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Circular Economy Report 2024: rallenta l’Italia dell’economia circolare



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I risultati della tradizionale ricerca realizzata dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano segnalano una contraddizione tra un’adozione di pratiche circolari in diminuzione rispetto al passato e una crescita di attenzione da parte del mondo finanziario

Pubblicato il 13 dic 2024

Mauro Bellini

Direttore Responsabile ESG360.it, EnergyUP.Tech e Agrifood.Tech



Circular Economy Report 2024
Fonte: Circular Economy Report 2024 – Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano

Per quale motivo, proprio quando il mondo finanziario mostra segnali di maggior attenzione verso progetti di economia circolare, la percentuale delle aziende che scelgono di adottare almeno una “pratica di circolarità” inizia scendere? Questo è uno degli interrogativi più interessanti per i quali si possono trovare spunti e indicazioni preziose nel Circular Economy Report 2024, preparato come ogni anno dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano.

Circular Economy Report: l’adozione in Italia arriva al 42%

Il dato di riferimento riguarda l’adozione delle pratiche di economi circolare da parte delle aziende. La percentuale è ampiamente sotto il 50% con una media del 42% nella quale si riflette il 46% delle grandi aziende che convive con un 36% che guarda con scetticismo alla circolarità e non ha in cassetto nessun piano per affrontarla. Nelle Piccole e medie la quota di chi non è convinto delle prospettive di questo modello sale sino a sfiorare il 40%.

Chi ha avviato percorsi di circolarità ha scelto primariamente di attuare forme di riciclo nel 60% dei casi, ha iniziato ad avviare forme di progettazione senza scarti in una quota che arriva al 43% mentre, nel 48% dei casi ha messo al lavoro la propria R&D per attuare forme di design in grado di facilitare la riparazione.

Poche le pratiche di riparazione e un segnale interessante sulla servitizzazione

Sono invece ancora poche le aziende che si impegnano in pratiche di riparazione (sarebbe peraltro interessanete a questo proposito analizzare il rapporto che ancora fatica ad attivarsi tra remanufactuirng ed economia circolare) arrivando a una quota dell’8%, mentre mostra qualche segnale interesante il processo di “servitizzazione” che arriva al 22% piuttosto che la riconsegna dei prodotti al 28%.

Segnali, perplessità e dubbi che al contrario se si traducessero in fiducia e in progetti potrebbero contare sull’attenzione che arriva da un sistema finanziario sempre più propenso a investimenti verso imprese che adottano modelli circolari. Con una crescita del 74% in più rispetto all’anno precedente il comparto dei green bond delle principali banche italiane stanno arrivando a quota 8 miliardi di euro, in un trend che sta favorendo anche la crescita dei servizi di advisory negli ambiti della sostenibilità che mette a segno a sua volta un +25%. Una crescita che dovrebbe portare questa specifica area della consulenza verso un volume d’affari di 800 milioni di euro, che corrisponde a una fetta pari al 13% del totale della consulenza ndl nostro paese.

Il focus su certificazione e studi legali del Circular Economy Report

Uno sviluppo che si muove in un panorama ancora molto disomogeneo. Gli enti di certificazione, gli studi legali e le strutture che erogano formazione stanno crescendo lentamente e non stanno coprendo in modo adeguato il territorio nazionale, come in tante altre circostanze il Sud appare in larga misura scoperto.

Gli enti di certificazione poi meritano una speciale attenzione in quanto sono determinanti nel garantire sostegno e qualità in tutte le attività che concorrono a favorire la transizione verso l’economia circolare. Ad esempio attraverso i servizi di verifica della conformità alle diverse norme che certificano la circolarità: al momento rappresentano solo il 10% del totale e sono quasi completamente assenti al Sud.

Più specificamente il report mette in evidenza che se si prendono in considerazione i primi 50 studi legali italiani sulla base di una metrica di fatturato, quelli che mettono a disposizione servizi dedicati alla sostenibilità e all’economia circolare arrivano al 54% e sono collocati prevalentemente in Lombardia e nel Lazio, mentre si fatica a trovarli nelle regioni del Sud.

I risparmi che arrivano dall’adozione di modelli circolari

Tornando allo sguardo del mondo finanziario non si può soprassedere sul fatto che quella che arriva da questo mondo non è certo un’attenzione disinteressata. Particolarmente significativo è il dato secondo il quale le imprese italiane che hanno adottato modelli di economia circolare hanno risparmiato nel complesso qualcosa come 800 milioni di euro rispetto al 2023. Un risultato che segna purtroppo una inversione di tendenza a fronte di aumento che all’epoca era stato di 1.200 milioni. Ma a prescindere dal dato contingente il report sottolinea che sul 2024 il risparmio totale si ferma a 16,4 miliardi, a fronte di un risparmio potenziale stimato in 119 miliardi ottenibile entro il 2030. È come disporre di un “tesoretto” circolare che viene sfruttato al momento solo al 14% del potenziale. E questo “spazio di crescita” attira certamente l’interesse del mondo finanziario.

Circular Economy Report 2024
Fonte: Circular Economy Report dell’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano per il 2024

Lo sguardo del Circular Economy Reprot alla dimensione degli investimenti

Una ulteriore dimensione del Circular Economy Report 2024 va a tastare il polso delle imprese in funzione della loro circolarità e il risultato invita a una ulteriore riflessione. L’adozione media dei modelli circolari vede le aziende collocarsi un po’ meno al di sotto della metà in una scala da 1 a 5. Il valore che emerge dal report è pari a 2,24 e solo una sparuta minoranza che arriva al 3% del campione ritiene di posizionarsi sul 5. Significativo che questo gruppo di aziende appartenga in larga misura al mondo degli imballaggi.

Lo stesso valore degli investimenti parla di una interpretazione presumibilmente tattica considerando che i 50.000 euro di taglia media che escono dalle indicazioni del 50% circa del campione difficilmente può permettere di dare corso a progetti di trasformazione strategica. Una prospettiva che trova una sorta di conferma anche dal dato secondo il quale per il 41% delle imprese i tempi per il ritorno degli investimenti sono inferiori ai 12 mesi.

In definitiva, secondo il Circular Economy Report dell’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano per il 2024 si deve purtroppo mettere a consuntivo un leggero peggioramento della situazione. La ricerca è stato realizzata sentendo 550 imprese italiane sulla base di un campione più ampio rispetto agli anni precedenti che non permette una comparazione oggettiva con il passato ma che lascia in ogni caso intravvedere un trend in negativo.

L’economia circolare non è entrata nel core business

Per Vittorio Chiesa, direttore di Energy&Strategy il Circular Economy Report induce a prendere atto che le pratiche di economia circolare non sono ancora entrate nel core business delle imprese mentre, prendendo a riferimento la totalità del campione, è ragionevole pensare che ci si trovi in una fase ancora esplorativa delle possibili soluzioni.

Davide Chiaroni, vicedirettore di Energy&Strategy mette in evidenza una analogia con l’evoluzione che ha caratterizzato il risparmio energetico: nel caso di una certa tipologia di interventi, come nel recupero e nella valorizzazione degli scarti, non ci sono stati problemi, ma nel momento in cui si è reso necessario investire nella riorganizzazione dei processi industriali e delle filiere, lo scenario è cambiato.

L’economia circolare in Italia vista da un’altra prospettiva

Quale giorno prima della presentazione del Circular Economy Report dell’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano era stata rilasciato il focus on di SACE sull’economia circolare. Nel servizio preparato da ESG360 si metteva in evidenza come l’Italia fosse leader in Europa sull’economia circolare con un tasso del 18,7% e come il nostro paese avesse incrementato il proprio tasso di circolarità di oltre 7 punti percentuali dal 2010 superando la media europea che è all’11,5%.

Si tratta naturalmente di una analisi diversa ma è utile osservare come in entrambi i casi vengano segnalati gli effetti positivi sulla produttività e competitività che possono arrivare dall’economia circolare in termini di miglioramento dell’impronta carbonica, di riduzione dei costi, di accesso al credito. Il punto chiave, in particolare per quanto attiene al Focus di SACE riguarda l’attenzione fondamentale all’evoluzione delle filiere. Un impegno strategico questo, indispensabile per creare un circolo virtuoso fra imprese diverse e che attribuisce un ruolo speciale a quelle imprese che sono nella condizione di guidare o influenzare l’evoluzione delle filiere produttive.

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