Dopo una mediazione difficilissima sul pacchetto Fit for 55, il consiglio dei ministri dell’ambiente UE consegna una serie di decisioni di “peso” destinate a segnare un impatto importante a livello economico, sociale e di trasformazione industriale.
I punti chiave di questo passaggio critico (qui la nota ufficiale) sono nell’approvazione alla creazione dell’ETS (Emissions Trading System) bis, un nuovo mercato per i certificati di emissione della CO2 esteso anche al mondo del trasporto privato e a tutto il mondo del building relativamente all’impatto in termini di gestione del riscaldamento e del condizionamento degli edifici, che dovrebbe diventare operativo nel 2027; l’allargamento dell’ETS 1 all’industria aeronautica e al settore dei trasporti marittimi; l’indicazione per una riduzione delle emissioni nei settori dell’industria e dell’energia di una percentuale del 61% rispetto alle emissioni del 2005.
Trova poi riscontro, anche se con un orizzonte temporale piuttosto lungo (2035), la prospettiva di una carbon tax, ovvero di un adeguamento del meccanismo denominato Cbam, Carbon Border Adjustment Mechanism, nella forma di una sorta di imposta che viene applicata a prodotti e servizi provenienti da imprese che operano in paesi che non sono soggetti alle stesse normative in favore della decarbonizzazione che invece vincolano la produzione delle imprese europee. Va ricordato che lo scopo di questa carbon tax è quello di creare una forma di protezione all’industria UE scoraggiando o rendendo più oneroso l’ingresso di prodotti o servizi realizzati a costi più bassi in ragione di una minore attenzione ai vincoli di impatto ambientale. Situazioni che creano forme di concorrenza sleale basata sui temi ambientali. Altro passaggio importante è la decisione del Consiglio di procedere progressivamente alla eliminazione delle quote gratuite ETS per passare appunto alla introduzione della carbon tax in un orizzonte che va dal 2026 al 2035.
Ma uno dei punti più controversi del pacchetto Fit for 55 uscito dal consiglio dei ministri dell’ambiente riguarda il mondo automotive e in particolare la decisione di porre fine alla vendita di vetture con motore endotermico tradizionale (benzina e diesel) a partire dal 2035. La richiesta italiana con altri cinque paesi UE di allungare i tempi di questo passaggio al 2040 per gestire l’impatto a livello di transizione industriale non è stata accolta, mentre è stato accolto, almeno in una certa misura, il concetto di neutralità tecnologica sul quale da tempo insiste il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani. Rimane infatti la possibilità di proseguire la produzione e la vendita di vetture alimentate da e-fuels, bio carburanti o carburanti sintetici.
A questo si aggiunge una “clausola italiana” non a caso denominata “salva Motor Valley” per i produttori di vetture caratterizzati da “piccole” quantità e da un mercato “speciale” fondamentalmente caratterizzato dai produttori di auto di lusso che potranno essere vendute con motori termici. Si tratta in questo caso di una deroga sulle emissioni di CO2 che allunga di un anno il periodo della transizione e arriva fino alla fine del 2035 in particolare per i costruttori che non superano le 10.000 vetture all’anno.
Il Consiglio ha poi scelto di accogliere la richiesta relativa ai “tagliandi” di verifica e prima della scadenza del 2035 sono previsti due “esami” intermedi al 2025 e al 2030, con una verifica dei risultati nella riduzione delle emissioni di CO2 che dovrebbero essere, come target, al 15% e al 55% in rapporto ai livelli del 2021.