“Il modo in cui le aziende ad alta intensità di anidride carbonica affrontano la transizione verso la riduzione delle emissioni è una questione profondamente strategica, sia per quanto riguarda i loro prodotti e servizi sia per il modo in cui operano. Quando si guarda a questo in un contesto di investimento, dobbiamo considerare i diversi ambiti delle emissioni di anidride carbonica, dove appaiono nella catena del valore, e quali saranno le implicazioni dei vari percorsi di transizione verso le basse emissioni di anidride carbonica sulle entrate di un’azienda, sui costi, sul posizionamento competitivo e infine sulla licenza ad operare”. Lo afferma Abbie Llewellyn-Waters, Head of Sustainable Investing di Jupiter AM gruppo di gestione di fondi del Regno Unito, che gestisce investimenti azionari e obbligazionari per investitori privati e istituzionali, analizzando l’approccio verso la decarbonizzazione del mondo dei fondi di investimento. “Quando consideriamo cosa farà un’azienda, come investitori abbiamo bisogno di analizzare la strategia aziendale – prosegue – Prendere un impegno verso il net zero o allinearsi all’Accordo di Parigi è un primo passo importante, ma affinché una società possa convincerci davvero vogliamo che presenti piani dettagliati, credibili e irreversibili su come raggiungeranno una decarbonizzazione sostenibile. Questi elementi dovrebbero preferibilmente essere sostenuti da obiettivi a breve, medio e lungo termine sul fronte delle emissioni stesse e da traguardi strategici e di allocazione del capitale che intendono raggiungere. Senza tutto ciò – sottolinea Llewellyn-Waters – questi impegni rischiano di essere promesse vuote, facilmente reversibili dai consigli di amministrazione e dagli amministratori delegati che verranno nominati in futuro. Cercare di capire e quantificare i potenziali impatti futuri della politica climatica sulle operazioni e sull’offerta di una società o sulla domanda dei suoi prodotti è complesso, soprattutto in assenza di una standardizzazione della misurazione e di un’armonizzazione degli standard di reporting”.
“In definitiva – argomenta Llewellyn-Waters – ciò che cerchiamo è la riduzione delle emissioni. La credibilità del piano di transizione verso basse emissioni di anidride carbonica di un’azienda è incorporata nella misura in cui la stessa intende proseguire lo status quo e utilizzare meccanismi di compensazione e cattura del carbonio per raggiungere i suoi obiettivi di riduzione, non da ultimo data la vasta superficie che sarebbe necessaria per fornire le compensazioni attraverso il rimboschimento. Come investitori diamo la priorità alla riduzione delle emissioni nel mondo reale come il percorso più diretto e affidabile per l’allineamento a un mondo a basse emissioni di anidride carbonica. Ci aspettiamo che questo sia una parte importante del dibattito politico”.
“Ci aspettiamo che le informazioni sul rischio climatico diventino più diffuse e standardizzate, e che sempre più società facciano disclosure. In combinazione con la direzione politica più chiara che ci aspettiamo nei prossimi anni, questo dovrebbe permettere agli investitori di essere più fiduciosi nell’internalizzare i costi del cambiamento climatico nei loro modelli di valutazione e vedere gli effetti diretti del pagamento del carbonio sulla base dei costi di un’azienda. Essere preparati sul fronte dei portafogli e delle asset class a questi inevitabili sviluppi politici – conclude Llewellyn-Waters – è un fattore chiave per i rendimenti a lungo termine. In qualità di gestori è importante far comprendere ai nostri clienti che l’allocazione del capitale può giocare un ruolo cruciale nel guidare il cambiamento verso un mondo migliore, e come i loro risparmi producano risultati nel mondo reale – per il pianeta, per le persone e per il profitto”.