Riso, frumento, canna da zucchero e mais. Alla domanda su quali coltivazioni contribuiscono maggiormente alle emissioni di CO2 nel mondo agroalimentare la risposta, basata sui dati resi disponibili da Statista indica alcune delle colture alimentari più diffuse sul pianeta. Se poi si aggiunge la visione dei dati FAO si vede che il 50% delle terre coltivate fanno crescere riso, grano e mais mentre il restante 50% va suddiviso su circa 150 colture. In termini di emissioni complessive queste coltivazioni contribuiscono a comporre il quadro generale del mondo agroalimentare al quale viene attribuito il 33% delle emissioni globali.
Come conciliare crescita della popolazione e riduzione delle emissioni
Il grande tema della trasformazione dei sistemi alimentari e della riduzione delle emissioni a livello globale non può non tenere in considerazione la ricerca di una difficilissima sintesi tra una popolazione in crescita verso i 10 miliardi di persone entro il 2050 e il raggiungimento per quella stessa data della neutralità climatica.
Non è dato evidentemente pensare a una riduzione della capacità produttiva, mentre appare sempre più urgente lavorare alla creazione di un sistema alimentare relativo ai consumi e alla produzione che non sia più così sbilanciato su poche colture. Si deve considerare a questo proposito che il pianeta conta su risorse straordinarie che fanno riferimento a più di 6 mila specie, ma di queste solo 200 circa sono rilevanti quantitativamente per sfamare la popolazione mondiale e, focalizzando l’attenzione solo questa ristretta famiglia si registra che sono meno di dieci quelle che esercitano un ruolo fondamentale in termini di produzione alimentare per oltre il 60% della popolazione.
Alla fiducia nell’innovazione, per portare pratiche produttive e tecnologie che consentano di ridurre le emissioni CO2 a parità di capacità produttiva per riso, grano, canna da zucchero e tanto altro, va certamente affiancata anche una maggiore e vera fiducia nella biodiversità e nella capacità di far leva sul contributo che può arrivare da tante altre produzioni oggi ampiamente trascurate.
In particolare, per quanto riguarda le prospettive dell’agroalimentare Made in Italy, è interessante vedere come la necessità di uscire dalle logiche produttive di commodity permette di privilegiare e aumentare la qualità dei prodotti e dei processi produttivi.
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