Con una tendenza progressiva accelerata dal ritorno di Trump al potere, il governo americano ha compiuto un significativo passo indietro riguardo alle politiche ambientali, annullando o rallentando diverse iniziative cruciali per la transizione ecologica. Questo cambiamento di rotta ha trovato una sponda anche tra grandi attori finanziari, con gruppi come BlackRock che, pur promuovendo gli investimenti sostenibili, sembrano adattarsi alle nuove dinamiche politiche, riducendo l’impegno verso le energie rinnovabili e i criteri ESG (ambientali, sociali e di governance). Il ritiro degli Stati Uniti da un ruolo di leadership nella lotta al cambiamento climatico rischia di influenzare anche altre economie globali, spingendo l’intero settore finanziario a rivedere le proprie strategie a lungo termine. Ma in Italia cosa succede?
L’ambiente non può essere un’opinione
Come Mauro Lajo, CEO di Forever Bambù, azienda italiana tra le più impegnate sul fronte ambientale.“E’ davvero singolare come la decisione di BlackRock giunga in giornate in cui il terribile incendio di Los Angeles genera, da solo, un danno di 250 milioni di dollari: un costo che sale di ora in ora, su un solo evento, in una parte circoscritta del globo. È chiaro che il clima e l’ambiente sono alla base della vita: della nostra, come esseri umani, e di tutto ciò che da noi origina. Case e imprese incluse.
L’ambiente non è un’opinione: non lo è mai stato, ma soprattutto non può davvero più rischiare di continuare ad esserlo. E tutte le imprese che lo hanno capito e hanno iniziato ad investire nella riduzione delle proprie emissioni, della loro compensazione e anche nella cura del verde attorno a loro hanno visto una riconferma chiarissima dai propri clienti che la strada era quella giusta. Come per noi quando, partendo da esperienze professionali completamente diverse, abbiamo deciso di mollare tutto per cambiare il nostro futuro investendo sui molteplici e straordinari talenti di una pianta, il bambù gigante. Senza attenzione all’ambiente, in senso letterale e in senso metaforico, nessuno di noi ha futuro”
Raggiungere la carbon neutrality e garantire competitività
“La scelta di campo del mondo americano, unitamente alla constatazione dell’inadeguatezza delle politiche mondiali contro il global warming, solleva interrogativi sul futuro del nostro pianeta” osserva Paola Soma, CEO Edilclima. “Ma a differenza degli USA dove sembrano affermarsi logiche orientate al profitto, il contesto europeo è molto ambizioso: Ursula Von der Leyen conferma la volontà di portare l’UE ad essere il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Certo servono investimenti ed è indispensabile coinvolgere il mondo della finanza, direzionando i flussi finanziari verso attività economiche sostenibili. E’ sufficiente? No. Solo un cambiamento culturale profondo consentirà di raggiungere la “carbon neutrality”, garantendo competitività delle imprese e creazione di valore a lungo termine, a partire da ogni decisore aziendale. Gli investimenti in efficienza energetica e sostenibilità (riduzione di altri costi, miglioramento della proposta di valore e dell’immagine aziendale, impatto sociale ecc.) sono irrinunciabili e l’impiego dei dati e delle soluzioni digitali, come ad esempio quelle proposte da Edilclima S.r.l., è essenziale al fine di immaginare e confrontare in modo oggettivo scenari differenti, determinandone correttamente il rischio. La digitalizzazione è parte integrante del processo di transizione energetica e l’innovazione continua in questo settore offre nuove opportunità, dal supporto in decisioni complesse e sistemi di controllo avanzati e predittivi dell’Intelligenza artificiale”.
La scelta strategica di fare impresa in modo sostenibile
“Viene spontaneo chiedersi se ancora si possa fondatamente professare l’importanza della sostenibilità e dei fattori ESG che ne sono emblema e criterio di valutazione.” dichiara Silvia Rosina, partner dello studio legale Casa & Associati.
“La domanda è legittima, ma la risposta potrebbe essere, a sua volta, una domanda: a prescindere dalle scelte dei grandi, “fare impresa” in modo sostenibile – ove per sostenibile si intende etico e non solo “green” – è un obbligo o è una scelta? Perché, se non di obbligo, bensì di scelta si tratta, queste inversioni di tendenza dovrebbero avere un impatto minimale su tutte quelle imprese che hanno avviato felicemente un percorso di sostenibilità non solo – e non tanto – perché obbligate a farlo quanto piuttosto, perché pienamente consapevoli delle opportunità in termini di efficienza e quindi di crescita, che il medesimo avrebbe garantito loro.”.
Rispondere alle esigenze di clienti sempre più attenti alla sostenibilità
Conclude Gianni Tagliapietra, CEO e fondatore di Mixcycling “Anche dal nostro punto di osservazione il passo indietro dei colossi americani non pare per ora avere ripercussioni su soggetti italiani. Anzi: l’accelerazione che notiamo in queste settimane ci dice che non solo i brand stanno lavorando alacremente su progetti ambientali ed etici. Ma soprattutto, che se lo fanno, è per assecondare un cliente sempre più attento a ciò che compra. Attualmente stiamo esplorando il mercato del lusso con innovativi programmi di recupero degli scarti di pelle per sviluppare un nuovo tessuto che combina caratteristiche estetiche e sostenibilità senza precedenti.
Se il fenomeno conclamato del greenwashing ha portato un rallentamento generale della “corsa verde della moda”, le principali cause sono da attribuirsi a normative non sempre trasparenti, a una certa confusione nel settore, ma soprattutto alla difficoltà di stabilire un vero processo produttivo e relativo indotto. Con il programma InProject, Mixcycling ha sviluppato fin dall’inizio un concetto di “Economia Triangolare” con un approccio che parte dal recupero degli scarti di produzione per creare nuovi prodotti che non solo riducono significativamente i costi, ma offrono anche certificazioni di sostenibilità mirate a migliorare non solo la reputazione aziendale, ma anche a definire nuovi prodotti e un materiale design distintivo”.