Al netto delle divergenze diplomatiche, delle cronache di costume, delle polemiche e degli scetticismi, qual è il vero peso di Cop26, la Conferenza Onu sul clima in corso a Glasgow sino al prossimo 12 novembre? Per capire la portata dell’evento e i possibili risultati concreti cui porterà è necessario partire dai numeri. Emissioni, Pil, gradi di temperatura, impegni di decarbonizzazione: è partendo da questi fattori che si sono delineati gli obiettivi del summit. Ed è arrivando a questi stessi dati che, al termine dell’evento, sarà possibile valutarne il successo o, come molti purtroppo presagiscono, il fallimento.
Ecco dunque tutti i numeri e le nozioni che bisogna conoscere per comprendere davvero Cop26.
Gli obiettivi della COP26
Partiamo da un dato: come parte dell’accordo di Parigi, ogni Paese ha accettato di comunicare o aggiornare ogni cinque anni i propri obiettivi di riduzione delle emissioni – detti Contributi determinati a livello nazionale (NDC) – in modo da riflettere la più alta ambizione possibile e una progressione dell’impegno nel tempo. Questi obiettivi stabiliscono fino a che punto ciascun Paese intende ridurre le emissioni di tutta la propria economia e/o di specifici settori. Il primo di questi cicli quinquennali si è concluso nel 2020: a Glasgow verranno annunciati gli aggiornamenti degli obiettivi per il 2030.
Sulla base di questo importante impegno, sono sostanzialmente 4 gli obiettivi da raggiungere attraverso la COP26:
Assicurare lo zero netto globale entro la metà del secolo e mantenere l’obiettivo 1,5 gradi “a portata di mano”. Ai Paesi viene chiesto di presentare ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030, in accordo con il raggiungimento dello zero netto entro la metà del secolo. Per raggiungere questi ambiziosi, i Paesi dovranno accelerare l’eliminazione graduale del carbone, ridurre la deforestazione, accelerare il passaggio ai veicoli elettrici e incoraggiare gli investimenti nelle rinnovabili
Adattarsi per proteggere le comunità e gli habitat naturali.
Il clima sta già cambiando e continuerà a cambiare anche se riduciamo le emissioni, con effetti devastanti. Alla COP26 bisognerà quindi lavorare insieme per consentire e incoraggiare i Paesi colpiti dai cambiamenti climatici a proteggere e ripristinare gli ecosistemi e costruire difese, sistemi di allarme e infrastrutture e agricoltura resilienti per evitare la perdita di case, mezzi di sussistenza e persino vite umane.
Mobilitare la finanza. Per raggiungere i primi due obiettivi, i Paesi sviluppati devono mantenere la loro promessa di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima entro il 2020. Le istituzioni finanziarie internazionali devono fare la loro parte per liberare i trilioni di finanziamenti del settore pubblico e privato necessari per garantire lo zero netto globale.
Collaborare per raggiungere risultati. Le sfide della crisi climatica possono essere vinte solo lavorando insieme. Alla COP26 sarà quindi necessario finalizzare il Paris Rulebook (le regole dettagliate che rendono operativo l’Accordo di Parigi) e accelerare l’azione per affrontare la crisi climatica attraverso la collaborazione tra governi, imprese e società civile.
I numeri chiave
2030-2050
La sfida è quella di ridurre i gas serra entro il 2030 e azzerarli entro il 2050: al centro del confronto e dello scontro, le date e le quantità. Gli esperti fanno sapere che, concretamente, la riduzione di gas serra (anidride carbonica, metano e biossido di azoto) si può realizzare smettendo di bruciare combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) usati dall’industria ai trasporti, dalla produzione di energia all’agricoltura e passando alle energie pulite. Importante anche ridurre la deforestazione.
400-500 miliardi di tonnellate
Il nuovo rapporto dell’Ipcc, il gruppo intergovernativo di esperti in cambiamenti climatici, afferma che in questo momento emettiamo 40 miliardi di tonnellate di gas serra all’anno e siamo sulla traiettoria di un aumento medio della temperatura di 3,3 gradi centigradi rispetto ai livelli del 1880. Nel periodo 1850-2019, sono state emesse 2.400 miliardi di tonnellate di carbonio di origine antropica. Se si vuole rimanere entro 1,5 gradi ne rimangono a disposizione 400-500 miliardi che si possono emettere fino al 2050.
3 milioni di anni
L’Organizzazione meteorologica mondiale afferma che neanche il rallentamento dell’economia provocato dal Covid-19 ha ridotto la Co2. La quantità nell’atmosfera era 400 parti per milione nel 2015, solo cinque anni dopo, ha superato le 413 ppm e ad agosto scorso ha raggiunto il record di 419 ppm. L’ultima volta che la Terra ha sperimentato una concentrazione così alta di Co2 “e’ stato 3-5 milioni di anni fa – spiega lOrganizzazione -, quando la temperatura era di 2-3 gradi più calda e il livello del mare era di 10-20 metri più alto di adesso”.
-4% del Pil
Secondo i dati dell”’Atlante dei rischi climatici del G20. Impacts, policy, economics”, realizzato dalla Fondazione Cmcc (Centro euro mediterraneo sui cambiamenti climatici), nello scenario peggiore (cioè senza azioni urgenti per ridurre le emissioni di carbonio), le perdite di Pil dovute ai danni climatici nei paesi del G20, che rappresentano l’80% delle emissioni globali, saliranno a almeno il 4% annuo entro il 2050 e possono spingersi oltre l’8% entro il 2100, equivalente al doppio delle perdite economiche del blocco dovute a Covid-19.
Per l’Italia l’impatto sul Pil potrebbe raggiungere il 2-4% (36 miliardi, nello scenario migliore a basse emissioni) a metà secolo e tra il 3-8,5% (116 miliardi, lo scenario peggiore) a fine secolo. La perdita di attrattività delle destinazioni italiane (che diventano troppo calde, o perdono la neve durante la stagione invernale) può indurre una perdita fino a 17 e 52 miliardi di euro per la riduzione della domanda turistica sotto uno scenario, rispettivamente, di basse e alte emissioni.
380 milioni di tonnellate
Secondo l’Agenzia Onu per l’Ambiente, al gas metano si attribuisce la responsabilità del 30% del riscaldamento globale e dal periodo preindustriale ad oggi le sue emissioni sono più che raddoppiate. Ad oggi rilasciamo ogni anno in atmosfera circa 380 milioni di tonnellate di metano. La maggior parte delle emissioni prodotte dall’attività dell’uomo proviene da tre settori: agricoltura (40%), combustibili fossili (35%) e rifiuti (20%) Ma pur se fortemente responsabile del riscaldamento, il metano è più rapido da abbattere rispetto alla C02.
Secondo l’Agenzia, c’è un forte potenziale di abbattimento di circa il 20% delle emissioni provocate dall’uomo entro il 2030 con misure tecniche disponibili a basso costo o nullo mentre misure aggiuntive, come il passaggio dal gas naturale alle rinnovabili, cambi nelle diete e riduzione degli sprechi alimentari potrebbero aggiungere un 15% al potenziale di mitigazione del 2030. Quindi l’attuazione di tutte le misure, strutturali e comportamentali, potrebbe ridurre le emissioni di metano di di circa il 45% rispetto al 2015.
Prima di Cop26, gli impegni dei Paesi coprivano solo un terzo della riduzione di metano richiesta per raggiungere l’obiettivo di aumento di 2 gradi e solo il 23% di ciò che occorre per l’obiettivo 1,5 gradi.
+1,09 gradi
Secondo il rapporto State of Global Climate 2021 della Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), la temperatura media nel 2021, da gennaio a settembre, è stata di circa 1,09 gradi sopra la media 1850-1900, cioè sopra i livelli pre-industriali.
7 anni
Gli ultimi sette anni sono stati i più caldi da quando ci sono rilevazioni scientifiche della temperatura, e anche il 2021 si piazzerà fra il 5/o e il 7/o posto della classifica. Come si legge nel report, “entro la fine di questo secolo assisteremo a un aumento della temperatura di gran lunga superiore agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, che andavano da +1,5 a +2 gradi rispetto ai livelli preindustriali“, puntando a stare “ben al di sotto” dei +2 gradi.
4,4mm
Misurato dall’inizio degli anni ’90 da satelliti altimetrici ad alta precisione, “l’innalzamento medio globale del livello medio del mare è stato di 2,1 millimetri all’anno tra il 1993 e il 2002 e di 4,4 mm all’anno tra il 2013 e il 2021, un aumento di un fattore 2 tra i periodi”, a causa “principalmente alla perdita accelerata di massa di ghiaccio dai ghiacciai e dalle calotte glaciali”.
100 miliardi di dollari
A Parigi nel 2015 è stato fissato l’obiettivo per i paesi sviluppati di mobilitare collettivamente 100 miliardi di $ all’anno, tra il 2020 e il 2025, per aiutare i paesi in via di sviluppo a ridurre le proprie emissioni e a prepararsi agli effetti dei cambiamenti climatici. Sebbene l’obiettivo non sia ancora stato raggiunto, il recente Piano di attuazione dei finanziamenti per il clima elaborato dalla presidenza britannica della Cop26 indica che i paesi sviluppati compiranno progressi significativi verso l’obiettivo di 100 miliardi di $ nel 2022 ed esprime fiducia circa il suo conseguimento nel 2023. I dati fanno inoltre ragionevolmente sperare che in seguito i paesi sviluppati potranno mobilitare ogni anno una cifra persino superiore fino al 2025. Sebbene l’UE e i suoi Stati membri siano il principale erogatore di fondi pubblici internazionali per il clima, è necessario e urgente che altri paesi sviluppati contribuiscano in misura maggiore. In occasione della Cop26, la comunità dei donatori deve rassicurare collettivamente i paesi in via di sviluppo sul rispetto di questa promessa.
L’UE, i suoi Stati membri e la Banca europea per gli investimenti sono congiuntamente il principale contributore di finanziamenti pubblici per il clima a favore dei paesi in via di sviluppo, con oltre 21 miliardi di € (24,45 miliardi di $) solo nel 2020. L’UE e gli Stati membri sono anche il principale erogatore mondiale di aiuti pubblici allo sviluppo (per un totale di 67 miliardi di € nel 2020) e l’azione per il clima è sempre più integrata nell’assistenza.
Il punto di partenza: gli impegni sul tavolo
Ma da quale situazione parte la Cop26? Su quali impegni ragionerà?
Il quadro è frammentato e profondamente disomogeneo a livello globale.
- L’Ue ha presentato iI 21 aprile scorso gli obiettivi climatici, con una riduzione del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e la neutralità climatica al 2050.
- Gli Stati Uniti hanno annunciato una riduzione del 50-52% rispetto ai livelli del 2005 per il 2030 e zero netto per il 2050.
- Il Regno Unito ha fissato un Ndc (national determided contribution) che prevede almeno il 68% di riduzione per il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e, recentemente, un nuovo obiettivo del 78% per il 2035 con la neutralità climatica al 2050.
- La Russia ha preso l’ impegno di raggiungere il traguardo di zero emissioni nel 2060.
- L’Australia ha appena annunciato l’ impegno a zero emissioni al 2050.
- La Cina – maggiore emettitore di gas serra al mondo e principale consumatore di carbone mondiale – negli ultimi sei mesi ha pianificato un aumento della produzione di energia elettrica da carbone, non ha assunto un impegno di riduzione delle emissioni di gas serra, definito e significativo, entro il 2030 e prevede di raggiungere quota zero emissioni solo entro il 2060, senza però dire come.