Il documento finale che arriva a conclusione del G20 di Roma è la dimostrazione del rapporto sempre più chiaro e sempre più diretto tra la ricerca di misure per evitare il peggioramento dei rischi climatici e la visione dell’economia che ancora contraddistingue ciascun singolo paese. Questa differenza di posizioni è anche la testimonianza di come dietro a queste decisioni ci sia un equilibrio difficilissimo tra la responsabilità verso il pianeta e la necessità di garantire le condizioni per lo sviluppo economico. Il grande obiettivo per i mediatori che volano da Roma a Glasgow per il COP26 è anche quello di creare le condizioni dirette o indirette (vedi in particolare alla voce finanziamenti) per rendere la transizione ecologica più appetibile o per meglio dire più sostenibile, anche per quei paesi che in questa trasformazione energetica ed ecologica vedono soprattutto i rischi di un rallentamento delle loro economie.
Il documento finale dei G20 di Roma
L’accordo raggiunto a Roma con le posizioni espresse nel documento finale del G20 (G20 Rome leaders’ declaration) relativamente al clima conferma le risorse finanziarie che i grandi intendono mettere a disposizione dei paesi in via di sviluppo con 100 miliardi di dollari, come peraltro già deciso a suo tempo in occasione della COP21 di Parigi del 2015 (per sostenere l’azione per il clima nell’intento di ridurre le emissioni e migliorare la resilienza agli impatti dei cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo i Paesi sviluppati avevano previsto di mantenere sino al 2025 l’obiettivo complessivo di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno. Nel corso dell’anno i miliardi investiti per queste misure sono arrivati a quota 80). Un volume di investimenti che potrebbero crescere in modo significativo con la proposta di portare queste risorse a 150 miliardi di dollari, ma dove appare chiaro che il punto critico resta sulle modalità che guidano le decisioni di indirizzo per questi investimenti.
Di fronte all’obiettivo di vincolare i leader dei G20 a un committment senza se e senza ma sulla neutralità climatica, Roma ha raggiunto solo in parte il suo compito. L’obiettivo di una neutralità climatica con azzeramento delle emissioni nette entro il 2050, allo scopo di mantenere l’innalzamento della temperatura entro 1,5 °C non è arrivato, ma ci si sa avvicinando e a Glasgow ci sono le condizioni, forse non ideali, ma certamente migliori rispetto al passato, per entrare nel merito di tante trattative che permettano di creare le condizioni per avvicinare queste intese.
Un “mondo” a emissioni zero entro la metà del secolo
Il documento conferma la necessità di lavorare per rispettare gli impegni fissati tra cui appunto il tetto massimo sul riscaldamento globale entro 1,5 °C. Incalza, ma purtroppo in termini generici, sulla necessità di avviare ulteriori azioni sul clima nel corso di questo decennio. Sembrerebbe un aspetto marginale, ma la data per altre azioni urgenti entro questo decennio è significativa anche se appare evidente che è il frutto di un compromesso dietro al quale ci sono economie che cercano di conservare spazi di manovra nella trasformazione economica ed energetica.
La stessa chiave di lettura può ben essere applicata anche alla scelta di indicare genericamente nella metà del secolo la data di “deadline” per il raggiungimento di emissioni zero.
I punti che permettono di viaggiare verso Glasgow con maggiore fiducia per affrontare i temi che impattano direttamente sul raggiungimenti obiettivi climatici sono nella dichiarazione in cui si cita l’impegno “a ridurre il modo significativo le emissioni collettive di gas serra, tenendo conto delle condizioni nazionali e nel rispetto dei singoli NDC o Nationally Determined Contributions, ovvero gli impegni specifici di ciascun paese a livello di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Occorre su questo punto sottolineare l’estrema importanza degli NDC in quanto sono in grado di determinare concretamente l’impegno di ciascun paese in termini di obiettivi effettivamente raggiungibili al di là degli impegni generici e degli annunci globali.
Biodiversità e Land Degradation Neutrality entro il 2030
Un altro punto chiave è da leggere nella dichiarazione in cui si sottolinea l’impegno “a rafforzare le azioni per arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030 e invitare le parti della CBD (Convention on Biological Diversity) ad adottare un approccio ambizioso, equilibrato, pratico, efficace, solido e trasformativo nella fase successiva al 2020 Global Biodiversity Framework alla COP15 di Kunming”. In questo senso il documento del G20 sottolinea inoltre l’importanza del “lancio dell’ UN Decade on Ecosystem Restoration 2021–2030″ per riaffermare “le ambizioni di raggiungere il 50% di riduzioni di terre degradate entro il 2040 su base volontaria e arrivare a raggiungere una Land Degradation Neutrality entro il 2030“.
Un altro aspetto importante del documento finale riguarda il riconoscimento “ufficiale” che “le emissioni di metano rappresentano un contributo significativo al cambiamento climatico” e il riconoscimento nello stesso tempo di un impegno alla sua riduzione”. Un impegno che va direttamente collegato alla volontà di “aumentare gli sforzi per un maggiore impegno nella riduzione ed eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili inefficienti”.
Il ruolo dell’industria e dell’innovazione
Il documento finale dei G20, come è più volte ripetuto anche da molti osservatori, rappresenta una piattaforma di lavoro per il COP26 e rappresenta un punto di riferimento per il mondo dell’industria che è chiamato a giocare un ruolo sempre più importante in questa trasformazione, grazie alla capacità di innovazione tecnologica che può mettere a disposizione
Il ruolo delle imprese nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale è uno dei punti qualificanti che il G20 può portare alla COP26. La profonda trasformazione che abbiamo davanti non può che “prevedere consistenti tagli di emissioni da realizzare in tempi molto brevi per evitare conseguenze che sono già oggi disastrose”. In questo scenario non si possono porre questi obiettivi in contrasto con lo sviluppo economico, ma come una evoluzione veramente innovativa di nuove forme di sviluppo economico. Per questo nel corso del G20 è stato più volte sottolineato il ruolo del settore pubblico e di quello privato e la necessità per i governi di determinare nuovi obiettivi e nuovi modelli di sviluppo che tengano conto di questa trasformazione e che siano in grado di sostenerla con misure economiche adeguate.
E il ruolo dell’innovazione e dell’industria nello specifico appare sempre più centrale per portare nell’economia e nella società tecnologie pulite a condizioni più accessibili per una più ampia diffusione. In questo senso ci sta poi il richiamo, da leggere anche nella prospettiva di sviluppo che caratterizza il mondo ESG, di forme di incentivazione che aiutino da una parte ad attrarre finanziamenti per progetti sostenibili e nello stesso tempo che possano ridurre i fattori di rischio collegati a questa trasformazione. In questo senso un ruolo altrettanto importante dovrà essere svolto dalle forme di partnership tra mondo pubblico e mondo privato.
Le tappe di questo percorso verso COP26 di Glasgow
Non c’è dubbio che il nostro paesi stia svolgendo un ruolo fondamentale nella ricerca di condizioni per il raggiungimento di un accordo globale sul clima e su nuove forme di sviluppo sostenibile. In questo senso si collocano tappe molto importanti che ESG360 e Agrifood.Tech hanno raccontato in questi servizi