“Obiettivi finanziari chiari per la mitigazione, l’adattamento e la perdita e il danno e per i paesi sviluppati, in particolare dal G7. Il tutto integrato da una tabella di marcia per meccanismi di finanziamento trasparenti, accessibili e basati su sovvenzioni. E da altrettanti obiettivi finanziari chiari per mobilitare il settore privato e altri attori non statali, riconoscendo nel contempo il ruolo indispensabile delle finanze pubbliche dei paesi sviluppati per i paesi in via di sviluppo”.
Intervistata dal Centro informazioni regionale delle Nazioni Unite (Unric), Inge Jonckheere, una delle coautrici dell’ultimo Report IPCC (SCARICA QUI IL DOCUMENTO COMPLETO) e International Team Leader presso l’Onu per l’Alimentazione e l’Agricoltura, non ha dubbi: “Sono questi i risultati concreti che mi aspetto dalla Cop27: l‘ultimo rapporto dell’IPCC mostra infatti che il tempo sta finendo per limitare il riscaldamento globale entro 2°C o 1,5°C sopra i livelli preindustriali entro la fine del secolo, e questo è il minimo indispensabile per evitare la catastrofe. Mostra inoltre che le emissioni di gas serra (GHG) prodotte dall’uomo sono a livelli record e che le temperature mondiali rischiano di aumentare da 3,3°C a 5,4°C entro il 2100 se gli impegni attuali non vengono attuati e in assenza di nuove politiche climatiche. Dunque non resta che agire, subito. Non abbiamo più scelta“.
Decarbonizzare a costi inferiori
Ma in che modo la Conferenza egiziana potrà concretamente dare una svolta al cammino verso la piena realizzazione dell’Accordo di Parigi? “È possibile combinare crescita economica e riduzione delle emissioni – afferma Jonckheere –. Dal 2010 al 2015, 43 paesi su 166 hanno registrato una crescita del PIL mentre le loro emissioni si sono stabilizzate o diminuite . Tra questi paesi ci sono un gruppo di 26 paesi sviluppati, inclusi alcuni paesi dell’UE e gli Stati Uniti, e alcuni paesi in via di sviluppo, come Cuba”.
Il rapporto IPCC, in questo senso, parla chiaro. E dimostra che le opzioni per ridurre le emissioni di gas a effetto serra sono disponibili a un costo inferiore a 100 USD per tCO2-eq (ton CO2 equivalente), a seconda delle condizioni e delle situazioni del paese. Le opzioni che costano meno di 20 USD per tCO2-eq rappresentano più della metà del potenziale di riduzione del 2030.
“Dimezzare le emissioni oggi è possibile in tutti i settori: ecco come”
Ma quali sono le leve e i comparti su cui è possibile agire? Secondo Jonckheere, “tutti i settori dovrebbero cercare di ridurre al massimo. Attualmente esistono opzioni in grado di dimezzare le emissioni entro il 2030 in tutti i settori.
La riduzione delle emissioni nel settore energetico richiederà importanti transizioni , che comportano una sostanziale riduzione dell’uso complessivo di combustibili fossili, l’uso della cattura e dello stoccaggio del carbonio, i sistemi energetici a basse o nulle emissioni di carbonio, l’elettrificazione diffusa, l’uso di combustibili alternativi come l’idrogeno e i biocarburanti sostenibili , e una migliore efficienza energetica.
Il settore industriale può ridurre le emissioni utilizzando i materiali in modo più efficiente, riutilizzando e riciclando i prodotti e riducendo al minimo i rifiuti.
Nel settore dei trasporti, i veicoli elettrici, abbinati all’elettricità a basse o zero emissioni, offrono il maggior potenziale. I progressi nelle tecnologie delle batterie potrebbero aiutare nell’elettrificazione dei camion e integrare le ferrovie elettriche convenzionali. Idrogeno e biocarburanti a basse emissioni offrono alternative nel trasporto marittimo e nell’aviazione.
Ultimo ma sicuramente non meno importante, il settore dell’agricoltura, della silvicoltura e di altri usi del suolo non solo può fornire riduzioni su larga scala delle emissioni di gas a effetto serra, ma può anche rimuovere e immagazzinare CO2 su larga scala. Questo avvantaggia la biodiversità e ci aiuta a garantire mezzi di sussistenza, cibo e acqua, nonché forniture di legno”.
“La politica può agire, ma serve cooperazione a tutti i livelli”
Per andare in questa direzione, i politici riuniti a Sharm el Sheikh dovranno assumere decisioni cruciali. “Molti strumenti politici esistenti, come gli incentivi alla generazione di energia rinnovabile, l’efficienza dei veicoli e l’efficienza energetica negli edifici e nell’industria, possono essere ampliati come parte di un pacchetto di politiche climatiche per sostenere profonde riduzioni delle emissioni – chiarisce la studiosa -. Ciò richiede la cooperazione tra i dipartimenti governativi e a diversi livelli di governo e deve basarsi sull’impegno con la società civile, i gruppi indigeni, gli organismi professionali, le imprese e il settore finanziario.
Il raggiungimento di ambiziosi obiettivi climatici si basa infatti sulla cooperazione internazionale, a livello nazionale e locale. Ad esempio, le reti delle amministrazioni cittadine stanno portando a una maggiore ambizione e allo sviluppo delle politiche: “Entro il 2050 – fa notareJonckheere -, una combinazione di politiche efficaci, infrastrutture e tecnologie migliorate che portano a un cambiamento comportamentale ha il potenziale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra tra il 40 e il 70%”.
“Sorretti dalla tecnologia, tutti possiamo contribuire alla causa”
Secondo l’esperta, cambiamenti significativi nei trasporti, nell’industria, negli edifici e nell’uso del territorio “renderanno più facile per le persone condurre stili di vita a basse emissioni di carbonio e, allo stesso tempo, miglioreranno il benessere”. “La tecnologia e le infrastrutture – spiega – devono facilitare le scelte individuali per ridurre le proprie emissioni, ad esempio rendendo più facile camminare o andare in bicicletta, condividere l’auto e utilizzare i trasporti pubblici; consentire la riparazione, piuttosto che la sostituzione dei prodotti; migliorare il riciclaggio e ridurre gli sprechi alimentari; e fornendo opzioni per diete a base vegetale più equilibrate”.
Ma avere una ricetta magica valida per tutti è impensabile: “Il rapporto IPCC è un rapporto globale che affronta un’enorme varietà di background e condizioni di vita, quindi una soluzione unica non è possibile – aggiunge la studiosa, che ha un dottorato di ricerca in Telerilevamento e Osservazione della Terra per i cambiamenti climatici e un Master in Bioingegneria in Belgio -. . Non tutti hanno abbastanza accesso alle proteine per diventare vegetariani, e senza infrastrutture è difficile camminare o andare in bicicletta”.