Nonostante le tante iniziative e piattaforme innovative lanciate negli ultimi anni, l’Italia presenta ancora un pesante gap in termini di digitalizzazione rispetto agli altri Paesi europei, con un deficit particolarmente preoccupante soprattutto in termini di competenze. Questi i principali i risultati dei Digital Maturity Indexes, elaborati dall’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, secondo cui nel 2021 il nostro Paese si colloca in 17esima posizione tra i 27 Stati dell’UE per fattori abilitanti la trasformazione digitale e solo in 23esima per effettivo livello di digitalizzazione(come ad esempio l’effettivo utilizzo di banda larga da parte di cittadini e imprese). L’Italia è addirittura 25esima per diffusione delle competenze digitali, 23esima per connettività, decima per digitalizzazione delle imprese e 18esima per digitalizzazione della PA.
Il quadro di dettaglio territoriale conferma la presenza del consueto divario Nord-Sud, anche se le aree più avanzate del Paese mantengono comunque una distanza significativa con il resto d’Europa. Il primato nel ranking va alla Provincia Autonoma di Trento con un punteggio di 57,5 (rispetto alla media italiana, pari a 50), seguita da Lombardia, con 56,2 punti, e Provincia Autonoma di Bolzano, con 56,1. Vengono poi Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte, Toscana, Friuli-Venezia Giulia e Liguria sopra la media italiana, e ancora Veneto, Valle D’Aosta, Umbria, Puglia, Sardegna, Campania, Marche, Abruzzo, Sicilia, Basilicata, Calabria, Molise, a chiudere la classifica. Sette delle nove regioni con un punteggio superiore alla media italiana sono del Nord e due del Centro. Sotto la media italiana, si collocano tutte le regioni del mezzogiorno e 3 del Centro-Nord.
Questo stato di cose potrebbe cambiare per effetto dell’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che complessivamente dedica a iniziative di digitalizzazione oltre 65 miliardi di euro nelle sue 6 missioni (ben di più dei 40 miliardi di euro della sola missione 1, specificamente dedicata alla transizione digitale). Il ruolo chiave nell’attuazione sarà della Pubblica Amministrazione, a cui è destinato almeno il 60% delle risorse tra PA centrali, locali o imprese pubbliche. Gli investimenti del PNRR destinati specificatamente alla trasformazione digitale della PA ammontano a 9,72 miliardi di euro, di cui 6,14 per la digitalizzazione della PA stessa, 1,27 miliardi per l’innovazione della macchina pubblica, 2,31 miliardi per l’innovazione della giustizia.
Ma, come spiega Alessandro Perego, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale, “Per concretizzare tutto il potenziale di trasformazione digitale associato al PNRR è necessario ‘unire i puntini’, raccordando visioni, risorse e sforzi che, se non ben allineati, rischiano di far perdere tempo ed energie – spiega Bisogna raccordare infatti il PNRR con gli altri piani strategici, le risorse previste con le altre disponibili per la trasformazione digitale, il centro con i territori, le esigenze di breve con quelle di lungo periodo. Per cogliere a pieno le opportunità di digitalizzazione del Paese, inoltre, la PA deve configurarsi come piattaforma di innovazione capace di lavorare con le imprese, con capacità progettuali e di cooperazione strategica”.
In particolare, per concretizzare il potenziale di trasformazione digitale del PNRR, secondo l’Osservatorio Agenda Digitale, oltre a raccordare PA e imprese, sarà necessario raccordare il PNRR agli altri piani strategici, come il Piano triennale per l’informatica nella PA, il Codice dell’Amministrazione Digitale, la Strategia Nazionale e il Piano operativo per le Competenze digitali, il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale e il Codice dei contratti pubblici. “Dobbiamo smettere di disegnare e rispondere a gare pubbliche con la principale preoccupazione di prevenire ricorsi e contenziosi – afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale. Più in generale, la PA deve mettersi nelle condizioni di collaborare maggiormente con tutte le imprese, da quelle più grandi fino alle startup e le PMI ad alto tasso innovativo”.