Greenwashing, perché è importante conoscere questi rischi
Greenwashing: attorno a questo termine si sono accese tante discussioni e tanti contrasti. La ragione è da attribuire alla quantità di falsità che possono nascondersi dietro il moltiplicarsi quotidiano di slogan green e dietro proposte di prodotti, servizi, investimenti che si dichiarano sostenibili.
Oggi come oggi è sempre più importante affrontare i cosiddetti rischi di Greenwashing. Infatti la domanda è tutt’altro che oziosa, se si pensa – da un lato – ai consumatori sempre più attenti, consapevoli e sensibili davanti ai temi della responsabilità ambientale delle aziende e – dall’altro – ai casi di marketing fraudolento, colpevoli di eccessiva leggerezza nella formulazione delle affermazioni promozionali. Una triste e diffusa realtà che ha contribuito a creare appunto il fenomeno Greenwashing.
Non manca poi, relativamente alla componente finanziaria, il rischio di indirizzare le proprie risorse su strumenti finanziari che si dichiarano green senza che ci siano chiare evidenze delle imprese e dei progetti che vengono finanziati con queste risorse.
La casistica viene genericamente annoverata sotto la definizione di Greenwashing, una pratica ormai ben nota non solo agli utenti finali, ma anche alle associazioni a loro tutela e agli organi preposti al controllo della leale concorrenza. Appare sempre più importante tanto per i consumatori quanto per gli investitori conoscere queste pratiche per intercettare, valutare ed evitare i possibili rischi di greenwashing. A questo proposito la normativa, soprattutto in Europa sta facendo sentire la propria voce ad esempio attraverso la Direttiva contro il Greenwashing e le informazioni fuorvianti sui prodotti. La direttiva è stata oggetto di interpretazioni e spiegazioni e segnaliamo questo articolo per comprenderne la portata: Direttiva Greenwashing: cosa cambia per le aziende e per i consumatori. Nello stesso tempo poi il greenwashing nello specifico per il mondo finanziario è stato oggetto di un importante analisi da parte di report EBA, EIOPA ed ESMA
Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Greenwashing: che cos’è?
Quando aziende, istituzioni ed enti esaltano come ecosostenibili le proprie attività, mettendo in luce gli effetti positivi di alcune e, allo stesso tempo, evitando di menzionare l’impatto ambientale negativo di altre (o dell’impresa nel suo complesso) praticano il Greenwashing.
Il Greenwashing è infatti la tecnica di comunicazione o di marketing che tenta di capitalizzare la crescente domanda di prodotti e comportamenti a basso impatto ambientale, accendendo i riflettori su azioni che in realtà non sono autentiche, ma promosse al solo scopo di mostrarsi più “sostenibili”.
Il termine è un gioco di parole che deriva da “whitewashing” (letteralmente “dare una mano di bianco”… o di verde), concetto del mondo cinematografico che indicava l’abitudine ad impiegare attori caucasici per qualsiasi ruolo, anche per personaggi di altre etnie.
In senso traslato il termine designa quindi l’uso di informazioni fuorvianti per sorvolare su comportamenti scorretti. Viene chiamato anche “green appeal”, il vanto della sostenibilità.
A citare il termine per la prima volta fu l’ambientalista statunitense Jay Westerveld, che nel 1986 stigmatizzò così la pratica delle catene alberghiere che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, nascondendo in realtà una motivazione economica (relativa a un taglio nei costi di gestione).
Ecco che appare importante considerare la sostenibilità come fattore chiave per il purpose aziendale, per dare vita a una produzione sostenibile oppure, più semplicemente, come fattore per nuove forme di efficienza.
Come si manifesta il Greenwashing?
Normalmente la comunicazione Greenwashing presenta le seguenti caratteristiche:
- non vi sono informazioni o dati puntuali che supportino quanto dichiarato;
- le informazioni e i dati vengono comunicati come certificati mentre invece non sono riconosciuti da organi autorevoli;
- vengono enfatizzate delle singole caratteristiche di quanto comunicato;
- le informazioni sono generiche al punto da creare confusione nei consumatori;
- possono essere utilizzate etichette false o contraffatte;
- sono riportate affermazioni ambientali non vere.
Che rischi comporta il Greenwashing e come evitarli?
Le pratiche di Greenwashing comportano vari rischi, anche particolarmente critici.
- Fra i principali vi è la perdita di fiducia. Quando i consumatori scoprono di essere stati ingannati è molto difficile ricostruire l’immagine e la reputazione della società con la conseguenza che il danno può essere anche superiore al beneficio che l’azienda sperava di ottenere.
- Altro pericolo è la mancanza di un’azione concreta per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità. Veder premiati i propri claim di Greenwashing potrebbe spingere l’azienda ad accontentarsi di quel risultato senza migliorare il proprio modello produttivo.
- Dal punto di vista finanziario, non identificare le aziende che realmente hanno incorporato la sostenibilità all’interno della propria organizzazione può costare caro agli investitori ESG anche in termini di attenzione ai Rating ESG). Il rischio è quello di finanziare progetti e imprese che non apportano alcun beneficio all’ambiente e alle persone.
Come riconoscere il Greenwashing e come tutelarsi?
La Federal Trade Commission (FTC) negli USA è stato il primo ente a stilare, nel 2010, delle linee guida per l’utilizzo dei cosiddetti environmental marketing claims. L’obiettivo era imporre alle aziende chiarezza e trasparenza, non solo nel definire entità e portata del proprio impegno ma anche, per esempio, nelle scelte stilistiche e di linguaggio promozionale, proprio per evitare claim non veritieri.
Anche l’Europa è particolarmente sensibile all’argomento e sta creando una normativa stringente su quello che può essere definito green. La Tassonomia UE, approvata dal Parlamento europeo proprio nel 2020, ha contribuito a definire i canoni per stabilire quale sia davvero “un’attività economica sostenibile dal punto di vista ambientale”.
La direttiva EU NFDR (Non Finance Reporting Directive) ribadisce poi la necessità, da parte di un crescente numero di aziende, di dare il proprio resoconto delle attività sostenibili e dei reali risultati raggiunti attraverso la dichiarazione non finanziaria delle imprese, mentre la SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) stabilisce che i fondi comuni di investimento precisino il grado di allineamento dei propri asset alla Tassonomia.
Secondo gli addetti ai lavori, tuttavia, questo non basta, perché è fondamentale che i sistemi di standardizzazione siano chiari e resi obbligatori il più possibile. Così come è cruciale che i consumatori o gli investitori si informino accuratamente prima di comprare un prodotto o uno strumento di investimento proprio per le sue caratteristiche green. L’unica via possibile è fidarsi solo di certificazioni oggettive e riconosciute, diffidando di termini generici come “naturale” o “zero emissioni” (obiettivo fra l’altro praticamente impossibile da raggiungere per qualsiasi tipo di prodotto o servizio).
Nonostante casi tanto eclatanti siano finiti all’onore delle cronache, la pratica del Greenwashing non sembra comunque arrestarsi. Lo dimostra, ad esempio, uno studio pubblicato nel 2021 dal SUM (Sustainability Management) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (SCARICA QUI LO STUDIO COMPLETO), secondo cui, su 1300 annunci pubblicitari analizzati, ben l’83% è risultato in realtà tacciabile di Greenwashing per l’inconsistenza del beneficio ambientale millantato.
Aggiornamento: cosa dice la Direttiva Greenwashing
Approvata con 593 voti a favore, 21 contrari e 14 astensioni, la Direttiva Greenwashing UE nasce per proteggere i consumatori dalle insidie del greenwashing e dall’obsolescenza programmata che diventano pratiche commerciali vietate. L’Unione Europea punta a incoraggiare gli utenti ad assumere atteggiamenti con i quali prendere decisioni di acquisto consapevoli, promuovendo al tempo stesso un mercato più sostenibile.
La direttiva è stata approvata in via definitiva anche dal Consiglio UE il 17 gennaio 2024 e si appresta a svolgere un ruolo di sostegno a una responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde. Tra i punti chiave della Direttiva Greenwashing vanno segnalati, tra i tanti obiettivi:
- Contrastare le affermazioni “verdi” ingannevoli con un approccio volto a proteggere i consumatori da dichiarazioni ambientali fuorvianti. Secondo uno studio dell’UE, il 53% delle affermazioni ambientali fatte dalle aziende sono vaghe, fuorvianti o infondate.
- Relativamente al tema delle compensazione delle emissioni di carbonio, le aziende non potranno più fare dichiarazioni che suggeriscono un impatto sull’ambiente neutro, ridotto o positivo grazie alla partecipazione a sistemi di compensazione.
- Sulla questione dei marchi di sostenibilità, dovranno essere autorizzati sulla base di sistemi di certificazione approvati o creati da autorità pubbliche.
- Un altro segnale importante è rappresentato dal contrasto all’obsolescenza programmata con nuove norme che vanno a chiarire la responsabilità dei commercianti riguardo all’obsolescenza precoce e agli aggiornamenti software non necessari.
Il Greenwashion e il suo “contrario”: Greenhushing
Se con il Greenwashing si rischia l’esaltazione della sostenibilità senza magari avere dati e informazioni adeguati per sostenere le proprie posizioni, il rischio opposto si chiama Greenhushing, ovvero un atteggiamento che porta le aziende a nascondere le proprie attività legate all’ambiente o in generale ai temi ESG con l’obiettivo di non correre rischi di greenwashing. Senza dimenticare che per entrambe le situazioni: Greenwashing e Greenhushing si deve articolare una specifica azioni in termini di risk management.
Articolo aggiornato il 19 Luglio 2024