Ayming Point of View

Dai dati all’azione: preparare e sfruttare il Bilancio di Sostenibilità



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Al di là degli obblighi normativi, il Bilancio di sostenibilità è uno strumento sempre meno opzionale: sottoposte a pressioni trasversali, anche le imprese extra-CSRD si trovano “costrette” a rendicontare le loro azioni ESG. Secondo Ayming non c’è tempo da perdere: “Bisogna partire il prima possibile: ecco da dove”

Pubblicato il 12 lug 2024



bilancio di sostenibilità

Anche se l’obbligo di stilare un Bilancio di sostenibilità non è (ancora) universale, le imprese che si sentono esonerate dal confrontarsi con questo tema commettono un errore molto pericoloso. La verità è che, pur in assenza di specifici obblighi, il Sustainability Reporting coinvolge ormai indistintamente – in modi diversi – tutte le aziende, comprese le più piccole. Questo le obbliga a ragionare sulla loro “propensione alla trasparenza”, spesso costringendole a mettere in atto azioni di monitoraggio e rendicontazione che, tecnicamente, sarebbero facoltative.

Un quadro di pressioni che rende “obbligatorio” agire

Le pmi si confrontano ormai quotidianamente con il mondo ESG. Al di là dei casi di impegno volontari, in genere spinti da motivazioni etiche, sono le sollecitazioni da parte degli stakeholder, del mercato e della clientela a guidare le aziende sempre più verso policy di sostenibilità dedicate.

Da un lato l’impulso rientra nel quadro disegnato dalla cosiddetta Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), la direttiva Ue sull’obbligo di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario per le imprese di grandi dimensioni. Dal 2025, secondo il testo, aumenterà gradualmente la platea di imprese che dovrà rendicontare l’impatto ambientale, sociale ed economico utilizzando criteri uniformi a livello europeo. E se di fatto restano escluse dall’obbligo le piccole, medie imprese non quotate e non appartenenti a gruppi, è altrettanto vero che su queste ultime pesa la pressione delle grandi organizzazioni, che devono fornire informazioni sull’intera supply chain e, di conseguenza, sulle stesse pmi.

Dall’altro, lo scenario è fortemente influenzato anche dalle richieste delle banche, che – tenute a loro volta a fornire report di sostenibilità – impongono alle piccole e medie imprese di documentare in modo dettagliato quanto stanno facendo sul fronte ESG, con pesanti effetti sulle possibilità di accesso a crediti e finanziamenti.

Solo il 12% delle pmi producono Bilanci di sostenibilità

Non ufficialmente sotto la lente del legislatore, anche le aziende extra-CSRD si trovano quindi obbligate a muoversi sul fronte del Sustainability Reporting, rendendosi capaci di testimoniare con dati e rendicontazioni il loro effettivo impegno di sostenibilità.

A riprova di questo parlano, ad esempio, i risultati dall’indagine Eurochambres e SMEunited (Access to sustainable finance for SMEs: a European Survey”, 2023), condotta fra 2.142 aziende di 25 diversi Paesi dell’UE. Il report ricorda che le pmi sono sempre più soggette a richieste in merito al loro impegno circa la sostenibilità da parte di diversi stakeholder, in particolare le banche (32%) e i consumatori (41,7%): una pressione cui oggi (solo) il 12% delle aziende risponde producendo volontariamente report sulla sostenibilità e avvalendosi di rating ESG esterni, mentre il 30% ha istituito sistemi di gestione ambientale. Al contempo le pmi più grandi, destinate ad essere presto interessate dagli obblighi della CSRD, affermano di non sentirsi adeguatamente preparate in vista dell’introduzione della Direttiva.

Un quadro sfaccettato: dalle “mature” big alle “disorientate” pmi

In generale, dunque, emerge un quadro a più facce: da un lato, un universale, anche se non ovunque sentito, coinvolgimento delle imprese sul tema della rendicontazione di sostenibilità; dall’altro, una profonda disparità di preparazione sul tema: dalle big, ormai ampiamente mature, alle piccole e medie imprese, vittime di un disorientamento ancora pesante; dall’altro ancora, la diffusa, ma soddisfatta solo presso le realtà più grandi e avanzate, esigenza di dotarsi dei necessari strumenti di reporting, allo scopo di fornire le informazioni richieste dagli stakeholder e accedere ai finanziamenti per progetti sostenibili.

In questa articolata realtà, rendersi capaci di preparare e sfruttare il Bilancio di Sostenibilità si conferma quindi come una mossa strategica sempre più importante, indipendentemente dall’obbligo normativo. E davanti alla crescente platea di imprese desiderose di rispondere al meglio a tutte le istanze in materia, la miglior risposta si concretizza in un approccio semplice e flessibile, in grado di soddisfare i pain di tutte le realtà in campo.

“Partire prima è meglio”: dall’assessment al piano ESG

Secondo Pasquale Marra, Marketing Specialist di Ayming, player internazionale di consulenza in finanza agevolata e sostenibilità, la vera carta vincente sta nello spirito proattivo: “Partire prima è meglio, per qualsiasi dimensione di impresa – fa notare -. L’Europa ha definito il timing di allineamento delle aziende dei Paesi membri alla rendicontazione di sostenibilità con la CSRD, ma già dal 2028 saranno colpite le società anche non UE che lavorano con l’Ue. Il bacino di aziende coinvolte è quindi destinato ad ampliarsi vertiginosamente, il che implica la necessità di compiere passi propedeutici per non farsi trovare impreparati”. La parola chiave è “competitività”: “E’ fondamentale restare competitivi – spiega Marra -: non muoversi solo perché non si è obbligati, mentre i competitor stanno investendo, significa perdere terreno e lasciarsi sfuggire un vantaggio importante in termini di tempo”.

Ma da dove partire? La prima mossa – aggiunge – è “capire cosa si sta già facendo e valutare, con un assessment approfondito che si avvalga delle voci interne all’azienda, quali azioni sono già consolidate. Il fronte del codice etico o eventuali azioni di risparmio energetico, ad esempio, sono molto significative in questo senso”. Ma questa è solo la base. In generale, il Bilancio di sostenibilità fotografa gli esiti di un percorso ESG che, partendo dalle valutazioni iniziali e forte dell’appoggio di una consulenza specialistica, si compone di molteplici azioni in un ampio arco di tempo. Da qui il vantaggio di chi sa “partire prima”, verso una certificazione capace di valere, in anticipo rispetto alla concorrenza, un posto di maggior valore nella supply chain.

Chi resta indietro uscirà dal mercato

“Nel Bilancio si racchiude un potente strumento di comunicazione – puntualizza Federica Alba, Marketing Manager di Ayming – che letteralmente cristallizza l’espressione “dai dati all’azione”. In esso viene infatti fotografato l’insieme delle attività che l’azienda compie sul fronte ESG, e quindi non solo ambientale: i KPI che le quantificano e le informazioni che le rendicontano vengono comunicate all’esterno per arrivare a influenzare gli stakeholder nel segno della massima trasparenza”. E il valore può essere letteralmente decisivo per il destino del business: “Chi resta ancorato ai vecchi modelli è destinato a sparire dal mercato, o comunque a vedere rimpicciolita di parecchio la sua quota: già oggi, ma domani sempre più, le banche sono più propense ad investire in imprese che fanno Sostenibilità, dimostrandolo con i dovuti Report. La ragione è semplice: sono queste le aziende che in futuro avranno più successo sul mercato, con le loro posizioni di vantaggio in termini di catene di approvvigionamento e di risposta alle esigenze dei regolatori”.

Coinvolgere tutte le forze aziendali, “dai dati all’azione”

Elaborare e sfruttare a proprio vantaggio il Bilancio di Sostenibilità non è però un’operazione semplice e immediata. È necessario coinvolgere tutta la dimensione aziendale – fa notare ancora Federica Alba -, dalle risorse umane alla produzione, sino a contabilità, al marketing, alle vendite. Questo è uno dei motivi che rendono così lunghe le tempistiche, ma si tratta di un investimento necessario”.

Nella sua proposition, Ayming mette al centro proprio l’importanza del coinvolgimento di tutte le forze aziendali: “Per arrivare alla stesura di un Bilancio efficace, veritiero e ben strutturato è necessario instaurare una collaborazione molto forte – conclude Pasquale Marra -. Come già espresso a vari livelli, la rendicontazione di sostenibilità riflette le azioni, i valori e la cultura dell’organizzazione: abbiamo bisogno delle voci delle varie funzioni aziendali per capire come improntare, e poi monitorare, il percorso di Sostenibilità”.

Ma l’approccio all inclusive si estende anche oltre, dalle persone alle azioni: “Partiamo insieme dalla fase zero dell’assessment, in cui identifichiamo i margini di miglioramento e le aree di efficienza, per arrivare a valutare obiettivamente il grado di maturità dell’impresa e quindi definire un percorso di sostenibilità realistico e plausibile. Su questa base, tenendo presenti le singole necessità e i bisogni specifici, viene disegnato un piano di azione ESG fondato su KPI particolarmente significativi in relazione agli obiettivi aziendali”.

Saranno questi, infine, a orientare le azioni di monitoraggio e rendicontazione capaci di dar corpo a quel documento che – sotto il nome di Bilancio di sostenibilità – si presenta come la più chiara, esaustiva, trasparente vetrina sulle politiche, le pratiche e gli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale messi in atto dall’impresa nel suo impegno verso un futuro più sostenibile.

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