostenibilità e ESG” che si è tenuta nel corso dell’edizione 2022 di Industry 4.0 – 360 Summit, l’evento organizzato da Innovation Post, Industry4business e ESG360 del Network Digital 360 e che ha visto la partecipazione di
- Federico Adrodegari, Università degli Studi di Brescia
- Roberto Spagnolo, Director, Jaggaer
- Stefano Butti, Ceo e co-founder Servitly
- Giorgio Ferrandino, General Manager, SEW-Eurodrive Italia, Industrial Innovation Lab
Servitizzazione e sostenibilità: un rapporto sempre più stretto
Il tema della servitizzazione, da intendersi non solo come valorizzazione della componente di servizio o come passaggio da “prodotto a servizio”, viene analizzato da Federico Adrodegari dell’Università degli Studi di Brescia, anche come fattore abilitante per il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità.
Il presupposto dell’analisi di Adrodegari riguarda il ruolo delle tecnologie digitali e naturalmente dei dati come strumenti di visibilità e di conoscenza sempre più precisi, sul comportamento dei prodotti in qualsiasi situazione e come possibilità di controllare e gestire per intero il loro ciclo di vita.
Adrodegari mette in evidenza che “si è ribaltata la concezione del passato del servizio vissuto come un male necessario per diventare al contrario un bene in grado di aprire le porte a tante nuove forme di vantaggio e di disporre di strumenti più efficaci per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità”. Il modello della servitization trascende il tradizionale rapporto tra cliente e fornitore e permette di entrare in ambiti che implicano anche la possibilità di attuare forme di co-creazione.
E in questo contesto rientra anche un tema legato a nuove forme di responsabilità sui beni da parte dei produttori: il produttore raggiunge il suo risultato non solo se il prodotto funziona, ma se il cliente lo utilizza correttamente e se il bene è in grado di supportare al meglio il cliente nel raggiungimento dei suoi obiettivi. Una dimensione che implica necessariamente una maggiore “intimità” e conoscenza che non può che allargarsi anche al tema della gestione delle risorse per garantire i risultati di sostenibilità.
Maggiore conoscenza sul prodotto e maggiore livello di personalizzazione
Prima ancora di coprire tematiche legate alla sostenibilità, l’approccio al servizio permette di arricchire l’offerta delle aziende con la creazione e la promozione di nuovi servizi personalizzati. Il contesto vede uno scenario in cui più cresce la conoscenza di come un prodotto viene utilizzato, più si può alzare il livello di personalizzazione in funzione delle specifiche esigenze. In questo modo, si creano le condizioni per dare vita a nuove opportunità anche in termini di modalità di fidelizzazione dei clienti e di creazione di nuove forme di business.
Ma non ci si deve certo fermare a questo punto. Per Adrodegari questo processo può portare a definire un nuovo concetto di valore dove il prodotto è il mezzo attraverso il quale erogare un servizio con un approccio per le imprese che può puntare a valorizzare meglio la base installata dei prodotti che può diventare una sorta di piattaforma per arricchire il portfolio di nuovi servizi, spostando il focus del business dai temi legati al prezzo di acquisto a una valorizzazione collegata allo specifico valore generato dal servizio. Un approccio che mette a disposizione delle aziende anche un possibile fattore di stabilizzazione e programmazione del business in quanto il modello di remunerazione a servizio si configura come business di tipo recurrent.
Ovviamente si tratta di un cambiamento a livello di relazione con il cliente, di una trasformazione importante in cui il fornitore passa da un modello in cui vendeva il prodotto per poi non avere più rapporti con il cliente ad eccezione di servizi di manutenzione, per approdare a un modello in cui il rapporto è continuativo ed è basato sulla conoscenza delle più specifiche esigenze del cliente. Tra queste esigenze, tiene a sottolinea Adrodegari, ci sono quelle legate alla sostenibilità e all’ESG. Nel momento in cui non si “vende” più un prodotto, ma si mantiene la responsabilità per tutto il ciclo di vita, questa responsabilità si può estendere anche ai temi della gestione delle risorse, dei consumi, delle emissioni, della sicurezza e di tutti i fattori che vanno a comporre l’insieme di parametri che definiscono a tutti gli effetti la sostenibilità.
Le sfide della transizione digitale ed ecologica per Adrodegari impongono alle imprese di adottare una maggiore apertura, di attuare un approccio competitivo nuovo che superi i confini aziendali, per attuare nuove forme di collaborazione con altri fornitori presenti sul mercato, anche allo scopo di creare nuove forme di valore aggiunto a vantaggio dell’intero settore.
Spagnolo, Jaggaer: il ruolo chiave del digitale e del procurement per l’ESG
Se si guarda attentamente alle leve che permettono il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità si vede un rapporto sempre più stretto tra le logiche ESG e la gestione delle catene di fornitura. Ed è un tema chiaramente rappresentato nell’ESG Report di Jaggaer anche in termini di come le modalità di creazione di nuovo valore sostenibile siano praticabili attraverso soluzioni source to pay e siano in grado di garantire un coinvolgimento e una visione delle catene di fornitura come supporto concreto nel raggiungimento di obiettivi ESG. Il report mette tra l’altro a disposizione del mercato una serie di best practice ESG che arrivano dalla scelta stessa di Jaggaer di porre i principi ESG al centro della propria missione.
E il report ESG è chiamato in causa anche da Roberto Spagnolo, Director Jaggaer che fa riferimento ai dati di un rapporto McKinsey del 2019, secondo il quale il 90% delle possibilità di agire e impattare sulla sostenibilità in azienda arriva dal procurement. Un dato importante che parte da un presupposto molto chiaro, ovvero che i risultati di sostenibilità per la stragrande maggioranza delle aziende e, per il manifatturiero in particolare, arrivano attraverso le catene di fornitura.
Una task force interna dedicata a sustainability ed ESG
“I temi ESG ci toccano su due fronti – spiega Spagnolo -, per i nostri obiettivi di sostenibilità e come ambito nel quale possiamo aiutare i nostri clienti a raggiungere i loro obiettivi di sostenibilità. Nel primo caso – prosegue – abbiamo costituito una task force interna dedicata al monitoraggio e all’indirizzamento di questi target. Nel secondo caso, guardiamo all’ESG anche nel nostro ruolo di fornitori di soluzioni e di servizi digitali e prima di tutto analizziamo le esigenze delle aziende. Quello che vediamo dal nostro punto di osservazione è che le grandi aziende stanno investendo tanto, per rispondere ai criteri ESG, ma anche per cercare di responsabilizzare le loro supply chain. In molti casi poi – prosegue – le aziende lo stanno facendo rendendo pubblico questo approccio, dichiarando la volontà di lavorare con fornitori che siano in grado di raggiungere chiari obiettivi di sostenibilità”.
Peraltro quello che stiamo vivendo non è in assoluto un tema nuovo, Spagnolo ricorda le logiche del Green Public Procurement anche per evidenziare che questo approccio apre non solo a nuove opportunità di mercato, ma anche a regole di procurement che hanno bisogno di dati e conoscenza. E in particolare questo accade nel mondo manifatturiero dove il rapporto tra fornitori nelle catene del valore è un rapporto di partnership e di grande collaborazione con la condivisione di obiettivi. Oggi entra naturalmente a far parte di queste catene del valore la richiesta di contribuire al raggiungimento di obiettivi di sostenibilità e di misurabilità che sono sempre più comuni. Ci sono peraltro aziende che sono “obbligate” ad affrontare criteri ESG per rendere conto agli stakeholder delle loro attività e per farlo queste aziende hanno e avranno sempre più bisogno della collaborazione della loro rete di fornitori.
La parola chiave lungo le catene del valore: Misurabilità
Il punto chiave per Spagnolo, riguarda il tema della misurabilità di tutti i valori che contribuiscono a rappresentare la sostenibilità. Un tema che è destinato ad investire tutte le aziende sia in termini di responsabilità ma anche in termini di capacità di incidere direttamente sul loro posizionamento e sulla competitività. Relativamente agli strumenti digitali che sono effettivamente al servizio del raggiungimento di obiettivi di sostenibilità e della competitività, Spagnolo ricorda un altro dato del report McKinsey che mette in evidenza come “le aziende che investono in sostenibilità presentano tassi di crescita maggiori, sono più efficienti e generano maggior valore”. Ma è un valore che occorre misurare e “quello che facciamo – sottolinea – è mettere a disposizione degli strumenti digitali che concretamente aiutino le aziende a gestire la propria supply chain anche sotto gli aspetti della misurazione dei valori che determinano la sostenibilità”. Nel momento in cui si focalizza l’attenzione sulle supply chain è necessario aggiungere anche la gestione del rischio, un tema particolarmente rilevante e attuale – in considerazione delle pressioni cui sono sottoposte le catene di fornitura – e anche in questo la gestione sempre più digitalizzata del procurement porta una serie di importanti vantaggi.
Il procurement di fatto è chiamato a confrontarsi con scenari estremamente mutevoli e ha la necessità di disporre di quante più informazioni possibili su tutte le variabili che incidono sul business. Partendo dalla considerazione che disporre di informazioni vuol dire esercitare capacità di governo anche verso i fornitori, questa prospettiva permette di avere una visione di tutte le variabili che possono incidere nel raggiungimento degli obiettivi e significa poter attuare dei piani di azione in termini di miglioramento di tutte le performance a livello di supply chain comprendendo ovviamente anche le performance che incidono sulla sostenibilità. “Gli strumenti che mettiamo a disposizione – spiega – permettono di digitalizzare i processi di procurement e di avere una visione più puntuale delle operations per razionalizzare i processi, migliorare l’interazione con aziende e fornitori, centralizzare le informazioni e disporre di possibili automatismi che semplificano e accelerano tutte le attività”. Ed è qui che, in termini di tecnologie, si colloca la “rivoluzione” Jaggaer dell’autonomous commerce con un forte utilizzo di intelligenza artificiale, con reti neurali che apprendono e sono in grado di consigliare e di aumentare la precisione e la velocità dei processi decisionali basati sul procurement.
Integrazione di diverse fonti di dati
Quello che abbiamo fatto in tempi recenti, è pensare a delle integrazioni di diverse fonti dati per allargare il set di informazioni necessarie alla decisioni aziendali, da quelle ambientali a quelle di tipo sociale e reputazionale sulla supply chain comprendendo anche quelle legate alle logiche di governance.
Per la funzione acquisti, poter disporre anche di queste informazioni all’interno, vuol dire poter operare delle scelte sempre più razionali e disporre di meccanismi che mettono questi dati al servizio del business, ad esempio grazie a funzionalità che consentano, nel caso di una gara, di suggerire i fornitori maggiormente rispondenti a determinate caratteristiche a chi gestisce il processo d’acquisto, per rispondere in modo “nativo” ed efficace alle esigenze di dati e reporting che arrivano dall’ESG.
Si tratta dunque di strumenti che semplificano i processi decisionali e che portano alla trasformazione sostenibile delle imprese. E, in merito ai vantaggi concreti che vanno a beneficio delle aziende, Spagnolo cita lo studio di una grande compagnia di beni di largo consumo dalla quale arriva la conferma che il 30% dei consumatori acquista avendo in mente i temi relativi alla sostenibilità ed effettua le proprie scelte in base alle informazioni che sono anche frutto del lavoro attivato con le catene di fornitura.
Butti, Servitly: il nuovo valore sostenibile della servitization
Con Stefano Butti, si entra nel territorio della servitization intesa come paradigma che unisce il passaggio dal prodotto al servizio con le prospettive che abilitano la sostenibilità e l’ESG, con una misurabilità precisa delle risorse stesse e di un manifatturiero sempre più orientato a gestire e valorizzare i dati. Lo scenario è quello di aziende che dispongono di una forte e consistente dotazione di sensori Internet of Things e che si arricchiscono ogni giorno di dati con la sfida di trasformarli in conoscenza e processi decisionali.
Per Butti la tecnologia IoT è un fattore abilitante, ma non sufficiente. “La dobbiamo considerare come una infrastruttura che mette al centro dell’azienda il dato. Ma se mi metto nei panni di un costruttore di macchinari e di apparecchiature – osserva – una volta che si è raggiunta la capacità di raccogliere dati e di memorizzarli occorre preoccuparsi di valorizzarli in modo strutturale ed è qui che concentriamo il nostro lavoro come Servitly: nell’aiutare le aziende che producono macchinari apparecchiature a creare valore attraverso quelli che chiamiamo i servizi connessi”.
E qui si entra nel vivo del concetto di servitizazion: “che non è solo il prodotto interpretato come servizio, ma è un nuovo concetto di valore per le imprese, ed è parte di un percorso costituito da tante e diverse tappe. E proprio perché è in gioco la capacità di creare nuovo valore e nuova competitività, noi come Servitly abbiamo deciso di assumere una posizione molto polarizzata. Nella nostra visione i servizi o sono connessi o non lo sono. Ci collochiamo cioè in uno scenario che vede la diffusione capillare di Internet nelle fabbriche e presso i clienti. Così come abbiamo visto la Rete entrare nelle case siamo convinti che tra qualche anno Internet sarà in tutti gli oggetti, anche nei più piccoli. E in questa prospettiva il servizio è per sua natura connesso, ovvero si tratta di un valore che viene erogato proprio in virtù del fatto che i prodotti sono connessi”.
Butti sottolinea i passaggi chiave con i quali Servitly si relaziona con le aziende nel percorso di servitizzazione. Uno dei vantaggi dei prodotti connessi nel mondo dei produttori di macchinari è quello di avere l’OT in forma di data analytics e dunque di conoscenza sempre più precisa e dettagliata. Ma è una conoscenza che a fronte della continua crescita nella qualità di dati non è scalabile e “non si può pensare di gestire un servizio controllando continuamente dei grafici o delle tabelle di dati”.
Un primo tema fondamentale riguarda la necessità di sintesi e Servitly permette di disporre in modo semplice e veloce di informazioni che rispondono a domande molto semplici come “la macchina funziona bene?”, “il sistema sta performando in linea con le attese?”, “Il cliente la sta usando correttamente?”, “I carichi di lavoro sono eccessivi, quali sono le parti che possono logorarsi?” e ancora, più in dettaglio: “I consumabili stanno performando bene?”, “Quando si esauriranno esattamente?”. Queste domande molto concrete non devono rischiare di “perdersi” dentro migliaia di grafici. Servitly mette a disposizione un controllo semplice e puntuale.
Supply chain e distribuzione del valore
Il secondo punto attiene alla distribuzione del valore lungo la supply chain che nel caso dei produttori di macchinari è particolarmente lunga e complessa. “Ci sono i fornitori, i costruttori, le filiali, i distributori, i rivenditori, i centri di assistenza con attori che possono essere monomandatari o plurimandatari. Il tutto in un contesto in cui anche il cliente finale è complesso con realtà che magari si appoggiano al produttore o realtà che hanno risorse e strutture interne. In questo contesto – afferma – certamente non facile, occorre gestire i processi di valorizzazione del dato. Butti sottolinea poi a questo proposito quanto sia importante disporre di una piattaforma che permetta una orchestrazione corretta e sicura di queste esigenze“.
Il terzo aspetto che determina il successo di percorsi di digital servitization è nella flessibilità e nell’agilità: “Non crediamo che un sistema possa rimanere com’è stato progettato e implementato per più di sei mesi – osserva – Siamo convinti che la ricerca di valore e di competitività arrivi anche grazie a continue evoluzioni. Dobbiamo considerare che in questo periodo, le aziende di fatto stanno costruendo un nuovo mondo, nuove tipologie di relazioni con i clienti. Per un produttore di macchinari è sempre più importante alzare lo sguardo e focalizzare l’attenzione sulla catena del valore dei clienti, permettendo di disporre di dati e conoscenza proprio sui loro clienti.
Un produttore di un macchinario può svolgere in questa prospettiva un ruolo fondamentale perché “è all’origine del dato” e lo può governare. Ci sono esempi di aziende con cui lavoriamo che producono macchinari energivori come possono essere i forni per la cottura in campo alimentare o nel settore della ceramica o nelle vetrerie. Relativamente ai loro consumi oggi chi meglio del produttore del forno stesso, può aiutare il suo cliente a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità economica e ambientale? Chi meglio del produttore può valutare l’utilizzo corretto dei materiali o dei consumabili? Il nostro ruolo come Servitly è quello di mettere al centro il produttore del macchinario e di trasformare i dati a disposizione in valori che possono permettere di gestire la sostenibilità da una parte e rappresentarla in modo corretto in termini di ESG dall’altra”.
ESG come motivazione alla condivisione dei dati e all’avvio di processi di servitization
Ma quali sono i fattori chiave per far partire un progetto di servitization? Butti mette in evidenza come tipicamente sia molto difficile fare il primo gradino, vale a dire “sbloccare l’ingranaggio” che porta nell’ambito della condivisione dei dati e che tipicamente si concretizza in quella che viene definita come la resistenza numero uno al prodotto connesso: la paura di condividere dati.
“In una percentuale altissima di casi – osserva Butti – le aziende manifestano timore, perplessità e resistenza nella fase in cui devono prendere in considerazione la necessità di condividere i loro dati. In questo senso a nostro avviso l’ESG può essere una ulteriore ottima motivazione per vincere queste resistenze. L’ESG ha assolutamente bisogno di questi dati e permette chiaramente di rappresentare i vantaggi legati a una nuova forma di creazione di valore”.
Tornando agli esempi precedenti Butti osserva che l’azienda cliente, ad esempio di un forno per la cottura della ceramica, potrebbe avere a disposizione un dato elaborato e preparato anche per alimentare le richieste legate alle logiche ESG. Il produttore può cioè aumentare il proprio valore mettendo a disposizione dell’azienda cliente una serie di dati che possono contribuire alla composizione dei report ESG e questo potrebbe avere un valore misurabile anche finanziariamente.
“Si tratta – prosegue Butti – di un valore aggiunto che il dato può restituire al cliente e che si può estendere logicamente anche alla catena di fornitura ad esempio attraverso logiche di reverse logistic in cui questi dati permettono di avere una visione più precisa di come si possono evitare scarti, di come li si può riutilizzare e in generale di fattori legati alla produzione, al servizio erogato dalla macchina in cui il prodotto connesso è nella condizione di fornire costantemente informazioni che il produttore raccoglie lungo tutta la vita del macchinario e che si traducono in valore grazie a una collaborazione sempre più stretta con i clienti”.
Una sintesi tra servitizzazione, ESG e nuovi modelli di business
Un altro aspetto che va a completare la filiera del valore, attiene alle possibili evoluzioni a livello di aftermarket, per calibrare e pianificare attività di recupero dei componenti del macchinario o una loro riconfigurazione in funzione di nuove esigenze. Avere una visione puntuale dello stato di salute della macchina e dei suoi componenti, così come delle scorte o degli scarti che si possono recuperare, permette a chi produce il macchinario di giocare un ruolo in primo piano nell’organizzazione di un servizio di smaltimento. Si tratta di persone che conoscono perfettamente cosa sta producendo e smaltendo la macchina e possono rispondere in modo preciso a configurazioni del servizio tali da permettere alla macchina di rispondere alle nuove esigenze del cliente.
Nel momento in cui questo percorso entra nella fase in cui l’azienda si trova a modificare il proprio modello di business ecco che i temi vanno oltre la capacità di gestione dei dati e la loro valorizzazione. La servitizzazione cambia il sistema di relazioni tra produttore, clienti e “clienti dei clienti” e offre tante nuove opportunità di generazione di valore e di remunerazione, ma rappresenta anche un cambiamento profondo e complesso che va pilotato e indirizzato con grande attenzione.
“In questo caso – afferma Butti – occorre fare riferimento a un aspetto che è distante dalla tecnologia, ma sul quale la tecnologia ha e avrà sempre più un grande impatto: ed è l’aspetto umano e psicologico legato a queste forme di cambiamento. Il dato e l’informazione possono modificare meccanismi psicologici che stanno alla base del processo decisionale e la scelta di offrire un servizio rappresenta per un’azienda produttrice di beni una decisione coraggiosa. Noi siamo una software house e siamo nativamente orientati al servizio, ma nel mondo dei produttori di macchinari e di apparecchiature destinate alla produzione non è così. Si tratta di un cambiamento di paradigma e il servizio connesso si conquista anche grazie alla rappresentazione del valore dei dati, grazie ad esempi in cui si mostrano i vantaggi che arrivano da tante macchine connesse che pulsano e che mandano informazioni in streaming e mostrano concretamente la possibilità di vedere come aumentare determinati servizi, come risolvere le criticità prima che si presentino, come migliorare il design di un processo o dei prodotti”.
Ferrandino, Industrial Innovation Lab: un ecosistema per la costruzione comune di valori di impresa
Con Giorgio Ferrandino, General manager SEW-Eurodrive Italia e Industrial Innovation Lab si porta l’attenzione sul tema di una trasformazione industriale e una transizione ecologica che stanno chiedendo al manifatturiero di raggiungere nuovi obiettivi in un contesto reso sempre più difficile dalle conseguenze di una grande instabilità geopolitica e dalla necessità per le imprese di puntare su una innovazione che tenga conto degli obiettivi di business continuity. Certamente una parte importante di questi scenari in continuo cambiamento pone delle sfide che si traducono, allo stesso tempo, in opportunità.
Industrial innovation Lab è un ecosistema che in questo scenario mette a disposizione delle imprese la possibilità di affrontare queste sfide in ottica collaborativa, “con lo spirito orientato a offrire strumenti e mezzi – spiega Ferrandino – per governare i processi di cambiamento avendo un occhio di riguardo ai processi di cambiamento con cui si sta affrontando il raggiungimento di nuovi obiettivi di sostenibilità. Il tutto con la creazione di un ecosistema che permette la condivisione con altri attori di competenze tecnologiche, di esperienze, di sperimentazioni, ma soprattutto – tiene a evidenziare Ferrandino – la costruzione comune di valori di impresa”.
Si deve partire dal ruolo e dal valore fondamentale dell’innovazione nei processi di cambiamento che devono essere compresi e affrontati come valori che incidono, intervengono, modificano la cultura d’impresa. “In questo ambito – osserva – si deve collocare l’utilizzo delle tecnologie abilitanti e l’esplorazione di nuovi modelli di business. Nel momento poi in cui si aggiungono gli obiettivi legati alla sostenibilità appare necessario disporre di un orientamento di medio lungo termine considerando che quello che noi facciamo oggi in termini di sostenibilità ha sì un impatto nell’immediato, ma l’impatto più consistente è nel medio lungo termine e occorre tenere in considerazione questa importante prospettiva”. Ovvero occorre valutare il progetto, ma anche come lo eseguo, come lo concretizzo considerando che questa componente deve tenere conto di scenari che stanno cambiando.
“Se, come imprenditore e come azienda non si assume questo orientamento si rischia di avere una visione solo parziale dei temi della sostenibilità. È qui che si sente tutto il peso e il valore di una visione culturale che incide molto nella lettura degli obiettivi e che può rendere gli obiettivi stessi anche molto più pregnanti e significativi”.
C’è poi il grande tema dell’apertura e Ferrandino ricorda l’attitudine a costruire professionalità pensate per muoversi in un’arena competitiva definita in cui si guarda ai concorrenti come ad attori che portano valori “alternativi”. Anche qui l’Industrial Innovation Lab guarda alle prospettive di una logica cooperativa che permetta la costruzione di un ecosistema all’interno del quale si creano le condizioni per raggiungere veramente gli obiettivi di sostenibilità o di innovazione in generale. “E’ quello che noi cerchiamo di offrire nel contesto di questo laboratorio – spiega – con la volontà di sperimentare, condividere esperienze e andare alla ricerca di nuove soluzioni, anche accettando di fare qualche errore nel percorso perché può fornire un punto di osservazione diverso e può generare nuove idee”.
Una visione completa di tutti i fattori che concorrono all’innovazione
Il tema del Laboratorio associato ai temi dell’innovazione e dei modelli di business porta l’attenzione sulla necessità delle imprese che affrontano questo cambiamento e che hanno bisogno una visione completa di tutti i fattori che concorrono a produrre un risultato positivo, ad esempio allungando lo sguardo e la capacità di analisi lungo le catene di fornitura e considerando anche tematiche di tipo finanziario che, grazie all’ESG, sono sempre più correlate alla generazione di valore.
“Come Industrial Innovation Lab lavoriamo sul concetto di apertura. La nostra azienda, come le altre, ha dei propri progetti di trasformazione digitale e ci sono in laboratorio esperienze diverse, come nel caso del passaggio dal prodotto al servizio e già con la condivisione di queste esperienze si crea un fattore abilitante perché le innovazioni non avvengono necessariamente inventando da zero qualcosa di nuovo, ma perché si guarda fuori dal proprio campo e si vede qualcosa che è stato applicato e lo si interpreta. Quella diventa una innovazione e permette di creare delle occasioni di confronto all’interno delle quali si parla di ciò che si sta facendo, con prospettive diverse con conoscenze diverse e complementari che arrivano da imprese che fanno automazione industriale, aziende che producono macchinari e impianti e utilizzatori finali che utilizzano quei macchinari in diverse in settori industriali.
Sostenibilità e produzione: serve innovare anche i modelli di consumo
Sul tema della sostenibilità Ferrandino sottolinea un altro aspetto di tipo culturale che riguarda uno dei dogmi più robusti dell’ultimo secolo che attiene al ruolo di una economia impostata sul consumo.
“Per affrontare correttamente i temi della sostenibilità – osserva – occorre affrontare una domanda provocatoria e cioè come facciamo a raggiungere obiettivi di sostenibilità se siamo trainati da un’economia del consumo. Si tratta – aggiunge – di un tema che presuppone la necessità di mettere in discussione questo modello, alimentato da un marketing che ci ha abituato a creare dei bisogni nuovi che possono essere sostituiti da nuovi criteri che determinano un nuovo valore. Ed è qui si deve lavorare con l’innovazione”.
Ferrandino ricorda che se si vuole perseguire la sostenibilità occorre ripensare i prodotti, lavorare sulla loro longevità, progettare modelli di manutenzione sostenibili e, come è stato ampiamente evidenziato, la servitizzazione è una risposta che va in questa direzione. Anche sul piano del rapporto tra le persone e le cose per rispondere alla domanda di sostenibilità, occorre mettere in discussione i modelli esistenti e il manifatturiero ha un ruolo speciale che viene amplificato e rafforzato grazie all’utilizzo dei dati.
La connessione dei prodotti e l’utilizzo dei dati che generano è il presupposto per lavorare sulla longevità del prodotto stesso, ma anche sulla sua capacità di rispondere sempre meglio alle esigenze degli utenti. Per avere un controllo virtuoso su tutto il ciclo di vita che può permettere di attuare forme di produzione sostenibile che grazie ai dati e grazie a un lavoro di conoscenza sui consumatori finali, deve essere nella condizione di stimolare e sostenere anche una domanda sostenibile.
Innovazione, competenze e capitale umano: la familiarità con il linguaggio del digitale
Per queste sfide la tecnologia da sola non basta, il punto chiave per mettere a terra idee e progetti è legato alle competenze. “A maggior ragione in questo senso – osserva Ferrandino – si deve creare un forte gioco di squadra a livello di di supply chain con il coinvolgimento di tutti gli attori per sviluppare competenze digitali diffuse anche in termini di reskilling di figure presenti da tempo in azienda, persone che hanno la necessità di aumentare le dotazione di competenze digitali per contribuire a questa trasformazione. Certamente c’è un grande bisogno di data scientist e dalla scuola ne arrivano ancora pochi, ma è sempre più importante – conclude – far entrare nei percorsi di formazione competenze legate al linguaggio delle macchine”.
Una tema questo che con un parallelo forse un po’ forzato, ma certamente molto efficace, deve portare il linguaggio delle macchine ad avere una importanza analoga alla conoscenza di una lingua straniera come l’inglese. Perché le esigenze del mercato per sostenere questa trasformazione industriale, non sono solo in chiave di specialisti con una forte focalizzazione, ma anche di figure professionali che in azienda devono avere maggiore familiarità con il linguaggio del digitale. “Noi come Industrial Innovation Lab proponiamo una formazione sul digitale per non esperti del settore con un percorso formativo che permetta di vivere dal di dentro e in modo attivo i processi di digitalizzazione per unire competenze, professionalità e motivazione personale”.