Se ne parla tantissimo, pure troppo. L’acronimo ESG (Environmental Social and Government) ha soppiantato il suo omologo CSR, quella Corporate Social Responsibility che fino a qualche mese fa ha dominato i discorsi sulla responsabilità d’impresa. Tuttavia, le esperienze delle aziende di tutta Italia, le direttive europee sempre più stringenti e il parere degli advisor più autorevoli che accompagnano le aziende in questi percorsi dicono che la strada verso una reale sostenibilità è ancora molto lunga e complessa.
Non è solo un tema di impatto ambientale
Il primo errore è ridurre la sostenibilità aziendale a una mera questione di impatto ambientale come sottolinea l’avv. Silvia Rosina, partner dello studio legale Casa & Associati: “L’equazione solitamente è questa. Sostenibilità = risparmio energetico / zero impatto ambientale. Da qui nasce l’equivoco che spesso si rinviene negli incontri informativi con le imprese; la sostenibilità è anche questo, ma non può ridursi a ciò. L’impresa sostenibile è quella che, non solo dal punto di vista della tutela ambientale, si occupa di contemperare con il proprio core business anche le attese degli stakeholders che vanno oltre ‘essere green’. Senza dimenticare che ESG racchiude altri due concetti diversi, oltre alla E di ambientale. Se la ‘S’ involve l’aspetto etico e sociale dell’impresa e la ‘G’ si riferisce, più in generale, al modello di gestione e organizzazione adottato dall’impresa: un tripode inscindibile, che chiarisce come tutto parta proprio dall’assetto gestorio. Un’impresa non può essere responsabile – e quindi sostenibile – senza una governance sana che, solo nel rispetto delle migliori prassi societarie si preoccupi dell’ambiente circostante e di quanti ‘ruotano’ attorno all’impresa stessa”.
Il ruolo chiave del procurement
In questo contesto, oggi le imprese hanno un asset straordinario per valutare la compliance al mondo ESG: le tecnologie legate al procurement che giocano un ruolo cruciale, offrendo alle aziende strumenti avanzati per valutare la conformità della propria catena di fornitura rispetto agli standard di sostenibilità. Racconta Daniele Civini, Head of Sales di Jaggaer in Italia: “Oggi non avere una catena di fornitura conforme ai requisiti ESG significa rischiare davvero di perdere opportunità a livello locale e globale. Rimanere indietro rispetto a questi percorsi vitali esclude le aziende anche dalle filiere in cui sono inserite da sempre. E questo è qualcosa che forse le aziende faticano ancora un po’ a cogliere, rischiando di sottovalutare la tendenza che ormai spinge gli operatori di tutte le dimensioni e industry a selezionare solo chi è in regola con questi obiettivi. Come fare, quindi? Le sfide non mancano e i parametri da valutare sono molteplici, cosa che di per sé garantisce anche una certa flessibilità nel trovare la propria strada. Ma una cosa è certa: la tecnologia d’avanguardia per il procurement è oggi l’elemento abilitatore che consente di avere una visione a 360° sulla catena di fornitura e quindi sul percorso nel raggiungimento degli obiettivi ESG.”
Ma è vero che molte aziende ancora faticano a capire il potenziale dell’ESG, come spiega Leonardo Colapinto, operation manager del gruppo SAFE, hub di consorzi per l’economia circolare: “Le aziende spesso mancano sia della consapevolezza necessaria riguardo all’importanza dell’ESG, sia delle competenze o green skill per trasformare questo impegno in opportunità concrete di crescita sostenibile e di continuità aziendale. Un giusto approccio da parte delle imprese consente loro di prendere decisioni informate e implementare strategie di economia circolare efficaci”.
Attenzione al greenwashing
E il rischio di pratiche di greenwashing, ovvero la tendenza a presentare attività aziendali come più sostenibili di quanto non siano, è dietro l’angolo. Laura Fantinati e Giovanni Fraccaro di ITER, società di advisory in materia ESG mettono in guardia:“Quello che molte imprese fanno oggi è intraprendere un percorso di sostenibilità che conduce alla pubblicazione del bilancio. Ma spesso corrono il rischio di inciampare (anche inconsapevolmente) in pratiche di ‘greenwashing’, anziché rendicontare un reale impegno per l’ambiente e la società. Anche le aziende più inquinanti – come quelle che utilizzano combustibili fossili, che generano rifiuti tossici o che operano nel settore delle armi – possono apparire ‘sostenibili’ agli occhi del pubblico, solo perché producono un documento che racconta un’immagine parziale e selettiva della loro attività. La sostenibilità non può essere un’opzione di facciata, ma deve diventare la spina dorsale della strategia aziendale. E la rivoluzione parte sempre dal basso, dalle materie prime e dai processi produttivi ma deve essere pensata dall’alto, da una strategia di top management condivisa. Per ridare significato a questo concetto, è indispensabile che i criteri ESG siano posti al centro delle decisioni aziendali come fattori significativi di crescita. È il momento pertanto di ‘alzare l’asticella’: politiche pubbliche mirate devono favorire e incentivare chi investe davvero nella sostenibilità, offrendo contributi significativi per aiutare le imprese a coprire i costi delle pratiche sostenibili e a diffondere un cambiamento autentico nel tessuto economico”.
Intraprendere un percorso verso una vera sostenibilità richiede impegno e consapevolezza, ma offre alle imprese l’opportunità di diventare non solo più resilienti, ma anche più competitive su scala globale.