La crisi climatica in cui il pianeta è sprofondato a causa delle attività umane è arrivata a un punto quasi irreversibile, a meno di riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra. Questo, in estrema sintesi, il quadro estremamente allarmante che arriva dal sesto rapporto dell’IPCC ( Intergovernmental Panel on Climate Change, il principale organismo internazionale in materia) sui cambiamenti climatici, che rappresenta l’ennesima doccia gelata sulle speranze di contenimento di questa minaccia. Che pure si erano affacciate nel 2020, in particolare per la riduzione temporanea delle emissioni di CO2 a livello globale (-7%), come conseguenza della pandemia e delle correlate restrizioni alla libertà di spostamento delle persone. Eppure, questo improvviso cambiamento non ha prodotto alcun effetto apprezzabile sulla concentrazione di CO2 in atmosfera, né sulla crescita delle temperature del nostro pianeta. Tanto che la concentrazione dei principali gas serra è oggi la più elevata degli ultimi 800.000 anni. Con conseguenze che si commentano da sole: ad esempio la temperatura media globale del pianeta nel decennio 2011-2020 è stata di 1.09°C superiore a quella del periodo 1850-1900, con un riscaldamento più accentuato sulle terre emerse rispetto all’oceano.
L’influenza del fattore umano
Il report IPCC, come fa notare il grafico successivo in maniera lampante, sgombra il campo da un equivoco che ancora oggi si affaccia tra i non addetti i lavori. Le temperature del pianeta non stanno aumentando per ragioni naturali: al contrario, la parte preponderante del riscaldamento climatico osservato è causata dalle emissioni di gas serra derivate dalle attività umane. Anche perché nel corso degli ultimi 50 anni la temperatura della Terra è cresciuta a una velocità mai osservata negli ultimi 2000 anni. Un’ulteriore evidenza è che l’anidride carbonica (CO2) costituisce il principale motore del cambiamento climatico, anche se altri gas serra e inquinanti atmosferici influenzano il fenomeno.
Lo scioglimento dei ghiacciai
Il riscaldamento climatico, ovviamente, favorisce uno scioglimento delle aree ghiacciate del pianeta: basti pensare che nell’ultimo decennio l’estensione dei ghiacci dell’Artico durante l’estate è stata la più bassa degli ultimi 1000 anni e la riduzione dell’estensione dei ghiacciai terrestri non ha precedenti negli ultimi 2000 anni. La progressiva riduzione delle aree ghiacciate comparta un innalzamento del livello del mare, che fra il 1901 e il 2020 è stato di 20 cm, con una crescita media di 1.35 mm/anno dal 1901 al 1990 e una crescita accelerata di 3.7 mm/anno fra il 2006 e il 2018. A rischio ci sono le aree costiere del pianeta, che saranno interessate da un continuo innalzamento del livello del mare per tutto il 21° secolo, che contribuirà a inondazioni costiere più frequenti e gravi nelle aree pianeggianti e all’erosione costiera.
Gli altri effetti del climate change
Ma a parte questi effetti abbastanza conosciuti, il report dell’IPCC ha il pregio di mostrare come il cambiamento climatico stia provocando molteplici cambiamenti anche in altri ambiti, ad esempio influenzando i cicli delle pioggia. Ad alte latitudini, è probabile che le precipitazioni aumentino, mentre si prevede che diminuiscano su gran parte delle zone subtropicali. Sono previsti inoltre importanti cambiamenti nelle precipitazioni monsoniche. I cambiamenti nell’oceano, compreso il riscaldamento, le ondate di calore marine più frequenti, l’acidificazione degli oceani e la riduzione dei relativi livelli di ossigeno sono destinate a pesare sia sugli ecosistemi oceanici che sulla vita delle persone che fanno affidamento su tali risorse. A rischio particolare ci sono poi le città, dal momento che alcuni aspetti del cambiamento climatico possono essere amplificati in queste aree, che sono generalmente più calde dell’ambiente circostante.
Come contenere il riscaldamento globale
Soprattutto, il rapporto fornisce nuove stime sulla possibilità di superare il livello di riscaldamento globale di 1,5°C nei prossimi decenni e rileva che, a meno che non siano prese in atto misure stringenti di taglio dei gas a effetto serra, la limitazione del riscaldamento a circa 1,5°C o anche 2°C sarà irraggiungibile. A 2°C di riscaldamento globale, gli estremi di calore raggiungerebbero sempre più spesso soglie di tolleranza critiche per l’agricoltura e la salute umana. Ecco perchè l’unica possibilità di contenimento del climate change consiste nello scenario denominato SSP1.9, che prevede diminuzione delle emissioni globali di gas serra già dal 2020 e, soprattutto, il raggiungimento di emissioni nette di CO2 pari a zero al 2050, come al momento previsto soltanto dalla Ue.
Il rapporto dell’IPCC non affronta nel dettaglio gli impatti della crisi climatica sugli esseri umani, né i modi per mitigare il riscaldamento del pianeta e i suoi impatti, dal momento questi argomenti saranno affrontati nelle restanti tre parti del sesto rapporto di valutazione, che dovrebbe essere completato e pubblicato il prossimo anno. È chiaro, però, che la decarbonizzazione completa passa dall’addio ai combustibili fossili, non solo nella produzione energetica con le fonti rinnovabili ma anche in quella industriale (basti pensare all’acciaio), nonché da una estrema attenzione alle soluzioni innovative.