Speciale COP26

La COP26 si chiude: resta l’obiettivo degli 1,5° C, ma le strategie nazionali sono rimandate al 2022

Si chiude con una serie di compromessi la Conferenza sul clima di Glasgow: passi in avanti sulla fine dei combustibili fossili, molte timidezze nel testo finale, ma le associazioni ambientaliste non bocciano i risultati

Pubblicato il 14 Nov 2021

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In ritardo di decine di ore, con tanti (forse inevitabili) compromessi nel testo e diverse timidezze di troppo: la COP26, dopo oltre due settimane di lavori, si è chiusa con un accordo, il Patto per il clima di Glasgow (Glasgow Climate Pact), che è stato ratificato da quasi 200 Paesi. Scongiurato quindi il fallimento della Conferenza e un mancato accordo, che avrebbe avuto delle conseguenze catastrofiche sulla possibilità di fermare il climate change, cerchiamo di capire cosa effettivamente contenga il patto e di comprendere se il bicchiere possa essere definito mezzo pieno o mezzo vuoto. Il punto fondamentale, probabilmente, è che nel patto resta il riferimento al contenimento del climate change a 1,5°C entro fine secolo, che dovrà essere realizzato con sforzi globali concertati e immediati. I paesi firmatari dovranno raggiungere collettivamente il 50% di riduzione di CO2 entro il 2030 e innalzare i propri impegni di conseguenza, rispettando l’obiettivo di 1,5°C. Ma in che modo? Qua c’è, probabilmente, la prima delusione: gli obiettivi di emissione nazionali dei diversi stati Nationally Determined Contributions (NDC) , con i tagli previsti in chiave 2030, non sono stati decisi a Glasgow ma sono stati rimandati al 2022. Dunque bisognerà vedere se tra 12 mesi, con un’attenzione mediatica inferiore rispetto a oggi e magari nuove priorità in agenda, questi impegni al rialzo saranno effettivamente confermati o annacquati. Dalla COP26, in questo senso, esce la promessa di una tavola rotonda politica annuale per considerare i progressi globali e un vertice dei leader nel 2023.

Un compromesso sul carbone

Sul versante energetico, dalla COP26 per la prima volta è stata messa nero su bianco la necessità di affrontare l’uscita del Pianeta dai combustibili fossili, in particolare dal carbone. Dopo svariate riscritture, il testo è stato sicuramente annacquato rispetto alle origini, tanto che si parla di riduzione e non di eliminazione, ma secondo un’associazione ambientalista come Greenpeace, non deve essere disprezzato. «La parte del testo sull’eliminazione graduale del carbone e dei sussidi ai combustibili fossili è un debole compromesso, ma si tratta comunque di un passo avanti, e l’attenzione data alla necessità di una transizione equa è essenziale. La richiesta di ridurre le emissioni del 45% entro la fine di questo decennio è in linea con ciò che occorre fare per rimanere al di sotto di 1,5°C e questo accordo riconosce la scienza. Ma dovrà essere implementato», ha commentato il Direttore Esecutivo di Greenpeace International Jennifer Morgan.

Secondo il WWF, invece “Questa COP per la prima volta menziona i sussidi ai combustibili fossili in un testo finale approvato. Questo è un elemento importante, così come il riconoscimento della necessità di accelerare gli investimenti in energia pulita, garantendo allo stesso tempo una giusta transizione. Il primo testo è stato ben accolto dal WWF, che però è rimasto profondamente deluso dall’annacquamento del linguaggio sul carbone che è passato da phase-out a phase-down per un singolo paese, l’India. Il WWF sottolinea che sono necessari un linguaggio forte, nonché scadenze e modi di operare chiari se si vuole raggiungere la transizione necessaria da tutti i combustibili fossili. I paesi sanno che non si potrà mai risolvere la crisi climatica senza una profonda decarbonizzazione in ogni settore, azioni concrete per fermare la perdita della natura, e un restauro su larga scala”. Altri passi in avanti sono stati fatti in termine di Net Zero emissions: come si legge nel testo finale della COP26, quando il Regno Unito ha assunto la guida di COP26, in collaborazione con l’Italia, ovvero due anni fa, solo il 30% del mondo era coperto da obiettivi netti zero. Questa cifra è ora intorno al 90%. Nello stesso periodo, 154 Parti hanno presentato nuovi obiettivi nazionali. Certo l’obiettivo temporale per il Ne Zero Emissions non è sempre al 2050 (l’India ad esempio indica il 2070), ma la strada è tracciata e nulla toglie che in futuro possano essere presi degli impegni più accelerati.

Gli impegni su metano e deforestazione

Importante è anche un accordo firmato da Unione Europea, Usa e altri 100 Paesi sul metano, ormai considerato dagli scienziati più dannoso della CO2 per il climate change: con la Global Methane Pledge, questi stati si impegnano a raggiungere l’obiettivo collettivo di ridurre le emissioni globali di metano di almeno il 30 percento rispetto ai livelli del 2020 entro il 2030. Sul fronte dell’adattamento al climate change, i paesi sviluppati sono stati invitati a raddoppiare il loro sostegno ai paesi in via di sviluppo entro il 2025. Una mossa salutata con parziale soddisfazione da Greenpace: “La COP26 ha fatto qualche progresso nell’adattamento ai cambiamenti climatici: i Paesi sviluppati hanno finalmente cominciato ad ascoltare le richieste dei Paesi in via di sviluppo, aumentando i finanziamenti necessari per affrontare l’aumento delle temperature. È stato riconosciuto che i Paesi più vulnerabili stanno già subendo perdite e danni reali a causa della crisi climatica, ma quel che è stato promesso non si avvicina neppure a ciò che sarebbe necessario. Questo problema deve essere in cima all’agenda dei Paesi sviluppati alla COP che l’anno prossimo si terrà in Egitto», ha evidenziato Morgan. Più concreti, probabilmente, gli impegni per la protezione degli habitat naturali, con il 90% delle foreste mondiali che sono state coperte da un impegno siglato da 130 paesi per porre fine alla deforestazione entro il 2030.

Un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?

In definitiva, come valutare la COP26? Una buona chiosa arriva dalle parole del segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres: “I testi approvati sono un compromesso. Riflettono gli interessi, le condizioni, le contraddizioni e lo stato della volontà politica nel mondo di oggi. Fanno passi importanti, ma purtroppo la volontà collettiva non ha consentito alla politica di superare alcune profonde contraddizioni. Il nostro fragile pianeta è appeso a un filo. Stiamo ancora bussando alla porta della catastrofe climatica. È tempo di entrare in modalità di emergenza, o la nostra possibilità di raggiungere lo zero netto sarà di per sé zero (..). Come disse il grande scrittore scozzese Robert Louis Stevenson: “Non giudicare ogni giorno dal raccolto che raccogli, ma dai semi che pianti“. Insomma, al netto di diverse delusioni e di alcuni rinvii di troppo, qualche progresso a Glagow si è visto. E soprattutto, le istanze dell’ambientalismo, ancora una decina di anni fa viste come catastrofiste o utopiste, sono ora pienamente parte dell’Agenda politica globale.

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Gianluigi Torchiani

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