La COP26 è ancora in pieno corso di svolgimento, ma una cosa appare già chiara, a prescindere dalle conclusioni dell’evento di Glasgow: le nuove tecnologie rappresentano una parte fondamentale del processo di decarbonizzazione mondiale. Allo stato attuale, infatti, il mondo non dispone ancora di tutte le tecnologie di cui avrebbe bisogno per traguardare l’obiettivo Net Zero emissions. In particolare, secondo una ricerca di McKinsey relativa all’Europa, le tecnologie già mature (ad esempio eolico e fotovoltaico) potrebbero, se implementate ampiamente, fornire circa il 60% dell’abbattimento delle emissioni che sarà necessario per stabilizzare il clima entro il 2050. Un ulteriore 25-30% potrebbe arrivare da tecnologie dimostrate ma non ancora mature (ad esempio gli elettrolizzatori per l’idrogeno), mentre un altro 10-15% da quelle che oggi sono ancora in fase di ricerca e sviluppo. Lo sviluppo delle nuove tecnologie sostenibili, in buona parte, sarà legato anche alla loro capacità di competere con le soluzioni tradizionali anche da un punto di vista dei costi. In questo senso c’è da essere ottimisti: nell’ultimo decennio, il costo di alcuni progetti di energia rinnovabile è diminuito di quasi il 90%, così come quelli delle batterie dei veicoli elettrici (EV), dell’illuminazione a LED e di altri hardware efficienti dal punto di vista energetico. Inoltre, le nuove tecnologie innovative possono contare su un contesto favorevole, dal momento che i governi e le aziende stanno prestando un forte sostegno fiscale all’innovazione a basse emissioni di carbonio.
Le 5 aree chiave dell’innovazione
Cinque sono le aree tecnologiche che, secondo la società, mostrano le principale potenzialità e scalabilità, al netto di alcune problematiche da risolvere.
1) Elettrificazione di trasporti, edifici e industria
2) La rivoluzione verde in agricoltura
3) Il rinnovamento della rete elettrica per garantire elettricità pulita.
4) L’idrogeno
5) L’espansione della cattura e stoccaggio del carbonio
In particolare, Mc Kinsey stima che le tecnologie di prossima generazione potrebbero attrarre da 1,5 trilionia 2 trilioni di dollari di investimenti di capitale all’anno entro il 2025 e abbattere il 40% delle emissioni di gas serra entro il 2050.
L’avvento dell’elettrificazione
Per quanto riguarda l’elettrificazione, la considerazione da cui parte Mc Knesy è che il raggiungimento delle emissioni nette a zero richiederà la riconversione della maggior parte delle apparecchiature e dei processi che ora funzionano con gli idrocarburi e la conversione del sistema elettrico a fonti rinnovabili (vedi la sezione successiva). Molte forme di equipaggiamento elettrico, dalle batterie per veicoli elettrici alle pompe di calore ai forni industriali, sono ancora oggi costose. Sarà dunque necessaria un’ulteriore innovazione per ridurre i costi e aumentare l’adozione dell’hardware elettrico, a partire dall’efficienza delle batterie. Ma i miglioramenti dell’hardware non sono l’unico modo per ottenere miglioramenti sostanziali: le soluzioni software possono aiutare, ad esempio a ridurre i tempi di ricarica di un auto elettrica, oppure prolungarne la durata. Gli edifici, come i veicoli, devono diventare elettrici. L’uso di pompe di calore per mantenere caldi gli ambienti, invece di caldaie e forni tradizionali, potrebbe ridurre la CO 2 globale di 3 gigatonnellate all’anno se implementate a livello mondiale. Forse, però, l’opportunità maggiore di decarbonizzazione è rappresentata dalla elettrificazione industriale. Settori industriali come cemento, prodotti chimici e acciaio consumano insieme più energia di altri settori (come l’energia elettrica e i trasporti), e solo il 20% dell’energia consumata è costituito da elettricità. Inoltre, le apparecchiature elettriche sono meno costose e più affidabili per molte applicazioni industriali, anche se non tutte. Poiché i prezzi dell’elettricità rinnovabile e delle apparecchiature elettriche sono in diminuzione, le aziende industriali potrebbero ridurre i costi e le emissioni elettrificando le loro operazioni, anche se i problemi non mancano. I forni elettrici, ad esempio, possono produrre calore fino a 350°C, ma non il calore elevato fino a 1.000°C di cui hanno bisogno molti processi industriali. Sarà dunque necessaria molta innovazione per colmare queste lacune.
Come decarbonizzare il settore agricolo
Per quanto riguarda l’agricoltura, McKinsey rileva come tale settore rappresenti circa il 20% delle emissioni globali di gas serra. In particolare, il gas serra più significativo dall’agricoltura è il metano, che si è scoperto relativamente da poco avere un’influenza sul riscaldamento globale superiore persino alla CO2 . Ridurre le emissioni di metano dall’agricoltura richiederebbe importanti cambiamenti nel modo in cui la società coltiva, mangia, gestisce le forniture e i rifiuti e gestisce i terreni coltivati e le foreste. Anche in questo caso occorrono nuove tecnologie, alcune delle quali sono relativamente mature mentre altre necessitano di ulteriore sviluppo. In particolare il maggiore abbattimento delle emissioni in azienda potrebbe essere ottenuto dal passaggio dalle tradizionali attrezzature e macchinari a combustibili fossili, come trattori, mietitrici e asciugatrici, alle loro controparti a emissioni zero. Tuttavia, tale adozione è molto indietro rispetto a quella dei veicoli elettrici nel settore trasporti, tanto che la maggior parte delle varietà è ancora in fase di proof-of-concept o prototipazione. C’è poi un tema di cui si parla tantissimo, cioè la necessità di trovare alternative alla carne. Si stima che tra un quarto e un terzo delle emissioni globali di metano provenga dai processi digestivi di bovini, ovini e altri ruminanti. Secondo Mc Kinsey, queste emissioni saranno difficili da ridurre a meno che i consumatori non decidano di cambiare la loro dieta. Parte della carne e dei latticini che le persone ora mangiano potrebbero essere sostituiti in modo salutare ed economico con proteine provenienti da colture come legumi. C’è poi il tentativo di trovare dei veri e propri sostituti, come carni coltivate a partire da cellule animali. La ricerca di McKinsey evidenzia che questo comparto si stia effettivamente sviluppando, tanto che potrebbe diventare un’industria globale da 25 miliardi di dollari entro il 2030. Ci sono poi alternative forse meno appariscenti ma che potrebbero essere altrettanto utili per decarbonizzare il settore agricolo. Ad esempio, si stanno sviluppando integratori alimentari e sostituti che inibiscono la produzione di metano alterando i processi digestivi di un animale. Anche la lavorazione del letame nei digestori anaerobici può ridurre le emissioni e anche generare biogas, una forma rinnovabile di gas naturale che può essere utilizzata nelle aziende agricole.
La necessità delle Smart Grid
Il report McKinsey si concentra poi sulle Smart Grid, di cui abbiamo parlato nel dettaglio più volte: il punto di partenza è che quasi ovunque, le reti elettriche sono vecchie, inefficienti, inaffidabili e ad alta intensità di carbonio. Tanto da non essere neanche lontanamente pronte a gestire il raddoppio della domanda di elettricità che potrebbe avvenire entro il 2050 con l’elettrificazione, né ad assorbire la generazione intermittente delle fonti rinnovabili. Alle reti serve perciò innanzitutto una massiccia iniezione di digitalizzazione, che permetta di contare su comunicazioni ultraveloci per mantenere l’equilibrio della rete gestendo ogni dispositivo sulla rete. Significativi apporti alla stabilità delle reti del futuro potrebbero arrivare dalla tecnologia nota come vehicle-to-grid: con la progressiva diffusione delle auto elettriche, le batterie potrebbero essere collegate alla rete per fornire capacità di accumulo di energia. Un milione di veicoli elettrici tipici offrirebbe circa 75 gigawatt di storage, centinaia di volte in più rispetto a quello che offre il singolo più grande impianto di storage su larga scala di oggi. Discorso del tutto simile può essere fatto per l’integrazione building-to-grid: gli edifici dotati di accumulo di energia o cogenerazione potrebbero immettere energia nella rete quando richiesto, producendo reddito per i loro proprietari. Per quanto riguarda il nucleare di nuova generazione, McKinsey vede possibilità nei reattori di piccola taglia. Ma anche nell’energia da fusione, un’area in cui le nuove start-up stanno abbassando i costi e le tempistiche, tanto che i prototipi potrebbero arrivare già a metà degli anni 2020, anche prima dei programmi di ricerca sostenuti dal governo.
Il ruolo dell’idrogeno
Per quanto riguarda l’idrogeno, le aspettative sono ancora più elevate: secondo McKinsey in prospettiva potrebbe soddisfare dal 15 al 20 percento della domanda di energia, decarbonizzando settori diversi come l’aviazione e la navigazione, l’industria, l’edilizia e il trasporto stradale, che sarebbe difficile da abbattere con la sola elettricità. Molto però passa dalla riduzione dei costi degli elettrolizzatori necessari per produrre l’idrogeno verde, che potrebbero diminuire dal 60 all’80% nel prossimo decennio. Oltre che nei trasporti, l’idrogeno verde potrebbe presto essere competitivo per la produzione di ammoniaca a basse emissioni, nonché nel settore siderurgico, che da solo vale dal 7 al 9% circa delle emissioni globali.
La cattura e stoccaggio del carbonio
Lo studio affronta poi il tema della cattura e stoccaggio del carbonio, una tecnica di cui si parla da tempo e che appare indispensabile per decarbonizzare alcuni settori. Il problema è che i costi al momento sono proibitivi, inoltre tali apparecchiature consumano molta energia. Servirà insomma uno sforzo in ricerca e sviluppo per ridurre i costi e ulteriori incentivi, ma McKinsey è positiva sulla possibilità di introduzione di tecnologie di cattura pre e post combustione, che potrebbero consentire di trovare una strada per la competitività. C’è poi una tecnologia che oggi appare ancora futuribile, ovvero la cattura diretta di CO2 dall’aria, su cui però stanno effettivamente investendo molte aziende. Infine, il report segnala come sia necessario trovare delle soluzioni per ridurre l’impatto ambientale della produzione di calcestruzzo: in particolare, le tecnologie per l’aggiunta di CO 2 come ingrediente nel cemento potrebbero ridurre le emissioni fino al 70% e rafforzare allo stesso tempo il cemento